M.D. numero 32, 1 novembre 2006

Monitor
Inquinamento indoor e patologia allergica
di Sirio Spadano

Nella quasi totalità delle aule scolastiche e degli uffici si riscontrano condizioni di rischio per chi soffre di disturbi allergici: assenza di areazione, muffa sui muri, condensa sulle finestre, eccesso di polvere, scarsa pulizia dei locali

U
na recente ricerca condotta da Gfk-Eurisko e dalla Fondazione CHARTA (Center for Health Associated Research and Technology Assessment), con la collaborazione scientifica della Scuola Superiore S.Anna di Pisa e con il supporto di Schering-Plough, ha analizzato mediante un’ampia indagine demoscopica i rapporti tra rinite allergica e condizioni dell’ambiente di lavoro e di studio.
Sono stati intervistati telefonicamente 1750 individui, scelti tra lavoratori impegnati in attività di ufficio e studenti a scuola. Il 20% di questa popolazione ha dichiarato di soffrire di rinite allergica e oltre la metà di questi (11% degli intervistati) ha dichiarato di avvertire i sintomi soprattutto in ufficio o a scuola.
L’inquinamento indoor sembra dunque essere un problema rilevante nel sostenere la sintomatologia allergica, se non addirittura esserne la causa scatenante, e l’indagine ha identificato alcune condizioni di rischio degli uffici/scuole maggiormente correlate con la manifestazione di sintomi: la presenza di muffe sui muri, la condensa sulle finestre per eccessiva umidità, l’assenza di areazione (ambienti senza finestre o con finestre non apribili), le polveri emesse dagli impianti di condizionamento, la scarsa pulizia dei locali, la vetustà degli edifici, la presenza di tendaggi, moquette o tappeti, l’alta concentrazione di persone.
L’indagine ha altresì rilevato che la sofferenza delle persone con rinite allergica aumenta significativamente negli ambienti dove tali condizioni di rischio si sommano e, in particolare, con la presenza simultanea di quattro o più di esse aumenta considerevolmente la percentuale dei soggetti sofferenti rispetto ai non sofferenti.
è stato anche tratteggiato il profilo di rischio allergico degli ambienti di lavoro o di studio: nel 95% degli ambienti di lavoro/studio è presente almeno una tra le condizioni di rischio identificate (il 35% dei locali presenta quattro o più condizioni di rischio, il 47% ne ha due o tre, il 13% ne ha una) e solo il 5% dei locali può essere considerato realmente esente da “fattori di inquinamento” allergologico.

Il vissuto dei pazienti allergici


La percezione delle persone sulle condizioni di rischio allergico nell’ambiente di lavoro appare invece diversa da quanto rilevato dalla ricerca, dal momento che il 60% dei soggetti rinitici intervistati ritiene che il loro disturbo sul posto di lavoro/studio sia determinato dalla presenza di polvere, mentre più ridotte e frammentarie sono le attribuzioni a elementi specifici dell’arredo e al sistema di condizionamento e di riscaldamento degli ambienti.
Dall’indagine emerge che il 19% delle persone intervistate che ha dichiarato di soffrire di rinite allergica non si è mai rivolto a un medico per questo problema e che il 27% non assume alcun trattamento, nonostante il disturbo allergico si ripercuota sulla qualità di vita e sulla produttività: il 39% dei soggetti rinitici dichiara infatti che i sintomi dell’allergia interferiscono molto o abbastanza sulla vita quotidiana, anche sul posto di lavoro/studio, e il 43% riferisce di essere meno concentrato e meno efficiente. Il calo di produttività percepito dal lavoratore/studente in presenza dei sintomi allergici è stimato nell’ordine del 30% rispetto ai normali standard di attività e la sintomatologia determina ogni anno la perdita di 2,3 giorni lavorativi o di studio.

Barriere allergologiche


Quali considerazioni trarre da questa ricerca? La principale riflessione riguarda l’estesa presenza in quasi tutti gli uffici e scuole di condizioni di rischio per disturbi allergici (a questo proposito gli uffici risultano più complessi e “problematici” - allergologicamente parlando - rispetto alle scuole). Dal momento che un terzo della vita tra i 6 e i 65 anni viene trascorso negli ambienti scolastici e di lavoro, e in considerazione del fatto che nella patologia allergica l’ambiente ha una rilevanza primaria rispetto alla prognosi e all’andamento dei sintomi, appare logico dedurre che senza un intervento adeguato sui numerosi fattori di rischio allergico ambientale qualsiasi terapia attuata risulterà meno efficace di quanto potrebbe essere.
Sono stati compiuti grandi progressi nell’ergonomia e nella prevenzione degli infortuni negli ambienti di lavoro, ma finora non sono stati presi provvedimenti ad hoc per ridurre i fattori di rischio per patologie allergiche (con la lodevole eccezione della legge sul divieto di fumo nei locali pubblici e negli uffici). Basterebbero alcuni interventi mirati per ridurre l’incidenza di forme allergiche associate al lavoro in ambiente chiuso: areare i locali e, in presenza di eccessiva umidità, impiegare sistemi di deumidificazione, pulire più spesso, sanificare i muri, igienizzare frequentemente moquette, tappeti, tendaggi, poltroncine e divani di stoffa, usare spray anti-acaro, eliminare piante decorative riconosciute come allergizzanti. Occorre aumentare la consapevolezza dell’ambiente al fine di abbattere le “barriere allergologiche” presenti nei luoghi di lavoro e di studio, anche con specifici dispositivi legislativi, al fine di tutelare adeguatamente i soggetti affetti da allergie respiratorie.