M.D. numero 37, 6 dicembre 2006

Focus on
Riforma degli Ordini: avanti, ma come?
di Monica Di Sisto

Il progetto di legge delega sul riordino delle professioni intellettuali pone una serie di interrogativi e preoccupazioni ai professionisti della sanità, in particolare ai medici.
In quanto “categoria professionale di interesse generale” i medici non dovrebbero assistere alla abolizione dell’Ordine, ma dal progetto di legge emerge il rischio che la fisionomia stessa della professione venga messa in gioco assieme alle garanzie per i cittadini.

Erano in cinquantamila e di tutti gli ordini professionali. Nella “marcia su Roma” dello scorso ottobre chiedevano, a voce unica, una maggiore concertazione su quella che si annuncia come l’ennesima rivoluzione copernicana per le professioni, sotto la spinta liberalizzatrice esercitata dalla disciplina comunitaria. La proposta di legge del ministro della Giustizia Clemente Mastella, recentemente presentata alle categorie, stabilisce i punti essenziali della riforma di tutte le professioni intellettuali e delega il Governo a emanare, entro 18 mesi, decreti legislativi atti a disciplinare le singo-le professioni. L’impostazione che sembra prevalere a una prima lettura è quella di una rifondazione radicale della materia delle professioni. Con la conseguenza che tutte quelle esistenti dovrebbero essere riconsiderate a seconda che rispondano o meno ai nuovi criteri. Vengono individuate due categorie di professioni: quelle di interesse generale che dovranno essere rappresentate da Ordin, e le altre che dovranno essere organizzate in Associazioni Riconosciute. La bozza di decreto non precisa quali siano le professioni che rientrano nelle due fasce (anche se quella medica è quasi scontato verrà ricompressa nella prima) e rinvia la selezione ai decreti delegati che il Governo dovrà emanare.
Il Guardasigilli nell’elaborare la proposta ha senza dubbio puntato la bussola a un’apertura del mercato professionale italiano verso una maggiore concorrenza, come più volte richiesto al nostro Paese anche dall’Europa e dal garante Antitrust che si è fatto spesso interprete di un’armonizzazione delle normative.

I punti più caldi del provvedimento


Il CUP, Comitato Unitario delle Professioni, presieduto dall’arch. Raffaele Sirica, ha espresso preoccupazione sul progetto legislativo per l’eccesso di delega al Governo. Inoltre ha rimarcato che nel testo non c’è norma che garantisca la sopravvivenza delle attuali professioni. I principali emendamenti concordati da tutte le professioni attraverso il CUP chiedono:

  • il mantenimento di tutti i 27 Ordini a prescindere da giustificazioni di interesse pubblico;
  • la fissazione di tariffe sia nel campo privato sia in quello pubblico (evidentemente obbligatorie, visto che le tariffe esistono poiché la legge Bersani non le ha cancellate, ma solo rese non obbligatorie), per prestazioni per attività riservate o di evidenza pubblica;
  • che i Collegi vengano trasformati in Ordini;
  • che non sia concessa agli iscritti agli Ordini la libertà di costituire Associazioni Riconosciute. Infatti si teme che le Associazioni possano acquistare più credito degli Ordini presso l’opinione pubblica e la classe politica.

