M.D. numero 33, 8 novembre 2006

Ricerche
Infezione da HCV in una comunità del Cilento
di Walter D’Apolito e Tommaso Tortorella - Medici di medicina generale, Salento (SA)

Dalla ricerca condotta da Mmg del comune di Salento è emerso che in questa zona la percentuale di soggetti HCV positivi è maggiore di quella nazionale e che solo in parte è in trattamento. Secondo gli autori è necessaria una migliore attività di monitoraggio e di counselling dei propri assistiti, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli effetti collaterali della terapia con antivirali

L
a Consensus Conference “Lo screening per infezione da virus dell’epatite C negli adulti in Italia” svoltasi nel 2005 sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità (M.D. 2005; 32: 20-21) ha stabilito che per quanto riguarda l’infezione da HCV nel nostro Paese non è ipotizzabile uno screening di massa nella popolazione generale, mentre è ammissibile per le categorie a rischio (tossicodipendenti, emodializzati, soggetti emotrasfusi o trapiantati prima del 1992 e che abbiano ricevuto fattori della coagulazione emoderivati prima del 1987).
La Conferenza ha confermato anche che l’infezione cronica da HCV è caratterizzata da un effetto di coorte, per cui:

  • è generalmente >3% nei soggetti nati tra il 1940 e il 1949;
  • è >5% nei soggetti nati prima del 1940, con prevalenza in alcune aree del Sud e delle Isole;
  • è inferiore (<1.5%) nei soggetti nati dopo il 1950, senza importanti differenze per area geografica.
Scopo del nostro lavoro è stato quello di quantificare i soggetti affetti da infezione cronica da HCV nell’ambito della nostra comunità e verificare se il campione rientra nei criteri e negli standard stabiliti dall’Expert Consensus per ciò che riguarda l’effetto di coorte e lo screening dell’infezione.

Materiale e metodi


Lo studio è stato condotto nel comune di Salento (SA) su circa 1.600 abitanti assistiti dagli autori del presente lavoro in qualità di medici di medicina generale.
Abbiamo deciso di procedere in questa indagine perché dagli anni Ottanta, quando fu scoperto il virus dell’epatite C, un importante numero di nostri assistiti è risultato affetto dall’infezione. Questo particolare riscontro è stato preso in considerazione anche dall’ospedale S. Luca di Vallo della Lucania (centro ospedaliero di riferimento della zona): in una ricerca condotta nel 1999 dall’UO Malattie Infettive si è riscontrata una percentuale di pazienti affetti da epatite cronica HCV correlata, riferita a quasi tutta la popolazione del Comune, stimata intorno al 20%, dato nettamente superiore a qualsiasi studio analogo.
Già negli anni ’60 e ’70 si era rilevato nel nostro Comune un significativo numero di pazienti non alcolisti affetti da epatite cronica e cirrosi epatica e con una preoccupante incidenza di epatocarcinoma che avevano provocato diversi decessi. Scoperto il virus dell’epatite C e finalmente individuata la causa della morbilità di tanti pazienti, agli inizi degli anni ’90 la popolazione di Salento è stata sottoposta quasi a uno screening di massa per la ricerca del virus “killer”.
Passata l’onda emotiva, con il controllo dei Mmg e in collaborazione con l’UO di Malattie Infettive siamo pervenuti a una fase più mirata di screening e di monitoraggio che continua a tutt’oggi. I dati raccolti in questi anni sono oggetto del nostro studio.

Risultati


Dalle nostre cartelle cliniche sono risultati positivi alla presenza di anticorpi contro il virus dell’epatite C (HCV-Ab) 199 pazienti e di questi 23 risultano deceduti nell’arco degli ultimi 5-6 anni. Pertanto attualmente i pazienti HCV-Ab positivi nel comune di Salento sono 176. Considerando anche la popolazione pediatrica che è di circa 60 unità, possiamo affermare che allo stato attuale la percentuale di pazienti HCV-Ab positivi è pari al 10.6%.
In effetti tale dato risulta inferiore alla percentuale del 20% riscontrata nell’indagine del 1999; bisogna tuttavia considerare che quella percentuale era riferita alla fine degli anni ’90 e che solo negli ultimi 5 anni risultano deceduti 23 pazienti HCV-Ab positivi, di cui 7 per cirrosi epatica, 6 per carcinoma epatico e 1 per linfoma non Hodgkin, ovvero cause di decesso da mettere in relazione al virus dell’epatite C. Nessuno di questi pazienti aveva praticato terapia con antivirali.
Dei 176 pazienti HCV-Ab positivi, il più giovane è nato nel 1971, il più anziano nel 1913. Infatti la diffusione dei virus epatitici a trasmissione parenterale ha toccato in Italia la massima intensità tra gli anni ’50 e’60 e la fine degli anni ’70. Da tale periodo è iniziato un declino dell’incidenza di infezioni legato principalmente alle migliori conoscenze delle vie di trasmissione, alla diffusa adozione di materiale medico monouso e più in generale al miglioramento del livello igienico sanitario.
La prevalenza dell’infezione nelle varie fasce di età è così suddivisa:
  • 7 pazienti nati tra il 1910 e il 1919 (33%);
  • 53 pazienti nati tra il 1920 e il 1929 (34%);
  • 62 pazienti nati tra il 1930 e il 1939 (19%);
  • 36 pazienti nati tra il 1940 e il 1949 (21%);
  • 12 pazienti nati tra il 1950 e il 1959 (5.4%);
  • 5 pazienti nati tra il 1960 e il 1969 (1.6%);
  • 1 paziente nato nel 1971 (0.4%).

