M.D. numero 35, 22 novembre 2006

Pratica medica
La storia di Giacomo
di Paolo Giarrusso - Medico di medicina generale, Palermo

La storia di Giacomo è uno di quei casi che costituisce il patrimonio proprio della medicina di famiglia: evidenzia come la malattia si intercali con la vita degli individui e come spesso i problemi patologici siano plurimi e le soluzioni proposte non sempre ottimali. Inoltre testimonia l’opera di continuità assistenziale, di cure e di counselling che fa di questa branca della medicina una specialità unica con peculiari caratteristiche.

Giacomo era una persona brillante, estrosa e, nonostante la storia patologica, sempre ottimista e pieno di affetto e di premure verso i suoi cari. Era nato nel 1946, in provincia di Palermo. Sposatosi a 24 anni diventò padre nel 1972 e 1974. Lavorava in proprio e conduceva un’importante libreria.
Lo conobbi in occasione di una colica biliare nel 1990, allora aveva 44 anni ed erano già accaduti quegli eventi che avrebbero inciso in maniera significativa nella sua vita.
Nel 1976 per un’emorragia digestiva da ulcera duodenale era stato sottoposto a intervento di gastroresezione secondo Billroth II (H2-bloccanti e inibitori di pompa protonica non erano ancora entrati nell’uso corrente) e venne emotrasfuso.
Dopo averlo visitato gli consigliai un’ecografia epatica che evidenziò una calcolosi biliare.
Giacomo venne colecistectomizzato per via laparotomica e in quell’occasione risultò positivo all’HBsAg, verosimilmente secondaria all’emotrasfusione del 1976.
Diventammo amici, anche se Giacomo difficilmente venne a trovarmi in ambulatorio, nonostante lo avessi invitato a controllarsi periodicamente per approfondire il problema epatico. Ogni tanto vedevo la moglie che mi confidava che era sempre impegnato per motivi di lavoro, fumava almeno 30 sigarette/die, ma fortunatamente non beveva alcolici.
Nel 1994 la moglie mi telefonò pregandomi di andare a trovare Giacomo nel reparto di cardiologia, perché aveva avuto un infarto miocardico anteriore. Andai a trovarlo pochi giorni prima che venisse trasferito in cardiochirurgia per essere sottoposto a bypass aorto-coronarico.
Dopo circa un mese lo rividi in ambulatorio: aveva superato brillantemente il decorso post-operatorio. Gli spiegai perché avrebbe dovuto praticare la terapia prescritta a base di betabloccante, furosemide, omeprazolo e magnesio idrossido+algeldrato. Gli consigliai la cessazione dal fumo e di non aumentare di peso. Mi offrii per prenotare una consulenza epatologica in un centro di riferimento, consulenza che Giacomo non ritenne opportuna, perché quando era stato operato gli avevano detto che “il fegato era malato, ma le transaminasi normali”.
Non lo vidi più, anche se avevo notizie dalla moglie. Venni così a sapere che aveva ripreso a fumare, a condurre una vita stressante ed era aumentato di peso.

Decorso clinico


Giacomo venne a trovarmi nel 1996 per la comparsa di una modesta succulenza agli arti inferiori che attribuiva al “cuore”. La presenza di succulenza mi fece sorgere dei dubbi, anche perché notai un modesto eritema palmare e teleangectasie al volto.
Investendomi di autorità lo minacciai: se non mi avesse ubbidito lo avrei ricusato. Solo così, quasi a malincuore, si convinse a sottoporsi al controllo epatologico.
La risposta era scontata: cirrosi epatica HVB positiva con segni clinici di scompenso e con segni strumentali di ipertensione portale, in paziente con cardiopatia ischemica-ipertensiva già sottoposto a bypass aorto-coronarico.
Finalmente persuaso a farsi controllare, in accordo con il Centro di gastroenterologia venne periodicamente monitorizzato con indagini ematochimiche (AST/ALT, gammaGT, ALP, alfa-fetoproteina, ecc) e a frequenza più distanziata con ecografie dell’addome.

Aggravamento ed exitus


Tutto filò liscio fino al giugno 2001, quando la moglie mi riferì che Giacomo soffriva spesso di una strana sonnolenza postprandiale e che a volte gli tremavano le mani. Nel sospetto di un’encefalopatia portosistemica aggiunsi alla consueta terapia il lattulosio, con buoni risultati.
Nel frattempo mi attivai, in accordo con i gastroenterologi, per inviare Giacomo in un Centro di chirurgia di eccellenza per un’eventuale trapianto di fegato.
Controllato periodicamente, Giacomo non arriverà mai all’auspicato trapianto. Nel dicembre 2003 in seguito alla comparsa di una broncopolmonite massiva bilaterale le condizioni cliniche precipitarono per l’aggravarsi delle già precarie funzionalità epatiche e renali: entrerà in oligoanuria fino al coma epatico terminale, da cui non uscirà più.

Considerazioni


Questo caso evidenzia come solo la medicina di famiglia permetta di avere un rapporto tra medico e paziente così intenso come quello che si ricava da una vita percorsa per lunghi tratti insieme.
L’auspicio è invece che storie simili non abbiano più a ripetersi, sia per le prospettive aperte dalle nuove terapie antivirali sia perché la vaccinazione anti-HBV, da anni praticata nel nostro Paese, possa incidere positivamente sulla storia naturale dell’infezione.