M.D. numero 36, 29 novembre 2006

Note stonate
Sanitario: un termine ambiguo

Woody Allen ha sostenuto in una intervista che la psicanalisi, interessantissimo costrutto teorico, ma con scarse se non scarsissime evidenze scientifiche (Freud ha vinto un premio letterario), continuerebbe a prosperare in quanto sostenuta dall’industria dei divani. L’arguta battuta aiuta a riproporre all’attenzione dei lettori di M.D. la questione delle figure non mediche con cariche di potere dirigenziale all’interno delle aziende sanitarie.
Forse è utile ricordare che “sanitario” non significa “medico”, ma comprende tutte quelle figure professionali che operano nell’ambiente della salute. Il termine “clinico” inoltre, lontano dal fatto di essere sinonimo o equivalente di “medico”, sta a indicare le professioni di medico e di psicologo. Questa “belle indifference” tra i termini ha creato una legislazione normativa che permette a figure non mediche di occupare ruoli e funzioni (stipendi e pensioni) storicamente, culturalmente e scientificamente di natura medica.
Pensiamo ai primariati SerT, a quelli di Salute Mentale, di Riabilitazione Psichiatrica, per non dire di distretti o servizi territoriali, dell’igiene pubblica diretta da veterinari, di laboratori pubblici diretti da biologi.
In certe aziende pare che il criterio per far carriera sia proprio quella di non essere medico e soprattutto, come premessa di merito, essere un pedagogista. Qualche punteggio in favore del candidato alla carriera può essere aggiunto se quest’ultimo è stato poi risanato a psicologo. L’apice del gradimento e della manifestazione di riconoscenza aziendale (leggi carriera premio) si raggiunge quando il carico di lavoro di questi operatori è di numero uno pazienti all’anno (a volte anche meno se si sovrappongono malattie, ferie, corsi, riunioni).
Ma come tutti sanno le indagini della Finanza si concentrano sulle ricette, non perfette, redatte dai medici di medicina generale, vero scandalo economico e causa del disavanzo del Ssn.
Sarebbe interessante che i responsabili nazionali della categoria si pronunciassero sulla questione (senza rifugiarsi nel politicamente corretto delle leggi, che comunque sono modificabili ancorché alquanto datate o nelle attività delle finte commissioni) dei medici comandati e spesso oltraggiati e disprezzati da non medici posti a dirigerli dalle normative aziendali.
Forse, per rendere il tutto coerente e non meritevole di intervento politico, provocatoriamente dico che occorrerebbe modificare o abolire alcuni articoli del Codice Deontologico (1998) per esempio gli articoli 12, 15, 20, 57, 67 o l’Ordine dei Medici.

