M.D. numero 32, 1 novembre 2006

Contrappunto
Servono scelte coraggiose per la medicina di famiglia
di Luigino Di Pangrazio, Medico di medicina generale, Pizzoferrato (CH)

L'attività lavorativa dei medici di famiglia che svolgono la professione in situazioni territoriali disagiate e particolari è sicuramente diversa da chi, al contrario, la esercita in grandi metropoli. Non sembrano essere diverse o almeno significativamente divergenti le constatazioni sulle reali difficoltà e sul disagio che attraversa l’intera categoria soprattutto in relazione al libero accesso degli assistiti nell’ambulatorio e alle incombenze burocratiche. Al riguardo preoccupano ancora di più i rimedi tutti organizzativi proposti dalla politica quali soluzioni atte a gestire la crescente domanda di salute. Per esempio non è da escludere che gli ambulatori aperti per più ore potrebbero indurre un aumento delle richieste prescrittive

D
esidererei aprire una discussione sull’articolo “Un altro smacco per la medicina di famiglia” del collega Giuseppe Maso (M.D. 2006; 25: 12-13), che condivido in pieno, ma che vorrei arricchire di alcune semplici e personali considerazioni. Convenzionato come Mmg dal 1992 e con circa 1.300 assistiti in carico, esercito la medicina generale unitamente a due altri colleghi in un ambito montano di nove comuni che oscillano da un’altitudine di 930 m a 1.343 m slm. Non essendo il numero di assistiti sufficiente a far scattare una nuova carenza, noi tre quotidianamente raggiungiamo i nostri ambulatori che distano tra loro anche 20 km. Possibilità, o meglio, vantaggi pratici nell’associarci uguali a zero (spesso ci aiutiamo quando il malato di turno si trova nel territorio più vicino al collega, rispetto a quello dove uno di noi è momentaneamente impegnato), anche perché nella stagione invernale i pazienti anziani, che sono la maggioranza, avrebbero difficoltà a raggiungerci. Così ognuno di noi giocoforza effettua, a domicilio e in ambulatorio, suture, cateterismi, ECG, medicazioni e quant’altro richiesto nella pratica di un medico di medicina generale. Gli ospedali più vicini sono a non meno di 25 km (il più vicino, tra l’altro, è fuori provincia) e il distretto sanitario di base a circa 12 km ha notevolmente ridotto le prestazioni specialistiche per esigenze o problemino di budget.
Non vorrei per questo passare per un eroe, ma essendo la nostra penisola attraversata da nord a sud da catene di monti, mi viene logico pensare a quante situazioni sono presenti in questo Paese simili alla mia e a quella dei miei colleghi che insieme a me la condividono.

Dubbi e perplessità


Detto ciò mi chiedo se le varie proposte di UTAP, h. 24 ecc. risponderebbero veramente alle esigenze dei pazienti o si tradurrebbero, come giustamente afferma il collega Maso, in una ricaduta prescrittiva. Io sono d’accordo con questa seconda ipotesi. Non è un mistero che quotidianamente, specie il lunedì, i nostri ambulatori sono pieni di pazienti e così avviene per tutta la settimana, caricando tutti noi di compiti che spesso derogano dalla pura medicina e sconfinano nella medicina legale, nelle certificazioni varie, nell’attività di centralinista per prenotare visite ai nostri assistiti.
Nel merito desidero porre un quesito a me e a tutti i colleghi: quanti tra i nostri pazienti hanno veramente bisogno di cure e quanti sono solo cosiddetti frequent attenders, che non avendo nulla da fare si recano nei nostri studi potendo usufruire di un servizio che lo Stato offre completamente gratis? Quanti vengono per ripetere una ricetta o ricontrollare la pressione arteriosa o comunque per richiedere una prestazione ricevuta appena uno-due giorni prima? Datemi pure dell’allarmista, ma nel mio caso sono più della metà, e costoro usufruirebbero anche e a sproposito di eventuali proroghe di orario e/o di strutture dedicate a ben altri fini. E non possiamo neppure ribellarci e discutere più di tanto perché si perde tempo, ci si innervosice e si fa tardi per andare a visitare il paziente a domicilio o a lavorare nell’altro ambulatorio nell’altro Comune rischiando, per giungere in tempo, di rompersi il collo in macchina. E non parliamo di quando c’è neve. Non è un caso che solo in data 8 ottobre, ho letto l’articolo del collega Maso pubblicato su M.D. il 13 settembre, ed essendo domenica ho trovato un minimo di tempo per scrivere queste osservazioni. Ma perché non ci è regolamentato il tempo, come i nostri colleghi europei, per leggere, documentarci, aggiornarci e farci trovare dai pazienti un po’ più sereni e disponibili invece che sempre stressati e con gli occhi sull’orologio? Mi si dirà: siete profumatamente pagati! Preferirei essere più tranquillo e meno usurato. È dura rincasare ogni sera alle otto e anche alle nove, quando i figli sono già pronti per andare a dormire. È vero che noi medici e particolarmente i Mmg hanno una mission professionale molto peculiare, ma non costerebbe nulla svolgerla meglio.