Nessuno di questi pazienti appartiene a categorie a rischio.
I pazienti trattati con antivirali sono stati 40 (22.7%) di cui:

  • 29 trattati con interferone standard (3 volte/settimana);
  • 15 trattati con interferone peghilato+ribavirina;
(4 pazienti sono stati trattati con entrambe le terapie).
I pazienti responder alla terapia con interferone standard sono stati 12, con una percentuale di guarigione pari al 41%, mentre i responder alla terapia di combinazione interferone peghilato+ribavirina sono stati 4 su 13 (30%) (2 pazienti sono attualmente ancora in terapia).
Solo su 17 pazienti (del totale di 176) è stato determinato il genotipo del virus: in 11 è risultato il genotipo 1b e in 6 il genotipo 2a. Tra quelli con genotipo 1b abbiamo 6 pazienti non responder, 1 responder, 1 in corso di terapia e 3 non trattati con antivirali; tra quelli con genotipo 2a abbiamo 3 non responder e 3 non trattati con antivirali.
Abbiamo 11 pazienti HCV-Ab positivo con HCV-RNA assente e transaminasi persistentemente normali.
Allo stato attuale, in 8 pazienti si è avuta l’evoluzione dell’epatopatia verso la cirrosi e 1 risulta affetto da linfoma non Hodgkin.

Considerazioni conclusive


I dati documentati, data l’eccezionalità del fenomeno, si discostano notevolmente da quelli nazionali presi in considerazione dall’Expert Consensus, sia per la percentuale totale di pazienti HCV-Ab positivi sia per la percentuale per fasce d’età (effetto di coorte).
Uno screening approfondito della popolazione di Salento si è già avuto, soprattutto nei nati prima del 1950 in cui si riscontrano le percentuali più alte; per quanto riguarda le fasce d’età più giovani (nati tra il 1950 e il 1970) i dati potrebbero essere sottostimati, trattandosi di soggetti che generalmente frequentano poco gli ambulatori.
Inoltre va sottolineato che proprio questi pazienti, insieme a quelli nati negli anni 1940-1949, potrebbero giovarsi di un trattamento con antivirali, perché non ultrasessantacinquenni, anche se attualmente gli epatologi trattano pazienti che superano tale limite d’età valutando ad personam.
Allo stato attuale, dei pazienti con età <65 anni affetti da epatite cronica HCV correlata, solo il 49% (26 pazienti) è stato trattato.
In considerazione di questo dato si rende necessaria da parte dei medici di medicina generale una migliore attività di screening e monitoraggio nei confronti dei propri assistiti e una maggiore attività di counselling soprattutto per quanto riguarda la gestione degli effetti collaterali della terapia con antivirali. Infatti gli importanti effetti collaterali, secondari soprattutto alla terapia di combinazione interferone peghilato+ribavirina, possono essere fonte di scoraggiamento e possono portare alla sospensione della terapia da parte del paziente. Questa ipotesi può in parte spiegare la maggiore percentuale di responder alla terapia con solo interferone che si è riscontrata nei nostri pazienti. La bassa percentuale di responder (30% rispetto al 54% della media internazionale) alla terapia con interferone peghilato+ribavirina è un dato che fa riflettere ed è solo in minima parte motivabile con quanto detto sopra relativo alla sospensione della terapia, da parte del paziente, per la comparsa di effetti collaterali. Infatti, un altro fattore da considerare è il fatto che attualmente e da alcuni anni i farmaci antivirali, per problemi di farmacoeconomia, vengono distribuiti dalla farmacia dell’Asl di riferimento, determinando da una parte una minore compliance da parte del paziente alla terapia (la sede della farmacia dell’Asl è distante circa 20 chilometri dal paese) e dall’altra una sorta di “by-pass” del Mmg. Indubbiamente questo dato in controtendenza (anche se si tratta di piccoli numeri) andrebbe meglio analizzato e approfondito in collaborazione con i dirigenti dell’UO di Malattie Infettive dell’Asl di riferimento.
Essere medici di medicina generale in una comunità con una così alta percentuale di pazienti HCV-Ab positivi significa informare la comunità stessa di come il paziente HCV positivo deve vivere in famiglia: la coabitazione comporta un rischio di infezione trascurabile, legato all’utilizzo in comune di rasoi, spazzolini e oggetti che possono provocare lesioni di continuo; non vi è alcun rischio nell’utilizzo di stoviglie, asciugamani, servizi igienici o nell’accudire i bambini.
Inoltre, considerando che più di un paziente su dieci che frequenta i nostri ambulatori è HCV positivo, bisogna mettere in atto tutti gli accorgimenti atti a evitare le infezione crociate: impiego di materiale monouso, sterilizzazione dello strumentario chirurgico, disinfezione delle superfici, mantenendo sempre alto il livello di guardia verso tutte le infezioni, considerando ogni paziente come potenziale fonte di contagio.