M.D. numero 35, 22 novembre 2006

Diario ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia - Cronaca di una settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia, Docente Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine

Lunedì
Assistere le famiglie per molti anni, avere una profonda conoscenza delle dinamiche familiari e dei singoli componenti è un privilegio della nostra professione. Quanto succede è, per questi motivi, spesso previsto.
Quando Amalia ci ha telefonato disperata, dicendo che è venuta a sapere che il figlio ventenne si droga da molti mesi, non ci siamo sorpresi. Era come fosse tutto già scritto. Rientrava nel quadro. Padre assente, madre immatura, figli deboli e viziati da genitori senza autorevolezza, modelli insulsi e miti sbagliati.
Oggi la famiglia, per la prima volta tutta riunita, è venuta in studio. La richiesta è di aiuto, ci viene chiesto di curare un malato, di attivare le risorse mediche e sociali, di affrontare e risolvere un caso clinico.
Ma non si tratta solo di un caso clinico! Faremo tutto quanto in nostro potere; cercheremo di assistere il ragazzo, consiglieremo i genitori, daremo un supporto farmacologico e collaboreremo fattivamente con i colleghi del Servizio per le tossicodipendenze. Ma temiamo che anche quanto succederà possa essere previsto.

Martedì

Si ha l’impressione che la maggior parte della gente pensi che la medicina possa risolvere tutti i problemi. D’altro canto è quanto i media ripetono ogni giorno, perché non dovrebbe essere così? Tutti i problemi di salute sono risolvibili dalla medicina moderna: è l’undicesimo comandamento. Nel nostro Paese in particolare non esiste il diritto alla cura e all’assistenza, ma esiste, propriamente, il diritto alla salute. Si ha l’impressione anche che molti colleghi non abbiano il coraggio di dire la verità ai pazienti proprio per non infrangere questo comandamento.
Infrangerlo può significare perdere il paziente, essere additato come incapace e senza scrupoli e, in ogni caso, essere considerato (anche dai colleghi) un eretico presuntuoso.
La figlia di Maria mi chiede un trattamento per l’osteoporosi della madre ottantatreenne affetta da carcinoma ovarico metastatizzato. Le condizioni della signora sono gravissime, la paziente è cachettica e molto probabilmente ha una spettanza di vita brevissima. L’osteoporosi è ovviamente l’ultimo dei suoi problemi, ma la figlia insiste. L’oncologo continua la chemioterapia con cisplatino e proseguono gli accertamenti settimanali. La salute è anche, e soprattutto, per lei un diritto.
Ma ho deciso di infrangere l’undicesimo comandamento, meglio la verità, meglio le leggi della vita (e della morte) che l’ipocrisia.

Mercoledì

Bruna ha quasi settanta anni, è una bella signora, ci tiene molto al suo aspetto, si trucca e si veste con eleganza e non trascura il suo fisico. È vedova da qualche anno; con il marito aveva un gran bel rapporto, stava bene; il tempo li aveva resi molto simili. Quando ha perso il marito ha sofferto molto, si è ritrovata sola senza amici con cui condividere i suoi interessi.
Da qualche mese ha conosciuto un uomo, è venuta a dirmelo perché voleva sapere cosa ne pensassi.
Oggi mi ha mostrato di nuovo una cicatrice all’addome, brutto esito di un vecchio intervento di colecistectomia. Quella cicatrice non era mai stata per lei un problema, a suo marito non dava fastidio, faceva parte della loro storia, ma cosa ne avrebbe pensato un nuovo partner?
È venuta a chiedermi un consiglio. Mi sono tornate in mente le battute che suo marito e io ci scambiavamo sulle donne e, sicuro di avere il suo consenso, ho consigliato alla signora un buon chirurgo plastico.

Giovedì

Da qualche giorno stiamo seguendo una giovane al primo trimestre di gravidanza. Non riusciva a nutrirsi, vomitava alla vista del cibo ed era visibilmente disidratata. Non si reggeva più in piedi e stava veramente male.
Si è recata al pronto soccorso del vicino ospedale dove è stata fatta visitare da un ginecologo. Il collega non ha permesso al marito di assistere alla visita e ha congedato la paziente con la prescrizione di un antiemetico.
Tutto è stato fatto correttamente, ma la paziente ha continuato a stare male.
Quando è venuta in ambulatorio l’abbiamo idratata per via endovenosa, le abbiamo prescritto soltanto delle supposte omeopatiche e abbiamo parlato, soprattutto parlato.
La giovane coppia ci ha espresso timori e dubbi e noi abbiamo manifestato tutta la nostra disponibilità. Non abbiamo fatto alcunché di particolare, ma la paziente si è sentita meglio fin da subito.
L’azione tecnica è stata il pretesto per trasmettere sicurezza, empatia e amore e il risultato, pur con scarsissime risorse, è stato enorme.

Venerdì

Sono molti i pazienti che non aderiscono correttamente alla terapia farmacologica.
Contrariamente a quanto si pensa, di solito non sono anziani, ma giovani. C’è chi sottovaluta l’effetto dei farmaci e chi crede di regolarsi in base ai sintomi.
Ci sono diabetici che assumono la terapia orale secondo i criteri più svariati e ipertesi che prendono la compressa solo se hanno mal di testa.
Questo nonostante il nostro impegno continuo nell’educazione e nella informazione.
C’è chi continua ad assumere farmaci che sono stati sostituiti da altri più efficaci e chi non racconta la verità. Tutto questo con un’assistenza e un controllo assidui e continui.
Spesso ci domandiamo cosa succederebbe senza la conoscenza delle persone e la continuità assistenziale garantita dalla medicina di famiglia.

Sabato

Stavo guidando quando, da casa, mi hanno avvertito che una signora chiedeva una visita domiciliare per il figlio.
Conosco la signora da anni e so che se mi chiama significa che è allarmata sul serio.
Ho deciso di invertire la marcia e andare a vedere il ragazzo. Antonio ha venticinque anni, è sempre stato bene ed è un ottimista.
Quando l’ho visto era pallido e sudato, aveva un respiro affannoso, superficiale e molto frequente.
Aveva un dolore all’emitorace destro, insorto improvvisamente a seguito di un movimento banale.
Avevo già fatto diagnosi prima di visitarlo. L’esame obiettivo ha confermato il sospetto: pneumotorace spontaneo. Ho inviato il paziente in ospedale.
Uscito di casa ho pensato ancora una volta quanto sia fondamentale la conoscenza delle persone che questa nostra professione ci permette. Non abbiamo bisogno di dividere le richieste secondo un codice a colori, la conoscenza e l’esperienza sono fondamentali.
C’è anche da dire che noi siamo gli esperti delle malattie frequenti e delle patologie croniche; un pneumotorace è abbastanza raro nella pratica quotidiana e siccome noi medici facciamo diagnosi di ciò che conosciamo, penso anche a quanto sia importante, per i giovani colleghi, la preparazione nelle emergenze.