Una proposta


Sono convinto, considerata la situazione professionale attuale, che quando ci sarà un ministro della Salute che avrà veramente voglia di fare lavorare il Mmg sul caso clinico e non sulle banalità burocratiche, che avrà la forza e il coraggio politico di calmierare l’accesso nei nostri ambulatori rispetto ai pazienti che ne usufruiscono in modo inappropriato, allora sì che si otterranno i frutti sperati. Avremmo sicuramente una riduzione di accessi che equivale a riduzione di prescrizioni ed esami e/o visite specialistiche, tutto ciò valutato complessivamente porterebbe a un decremento della spesa sanitaria totale. Inoltre si avrebbe un miglior utilizzo del tempo sia per gli assistiti sia per i Mmg con possibilità di un aggiornamento più profiquo e di conseguenza con medici più sereni e preparati. Basterebbe la semplice introduzione di un ticket da versare (dietro quietanza) al proprio Mmg che girerà la somma alla ASL di riferimento a cadenze da stabilire.
Quando sono subentrato a un collega in pensione, questi mi raccontò l’aneddoto di una vecchina che quotidianamente frequentava il suo studio per ricette, misurazioni di pressione e malanni più disparati; non avendola vista per circa dieci giorni, incontratala una domenica davanti la Chiesa, le chiese il motivo di tante assenze e si sentì rispondere: “Dotto’ scusa, ma non mi sono sentita bene in questi giorni e non sono potuta venire a trovarti”! Un’altra volta, entrando in ambulatorio e trovandolo stracolmo di pazienti, mentre indossava il camice disse scherzando, con voce dimessa: “Oggi le visite sono a pagamento” e come d’incanto lo studio piano piano si svuotò. Non vorrei con questo generalizzare, ma è mia impressione che le cose in Italia siano proprio così. Giorni fa, parlando con un amico emigrato in Belgio, ho chiesto informazioni sul suo rapporto con il proprio medico di famiglia: lì quando si va dal proprio medico si pagano circa 18 euro e il servizio sanitario ne rimborsa circa 15. Se sono stati prescritti esami o Rxno, i referti sono inviati da chi li effettua direttamente al medico che li ha richiesti, e il povero paziente, recandosi dal suo medico per la risposta, paga di nuovo. Spero di aver capito bene, ma da informazioni di altri emigranti sembra che le cose vadano pressappoco in questo modo.
Non vorrei esagerare nelle richieste, ma la nostra “generosità” nel dare tutto a tutti e gratis non mi sembra più una soluzione al passo coi tempi. Del resto ai nostri figli, se facciamo vincere tutti i capricci e non diamo mai uno scapaccione, non insegneremo mai che ogni cosa desiderata va prima di tutto sudata, ma alleveremo dei perfetti viziatelli. Spero di aver suscitato un minimo di riflessione e auspico una vera presa di coscienza dei reali problemi dei medici di famiglia da parte della classe politica.