Luter Blissett

Mantova


Un corteo di liberi professionisti, ma senza medici


Non capita troppo spesso di assistere a manifestazioni come quella svoltasi il mese scorso che a suo modo e per diversi motivi segna un vero e proprio evento. Le vie di Roma sono abituate a ospitare le più pittoresche forme di protesta: tuttavia un corteo in doppio petto, grisaglia, giacca e cravatta non si era mai visto. Così per un giorno decine di migliaia di professionisti sono balzati alle cronache politiche per la giornata di protesta indetta contro la legge Finanziaria e la legge Bersani, che ha introdotto le cosiddette liberalizzazioni nel settore delle professioni.
Associazioni professionali e ordini di avvocati, architetti, consulenti del lavoro, agronomi, chimici, geometri, ingegneri, paramedici, farmacisti, geologi ecc. hanno risposto in massa e in forma corale alla manifestazione indetta dal CUP (Comitato Unitario Professioni) e si sono ritrovati in decine di migliaia per le strade romane, con il pubblico sostegno di numerosi politici dell’opposizione presenti alla manifestazione.
Con lo slogan “le professioni per lo sviluppo dell’Italia, la proposta del CUP” le 44 organizzazioni aderenti hanno sollecitato una riforma delle professioni ispirata ai principi di fondo che Raffaele Sirica, presidente del CUP, ha esposto nel suo discorso:
• Autonomia ed indipendenza del professionista e distinzione tra prestazione professionale ed attività d’impresa.
• Rispetto dei principi di competitività.
• Garanzia di qualità delle prestazioni ed obbligo dell’aggiornamento professionale continuo.
• Netta distinzione tra professioni regolamentate ed attività non regolamentate.
• Conformità ai dettati del Parlamento Europeo e alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Originariamente organizzata e convocata per far sentire la voce delle varie categorie in materia di riforma degli Ordini professionali, la manifestazione si è caricata di ulteriori significati polemici in relazione alle nuove norme fiscali sull’IRPEF introdotte con la bozza di Legge finanziaria 2007 che penalizzano proprio il cosiddetto ceto medio professionale.
Il clamore mediatico destato dalla protesta dei professionisti è stato inversamente proporzionale all’interesse con cui le associazioni dei medici hanno seguito l’evento.
I siti nazionali ufficiali dei principali sindacati medici dell’area convezionata (Fimmg, Snami, Cumi-Unamef) e della dipendenza (Anaao-Assomed, Cimo, Snami-Ospedalieri) hanno dedicato scarsa attenzione all’evento, sia nella fase preparatoria sia nelle cronache e nelle reazioni successive alla manifestazione romana. Per esempio a livello locale non si sono apprezzati segni di mobilitazione e di partecipazione organizzata analoghi a quelli di altre categorie.
Dalla ricerca via Internet e dall’esame dei comunicati ufficiali non è possibile risalire alla posizione ufficiale delle singole organizzazioni, ma dall’insieme delle reazioni informali pare proprio che non vi sia stata quella convinta adesione alla manifestazione di Roma che ci si poteva attendere. Con la sola eccezione della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici che ha emesso un comunicato di appoggio tutto sommato tiepido.
Insomma, anche se è sfuggito ai più, il grande assente alla manifestazione è stato proprio il mondo medico.
E non è un caso. Le strade dei professionisti e quelle della stragrande maggioranza dei medici che lavorano nell’ambito del Servizio sanitario nazionale di fatto si sono ormai divaricate. Il primo segnale è venuto durante l’estate con la legge sulla liberalizzazione delle professioni.
Proprio la Legge Bersani ha sancito la separazione formale dei professionisti della salute, che gravitano nell’area della sanità pubblica, dal vero e proprio mercato in cui domanda e offerta di prestazioni si incontrano in forma diretta, nella persona dell’acquirente e del fornitore privato senza la mediazione del terzo pagante. L’articolo due della legge Bersani ha circoscritto attorno al Ssn una sorta di zona franca dal libero mercato, anche se gli sforzi dei gestori pubblici in questi ultimi anni sono stati indirizzati proprio ad aumentare l’efficienza dei servizi sanitari, mediante robuste iniezioni di logiche aziendalistiche, libertà di scelta del consumatore e concorrenza tra fornitori.
In questo senso la Convenzione unica per la medicina convenzionata costituisce una forma di “quasi mercato” ante litteram; la medicina generale è infatti un tipico esempio di esternalizzazione di una funzione non più gestita dal personale dipendente, ma affidata ad un soggetto autonomo rispetto alle aziende, tramite la funzione di committenza verso il privato.
Ciononostante la manifestazione ha rappresentato il corrispettivo della Legge Bersani sul piano sociale e pubblico.
Identità professionale, interessi e status socioeconomico dei liberi professionisti privati non collimano più con quelli dei medici che gravitano nell’area del servizio sanitario. Questo è il dato sociologico forte che emerge dagli eventi degli ultimi mesi, che probabilmente segnano una svolta storica nei rapporti tra lo Stato e le professioni e tra le diverse figure del variegato mondo delle professioni.

Giuseppe Belleri

Medico di medicina generale
Flero (BS)