M.D. numero 32, 1 novembre 2006

Focus on
Investire in salute: una chance per incentivare lo sviluppo
di Monica Di Sisto

Investire in prevenzione conviene, soprattutto rivedendo il sistema delle cure del territorio. Collocando strutturalmente l’1% delle risorse in prevenzione, si arriverebbe nel 2050 a risparmiare sulla spesa sanitaria pubblica 165.5 miliardi, lo 0.6% del Pil stimato per quell’anno. È quanto afferma lo Studio Ambrosetti - European House nel rapporto “Meridiano Sanità: le coordinate della salute”, presentato recentemente a Cernobbio.

Uno dei problemi più evidenti del Ssn, secondo lo studio presentato a Cernobbio da Meridiano Sanità, è la mancanza di un approccio sistemico che valorizzi la collaborazione e l’integrazione tra le diverse professionalità che operano al suo interno. Mancano, per esempio, obiettivi e piani di sviluppo, di criteri di eleggibilità per i diversi servizi, di adeguati sistemi di rendicontazione e di efficaci sistemi informativi. Ma soprattutto manca un presidio unitario che ne coordini il funzionamento. La soluzione per effettuare un’inversione significativa di tendenza? Un ruolo più attivo dei cittadini nelle decisioni sulla salute, la valorizzazione delle figure dei medici di famiglia e degli infermieri, l’utilizzo degli indicatori per misurare in modo efficace i risultati in termini di salute e per garantire omogeneità nelle prestazioni a livello nazionale.

Il cittadino, non solo un numero


Secondo le previsioni Eurostat, in Italia dal 2004 al 2050 le persone con età maggiore o uguale a 65 anni, che oggi rappresentano circa il 19% dell’intera popolazione, diventeranno più del 34.4% mentre quelle di età compresa tra i 25 e i 64 anni si ridurranno dal 55% al 42%. L’innalzamento dell’età media si tradurrà in un aumento delle malattie croniche e in una riduzione della fascia di popolazione attiva e quindi anche delle risorse economiche che ne derivano, porrà consistenti problemi di sostenibilità economica del sistema sanitario. Nel 2005 la spesa sanitaria pubblica in Italia è stata di oltre 93 miliardi di euro, pari al 6.7% del

Livelli essenziali sempre pił ³su misura²
Per valutare l’effettiva erogazione dei Lea è necessario che possano essere misurati. Bisogna individuare criteri omogenei per misurare qualità, quantità, costi e modalità di erogazione dei Lea. Valutare i livelli di integrazione dell’assistenza (ospedale-territorio-domicilio), la qualità dell’assistenza erogata e l’accessibilità e l’appropriatezza della prestazione.
È poi necessario che tutti questi dati confluiscano in strumenti in grado di misurare il livello di avanzamento rispetto agli obiettivi stabiliti. Occorre individuare, infine, alcuni semplici indicatori di appropriatezza e di esito che consentano di misurare la qualità e la sicurezza delle prestazioni erogate dalle strutture e dagli operatori sanitari. In questo ambito ci sono già, segnala Meridiano Sanità, alcune esperienze positive di audit civico fatte da alcune Regioni che potrebbero essere trasferite su scala nazionale.

Pil, e nel 2050 si prevede che raggiunga i 251 miliardi di euro e che l’incidenza sul Pil salga al 9.7%. Per questo lo Studio Ambrosetti propone di invertire i termini della questione e considerare concretamente la salute come un grande investimento, come un motore di sviluppo di tutto il sistema Paese, non dimenticando che alla salute sono legati settori cruciali quali la ricerca, la farmaceutica, le biotecnologie.
Il cittadino deve essere riconosciuto come soggetto attivo e partecipe delle decisioni che riguardano la salute e quindi nel pieno diritto di accedere a un sistema fondato e organizzato sui suoi bisogni, e che promuova e tuteli la sua salute secondo i principi di equità, universalità e solidarietà. È necessario dunque coinvolgerlo:

  • nella definizione dei bisogni di salute e quindi degli obiettivi del Ssn;
  • nella programmazione delle risorse e delle attività;
  • nella valutazione dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi;
  • nel monitoraggio continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni fornite.

Un tema centrale in questo processo è rappresentato dalla comunicazione che va considerata uno strumento indispensabile per facilitare i rapporti del cittadino con il sistema sanitario, per favorire la sua collaborazione alle scelte di politica sanitaria e, più in generale, per diffondere l’educazione sanitaria nella società. Ma è cruciale che questo nuovo protagonismo si esprima, soprattutto, per co-decidere quali sono i Livelli essenziali di assistenza che il nostro sistema può garantire, secondo i principi fondamentali di equità, solidarietà e universalità.

