M.D. numero 33, 8 novembre 2006

Terapia
Opzioni chirurgiche per la disfunzione erettile
di Alberto Mandressi - Direttore UO di Urologia, Ospedale di Circolo di Busto Arsizio (VA)

Sintetica revisione delle possibilità offerte dalla chirurgia, dall’impianto di protesi alla rivascolarizzazione arteriosa

L
a correzione delle deformità peniene attraverso gli interventi di corporoplastica rappresenta il provvedimento principale in casi di disfunzione erettile anatomica in cui la spiccata curvatura del pene impedisce l’attività sessuale, mentre i casi di amputazione parziale del pene dopo chirurgia oncologica o in presenza di microfallo richiedono più complessi interventi ricostruttivi.
L’impianto di protesi peniene ha invece l’obiettivo di sostituire il meccanismo dell’erezione con dispositivi applicati all’interno dei corpi cavernosi che siano in grado di sviluppare un’adeguata rigidità. Viene in genere riservata ai casi in cui gli altri trattamenti non sono efficaci. I principali tipi di protesi sono le semirigide, che possiedono un grado di rigidità fissa e mantengono il pene in uno stato di costante semirigidità, e le idrauliche, che grazie ad una serie di dispositivi sono in grado di variare il loro grado di rigidità.

Chirurgia vascolare ricostruttiva

La chirurgia vascolare ricostruttiva ha lo scopo di riportare un adeguato flusso arterioso al pene in caso di traumi vascolari che danneggino specificamente le arterie cavernose. In questi casi viene creata una connessione tra un’altra arteria del corpo (generalmente della parete addominale) e i corpi cavernosi.
L’efficacia della rivascolarizzazione arteriosa dipende da una serie di fattori: l’età dei pazienti non dovrebbe essere >40 anni, il deficit erettile deve risultare conseguente a lesioni arteriose pure e distrettualmente definite, quali lesioni delle arterie pudende interne distali, peniene o cavernose dopo trauma chiuso pelvico o perineale di recente origine, deve esserci in assenza di fattori di rischio vascolari.
Nonostante i continui aggiornamenti, le tecniche chirurgiche di rivascolarizzazione peniena proposte negli ultimi decenni non hanno mostrato livelli di efficacia universalmente riconosciuti. I benefici sono tempo-dipendenti, cosicché la percentuale dei pazienti che recuperano una completa o parziale rigidità peniena dopo chirurgia decresce col passare del tempo.
La comprensione delle cause di insuccesso delle procedure di rivascolarizzazione peniena è resa complessa da molteplici fattori, tra cui l’applicazione di tecniche chirurgiche differenti e la mancata omogeneità dei criteri di studio e di selezione dei pazienti dall’altro. Da tempo è tuttavia noto che la potenza dell’anastomosi non necessariamente comporta il recupero della potenza sessuale. L’esistenza di variazioni di flusso ematico all’interno dei corpi cavernosi dopo interventi di rivascolarizzazione manca tuttora di unanime consenso, anche in presenza di anastomosi funzionali. Alcuni studi hanno dimostrato l’assenza di afflusso ematico ai corpi cavernosi dal ramo afferente, indipendentemente dalla tecnica di rivascolarizzazione peniena utilizzata.

Ipotesi biologiche


Le recenti acquisizione sulla fisiopatologia dell’erezione hanno permesso di elaborare alcune ipotesi sul possibile significato biologico dei procedimenti di rivascolarizzazione.
In condizioni fisiologiche l’aumento della pressione endocavernosa e della tensione di ossigeno durante l’erezione stimola le cellule endoteliali del tessuto aureolare a produrre ossido nitrico, attivando la cascata di eventi che conduce al rilassamento delle cellule muscolari lisce dei corpi cavernosi e all’instaurarsi dell’erezione.
Le proprietà meccaniche del tessuto erettile sono peraltro correlate alle sue caratteristiche strutturali. In condizioni normali il collagene, costituente fondamentale del tessuto interstiziale, rappresenta circa il 50% del tessuto erettile.
Un’aumentata concentrazione di tessuto fibroso determina la perdita di contatti fra le giunzioni intercellulari delle cellule muscolari lisce con riduzione dell’espandibilità cavernosa. Le condizioni in grado di modificare la quantità della componente fibrosa nel tessuto erettile sono state oggetto di numerose ricerche. Studi in vitro hanno dimostrato che cellule muscolari di corpi cavernosi esposte ad alte tensioni di ossigeno producono prostaglandine E. Altri autori hanno ipotizzato che le prostaglandine E endogene esercitino un feedback negativo sulla sintesi di svariate citochine, tra cui il TGF-beta 1 in grado di stimolare le cellule muscolari lisce del tessuto erettile a sintetizzare collagene: anche questo meccanismo appare regolato dai livelli di ossigeno nel tessuto cavernoso.
È possibile quindi che condizioni di ipossia cronica possano, attraverso tali meccanismi, essere responsabili di una alterazione strutturale in senso fibrotico del tessuto erettile, cui consegue un’alterata compliance del tessuto cavernoso e deficit erettile da disfunzione caverno-occlusiva.
Allo stesso modo la durata del deficit erettile preoperatorio potrebbe modificare l’assetto strutturale del tessuto erettile deteriorandone le qualità funzionali.
Tali meccanismi, se confermati, renderebbero in parte ragione del frequente riscontro di anastomosi dotate di buona potenza in sede di by-pass arterioso e di concomitanti risultati funzionali in termini di performance sessuale non ottimali.