M.D. numero 37, 6 dicembre 2006

Appunti
Interrogativi sulla utilità dei controlli online

Nella medicina generale sono di moda, almeno in qualche Regione, i sistemi di prescrizione online. Come ho già osservato altre volte, non è chiaro a che cosa servano, dato che sarebbe molto più semplice e meno costoso un “upload” a fine giornata del lavoro svolto. L’aspetto economico più tragico è però che, on o off line che sia, la raccolta dei dati sembra utilizzata per indagini del tutto prive di significato. Il massimo della sofisticazione statistica raggiunta è l’individuazione dei medici le cui prescrizioni superano i limiti teorici fissati a tavolino.
Tra le possibilità non esplorate di questa raccolta di dati ce ne è una facile e proficua che potrebbe fare luce su alcuni interessanti aspetti di economia sanitaria. Si tratta del collegamento fra le prescrizioni di farmaci o accertamenti diagnostici rilasciate dai medici e la loro ricaduta in termini di acquisto reale di farmaci o effettuazione di accertamenti diagnostici. Istruttivo sarebbe verificare quale sia il rapporto percentuale che intercorre tra le prescrizioni trascritte e quelle effettivamente realizzate.
Da una parte i ragionieri del Ssn sarebbero felici se una quota consistente delle prescrizioni fosse cestinata dai pazienti, ciò indubbiamente farebbe risparmiare denaro contante alle casse del Ssn, ed è forse per questo che non vogliono andare a “disturbare il can che dorme”. D’altra parte però una corretta gestione economica della medicina generale non può prescindere da una valutazione di quali esiti abbiano le ore di lavoro dei Mmg. Ogni singola prescrizione richiede mediamente un paio di minuti e se, come dovrebbe accadere, è preceduta da una pur minima visita, il tempo di quest’atto medico raggiunge almeno il quarto d’ora.
Traducendo: un assistito utilizza gratis da 2 a 15 minuti del tempo di un professionista incaricato di pubblico servizio, pagato non poco dalla collettività, per ottenere la soluzione di un problema di salute. Il professionista non giunge a una conclusione completa del problema e ritiene che per tale soluzione siano necessari un farmaco o ulteriori accertamenti, ma il paziente in autonomia decide di non averne bisogno. Con questa sua decisione, inficia tutto il procedimento clinico per il quale si era rivolto al medico e quindi anche la legittimità del suo rivolgersi al medico. Quel paziente avrebbe dovuto starsene a casa, anzicché occupare del tempo sottraendolo ad altri assistiti. Può darsi che si sia sentito “guarito” solo dal fatto di essere andato dal medico (o di averlo chiamato a casa) e di aver parlato con lui, può darsi che questa “iatroterapia” piaccia a molti medici felici di non esporsi a errori e di non essere richiamati dalla Asl per eccessi di spesa, può darsi che la “iatroterapia” piaccia anche al Ssn, che non deve sborsare soldi per farmaci ed esami, ma rimane da chiedersi fino a che punto ciò rappresenti un risparmio.
La “iatroterapia” si può fare anche senza prescrivere farmaci o accertamenti che poi non verranno eseguiti, basta sapere ascoltare e colloquiare col paziente. Se al termine del colloquio si fa una prescrizione, si deve presumere che sia necessaria. Se, al contrario, si vuole ritenere che non lo sia, bisogna anche supporre che il medico abbia la tendenza a prescrivere immotivatamente. Ciò comporta da una parte una spesa inutile relativa a quelle volte in cui il paziente effettivamente acquista e prende i farmaci e fa gli accertamenti, dall’altra che, per prescrivere senza necessità, il medico abbia perso parte della sua competenza clinica. Perché supporre che il medico abbia perso la competenza clinica? Forse perché le “regole del gioco” lo obbligano a vedere pazienti indolenti. E se comunque ha perso competenza clinica, ha senso continuare a pagarlo?
Forse sono questi interrogativi che spaventano i funzionari ed è per timore delle risposte che preferiscono continuare coi loro giochini innocui. Intanto però noi cittadini paghiamo i loro inutili giocattoli.

Antonio Attanasio

Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)

Punture - La buona sanità non fa scoop e quindi si ignora
A San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, già dal 2003 esiste un gruppo di medici che hanno costituito di fatto una UTAP. Il tutto è stato realizzato autofinanziandosi. Questi medici si tassano di una certa somma, prelevandola dagli emolumenti mensili relativi alla convenzione, per pagare affitto, acqua, luce, telefono, ma soprattutto dipendenti (una infermiera e due segretari) e hanno lo studio aperto mattina e pomeriggio per un utenza di circa ottomila assistiti.
I medici hanno più volte chiesto aiuto alla ASL di appartenenza (NA 5), non esigendo un finanziamento, ma solo di accettare la loro realtà sul territorio e di potere fare affidamento su una propria continuità assistenziale oltre che su medici specialisti che lavorino intramoenia.
Le autorità non solo hanno sempre nicchiato, malgrado la legge legittimi la richiesta, ma hanno creato veri e propri ostacoli con disagi allo svolgimento del lavoro.
Si parla di cattivi medici e di malasanità: questo fa scoop e si mette in evidenza. Professionisti attenti alle esigenze dei propri assistiti, che, utilizzando gli strumenti messi loro a disposizione dalla legge e dall’ACN, prendono iniziative per qualificare la loro professione, che non chiedono altro se non di potere ottimizzare il loro lavoro dando un’assistenza migliore, non fanno scoop e sono ignorati.
Ma perché in sanità si deve sempre premiare il cattivo e non il buono che esiste?

Centro Medicina Domani

www.medicinadomani.net - San Giorgio a Cremano (NA)