Territorio: mai più sconosciuto


L’allarme più urgente lanciato da Meridiano Sanità è quello di ripensare l’attuale assetto organizzativo del Ssn, spostando l’attenzione verso il territorio e alleggerendo il peso che ora grava, spesso impropriamente, sull’ospedale. Secondo alcuni dati, tra tutti coloro che si rivolgono a un Pronto Soccorso per problemi sanitari, i cosiddetti “codici bianchi” sono il 30-50%. Questo si verifica, secondo lo studio, perché l’organizzazione della medicina sul territorio non è in grado di far fronte a quelle esigenze sanitarie che i cittadini percepiscono come emergenze rispetto alle loro abituali condizioni di salute. Per rafforzare questa componente essenziale dell’assistenza sanitaria è indispensabile “valorizzare e ampliare le funzioni del Mmg - spiega lo studio - mettendo a sua disposizione le risorse e le strutture necessarie”.

La nuova rete: dai Punti Unici di Accesso al Distretto

Ottimizzare il territorio, questa l’indicazione del rapporto di Meridiano Sanità, riconfigurandolo come una rete i cui nodi sarebbero:

  • Punti Unici di Accesso al Servizio Sanitario: strutture ai quali il cittadino può rivolgersi per avere indicazioni chiare su quali sono, nelle diverse circostanze, le strutture più idonee alle quali fare riferimento e per farle attivare rapidamente.
  • Unità di Assistenza Primaria (UTAP): attive 24 ore al giorno, in grado di fornire ai cittadini una concreta risposta medico-infermieristica e specialistica ai loro bisogni, il loro compito primario è quello di assicurare l’interconnessione e l’integrazione di tutti gli interventi socio sanitari. Da quelli di medicina generale a quelli della pediatria di libera scelta, da quelli della continuità assistenziale a quelli della specialistica ambulatoriale interna e, più in generale, a quelli forniti da tutte le professionalità presenti nei servizi sanitari distrettuali e nei servizi sociali.
  • Un Distretto più operativo: i Distretti dovrebbero essere messi in condizione di trattare tutte quelle patologie acute che non necessitano di assistenza ospedaliera, e di fornire assistenza continuativa ai malati cronici o non autosufficienti.
    Questo faciliterebbe peraltro anche un raccordo più efficace tra i servizi socio-sanitari erogati dal Distretto e quelli sociali erogati dal Comune.
  • Un’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) più graduata: per evitare lo spreco di risorse per necessità assistenziali limitate e di fornire invece servizi più adeguati per le necessità maggiori. In questa ottica va al pari sostenuta, e in modo concreto, l’assistenza “informale” che ogni giorno è fornita alle persone “fragili” dai loro familiari, dai parenti e dai volontari.
  • Unità di Valutazione Multidimensionali: Unità che abbiano il compito di valutare l’evolversi nel tempo delle esigenze e dei bisogni di salute delle persone assistite e che siano in grado di garantire, con una stretta integrazione con i medici e con le altre strutture, la fornitura dei servizi socio-sanitari più adeguati all’evolversi delle necessità.

Nuove figure professionali

Per sostenere una riconfigurazione completa del sistema delle cure, Meridiano Sanità scommette su due figure professionali: il Care Manager e il Case Manager.
Il Care Manager si può definire come una figura professionale, spesso un infermiere, formata appositamente, che in collaborazione con il Mmg e lo specialista garantisce lo svolgimento del processo assistenziale secondo il piano condiviso con il Mmg e/o lo specialista, responsabilizzando ed educando il paziente per migliorarne la compliance terapeutica e legata allo stile di vita.
Il Case Manager è uno specialista, non necessariamente riconducibile a un preciso gruppo professionale, con spiccate capacità di comunicazione e di collaborazione il cui obiettivo è quello di pianificare, coordinare, gestire e revisionare in modo efficace ed efficiente il piano assistenziale delle singole persone attraverso il coordinamento di tutti gli attori chiamati in causa.
Ma queste nuove figure non troverebbero “basi” al proprio operare se non potessero contare su una formazione innovativa e più strutturata del Mmg, che prepari la messa in opera del nuovo sistema.

  • I programmi dei corsi di formazione in medicina, secondo Meridiano Sanità, dovrebbero prevedere una migliore integrazione tra la medicina specialistica e quella generale.
  • Le strutture che erogano la formazione complementare dovrebbero essere utilizzate anche per la formazione continua.
  • Dovrebbe essere istituito presso l’Università un albo aperto in cui inserire, come professori a contratto, i docenti di medicina generale selezionati in base alle loro esperienze e competenze.
  • In questa prospettiva va previsto anche, eventualmente come compito delle Regioni, il potenziamento della formazione dei direttori di Distretto utilizzando corsi di management i cui contenuti sono peraltro già presenti nei corsi di specializzazione universitaria in “medicina di comunità”. Dovrebbero essere previsti, infine, secondo lo studio, adeguati controlli sulle modalità con cui le Regioni impiegano concretamente i fondi stanziati per la formazione della medicina generale.