I passaggi del provvedimento che destano più preoccupazioni fra medici, rappresentati in questa trattativa dalla FNOMCeO, si concentrano sulla fisionomia stessa dell’essere professione e sulle garanzie per i cittadini. Il Governo è delegato a emanare i decreti di disciplina delle professioni e delle loro forme entro soli 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un periodo troppo breve, sostengono gli Ordini, per una consultazione sostanziale.
All’art. 2, dove si dettano i principi generali della delega, ci sono le modifiche sostanziose. Innanzitutto si prevede che l’accesso alle professioni “sia libero, in conformità al diritto comunitario, senza vincoli di predeterminazione numerica se non per le specifiche eccezioni concernenti le attività professionali caratterizzate dall’esercizio di funzioni pubbliche”. Un comma che solo parzialmente consentirebbe, nel caso dei medici, un efficace governo della pletora.
Si prevede che “la professione si possa esercitare in forma individuale o associata, o in forma societaria”, con la previsione della possibilità di un conferimento di capitali alle stesse senza una determinazione ulteriore, rimandata alla delega.
L’articolo ha un’impostazione marcatamente consumistica, prevede: l’“adeguata tutela del cliente e degli interessi pubblici eventualmente connessi all’esercizio della professione”; il rispetto delle regole deontologiche; la diretta e personale responsabilità del professionista per il risarcimento del danno ingiusto derivante dalla prestazione, l’ipotesi dell’istituzione di un organismo pubblico cui demandare funzioni di coordinamento di tali attività.
Altra questione spinosa è l’apertura alla “pubblicità relativamente ai titoli e alle specializzazioni professionali, alle caratteristiche del servizio professionale offerto, ai costi complessivi delle prestazioni”, pur stabilendo che la pubblicità abbia carattere informativo.
Problemi si prefigurano anche con il comma che stabilisce che “il corrispettivo della prestazione sia fissato con determinazione consensuale delle parti (...)”.
Rimarrebbe in capo agli Ordini nazionali “l’adozione dei codici deontologici, la promozione della qualità delle prestazioni e la completa informazione del pubblico in materia di prestazioni professionali”.
Ma anche “la formazione tecnico-professionale dei propri iscritti, l’aggiornamento, la promozione di modelli organizzativi adeguati allo sviluppo tecnologico del contesto socio-economico”, con buona pace della devolution.

Il dibattito tra i medici


Ordine e sindacati medici si sono subito incontrati per sviluppare una posizione comune, o quantomeno non incompatibile. Massimo Cozza, segretario di Fp Cgil, ha parlato di “occasione epocale” per mettere mano “all’anacronismo dell’Ordine che annovera meccanismi elettorali che risalgono a quasi 100 anni fa, dove i votanti sono ormai rimasti circa il 10%, e con nessuna rappresentanza delle minoranze”.
Amedeo Bianco, presidente FNOMCeO, non si è sottratto al confronto ritrovando al suo fianco il ministro per la Salute Livia Turco che intervenendo ad un convegno dell’Ordine ha subito chiarito: “Gli Ordini delle professioni sanitarie, a partire da quello dei medici, vanno 'difesi' perché non rappresentano interessi corporativi, ma strumenti a tutela del bene salute. Sosterrò questa posizione in Consiglio dei Ministri perché il bene salute richiede una formazione e una trattazione particolari”. Secondo il ministro tutti gli ordini professionali della sanità, vecchi e istituendi, sono parte fondamentale del governo del sistema sanitario e basilari per quella garanzia di qualità nell’esercizio professionale che diventa sempre di più indicatore per eccellenza di un buon sistema sanitario e della sua capacità di porre al centro il cittadino e i suoi bisogni. Turco ha quindi ricordato che “il riconoscimento della funzione di capofila al ministero della Salute nella stesura delle deleghe relative alle professioni mediche, odontoiatriche e sanitarie in genere, sia una testimonianza inequivocabile della convinzione di questo governo sulla peculiarità e unicità delle professioni sanitarie rispetto al mondo professionale nel suo insieme”.
E su questo tema ha riconquistato la ribalta Giuseppe Del Barone, ex presidente FNOMCeO e oggi presidente del nuovo Sindacato dei Medici Italiani.
“Sul progetto di riforma degli Ordini - ha spiegato - il nostro giudizio non è del tutto negativo, anche se tanti sono i dubbi e i nodi da sciogliere. La normativa sugli Ordini professionali è certamente datata, ma i principi di indipendenza e il portato storico della tradizione ordinistica devono essere preservati. Il nuovo sindacato si pone come suo obiettivo preciso far uscire l’Ordine dal ruolo puramente amministrativo e notarile, per poter assumere la funzione di garante della qualità professionale degli iscritti e di artefice del miglioramento dell’assistenza ai cittadini”. L’obiettivo per Del Barone è “riuscire con un impegno corale a rompere schemi culturali obsoleti, superare anacronistiche divisioni interne alla professione medica e tra le altre professioni sanitarie”.