M.D. numero 37, 6 dicembre 2006

Riflettori
Nuova Convenzione: il ripasso dei “fondamentali”
di Rebecca Lamini

I Mmg italiani trovano una nuova compattezza e lo fanno nel nome di un nuovo ACN: un Accordo Collettivo Nazionale “leggero”, da ricominciare a discutere al più presto con la Sisac, per uscire dalle secche degli accordi regionali e cominciare a guardare oltre lo steccato, forti delle risorse aggiuntive, seppur esigue, che la nuova legge Finanziaria ha messo a disposizione della sanità italiana, pur connotandosi come legge “delle lacrime”.

Il nuovo ACN, secondo la convergenza espressa da Snami e Fimmg, non dovrebbe interrompere il lento procedere degli Accordi regionali, adeguando però il contributo previdenziale, risolvendo qualche altro aspetto normativo e, soprattutto, recuperando quella agenda sindacale che la Convenzione aveva decretato di far rispettare con la massima puntualità, evocando addirittura poteri sostitutivi che, in concreto, non è mai riuscita a esercitare neppure parzialmente.
La priorità della Fimmg, dichiarate dal segretario Giacomo Milillo durante il suo intervento al Convegno Snami: “Le giornate della Medicina Generale” svoltosi di recente a Como,“è il rinnovo puntuale della convenzione che dia al medico di famiglia certezze e che dovrebbe portare a un incremento economico reale, non posticipato con perdita del suo valore intrinseco”. Il nuovo accordo “porrebbe il medico di medicina generale in un ruolo centrale e non marginale rispetto al panorama della Sanità italiana, che vede fondi economici certi per l’ospedale e i dipendenti medici e uno stanziamento opzionale, non sicuro, per i medici di famiglia”. Un Accordo nazionale in versione ridotta, ha chiarito Milillo “è tra l’altro la soluzione migliore in previsione di una rifondazione della medicina generale con lo strumento legislativo, proposta dalla Fimmg”.
La figura del medico di medicina generale “è minata dalla burocrazia, con il rischio di scomparsa del rapporto medico-paziente”, ha commentato Roberto Anzalone, presidente onorario Snami.
Il ripensamento della medicina del territorio, anche considerando “l’entusiasmo istituzionale” verso le cure primarie, è sostanziale visto che, come ha avuto modo di spiegare Roberto Carlo Rossi, segretario Snami “oggi si commette l’errore di confondere i requisiti di struttura con quelli di sostanza e dire che un medico è più bravo dell’altro se ha lo studio con segretaria o infermiera”. Mauro Martini, presidente Snami Lombardia, ha dichiarato che i Mmg chiedono al mondo politico “di non puntare solo sull’organizzazione, di cui si parla tanto con l’idea della Casa della Salute. Serve un segnale forte per non trasformare il medico di famiglia nel passacarte del territorio, bensì per garantirgli la possibilità di essere un medico personale forte di un rapporto elettivo e continuativo con il suo paziente”.

Dalla Cumi la sfida organizzativa


Ma anche il neo Sindacato dei Medici Italiani (nato dall’unione di Cumiaiss, Unamef, Sindacato Evoluzione Medica, che ha la sua base associativa in Lombardia e l’Associazione Pediatri Italiani, sindacato dei pediatri già federato con Cumiaiss), ha indicato nella lotta alla burocrazia e alla rifondazione del senso della medicina generale una parte importante della propria mission. “I medici - ha spiegato il neo segretario Salvo Calì - sono chiamati a una nuova stagione di protagonismo che li vede impegnati sui grandi temi della rimodulazione dell’offerta dei servizi e delle prestazioni sanitarie a fronte di un progressivo, per molti versi dirompente, cambiamento della domanda”.
Le stesse Case della Salute, tanto propagandate e “così care al nostro ministro della Salute - ha sottolineato Calì - non si inventano dall’oggi al domani. Nutriamo forti dubbi sulla possibilità che nel breve periodo possa affermarsi nel nostro Paese un nuovo modello assistenziale sulla base di uno slogan, pur affascinante e che sintetizza la necessità di costruire nel territorio punti di riferimento che colpiscano l’immaginario collettivo e siano altrettanto rassicuranti come l’ospedale e i suoi mille anni di storia”. Di altro ha urgente bisogno il sistema delle cure primarie, secondo Calì “forse anche delle Case della Salute sotto altra veste rispetto a quella immaginata dal ministro: si pensi agli ex presidi ospedalieri di zona, alla loro capillare presenza nel territorio, alla possibilità di implementarne le funzioni, di arricchirne la risposta specialistica, integrandoli sempre più con il territorio, di promuovere al loro interno l’osservazione e i ricoveri brevi, di potenziarne il pronto soccorso e le astanterie, di avviare attività ambulatoriali di medicina generale e di specialistica, riservando spazi ai medici di famiglia, agli specialisti ambulatoriali ai pediatri di libera scelta, coinvolgendoli nei processi organizzativi e decisionali interni”.
La stessa forma convenzionale, secondo Calì è rimasta ancorata ai modelli organizzativi dell’area delle cure primarie maturati dopo la riforma sanitaria del 1978. “È come un albero vecchio in cui, al massimo, si fanno degli innesti per ringiovanirlo: piante organiche definite dal rapporto ottimale, massimale di scelte, impianto formativo inadeguato rispetto ai bisogni emergenti, erogazione dell’assistenza sanitaria organizzata prevalentemente attorno all’ambulatorio del medico di famiglia, marginalità delle forme associative”.

Alla ricerca del rinnovamento


Paolo Tedeschi, ricercatore Cergas della Università Bocconi di Milano, intervenendo al convegno dello Snami, ha riproposto una vecchia provocazione di Elio Borgonovi (SDA Bocconi): da un lato oggi si teme il “rischio di spersonalizzazione del rapporto medico-paziente”, dall’altra si prospetta che “i Mmg diventino

Una fotografia ‘scomoda’ della Medicina Generale
  • Il Mmg è un libero professionista convenzionato con il Ssn.
  • Non esiste una ECM specifica per la disciplina e i Mmg.
  • L’accesso alla professione è rigido, ma non necessariamente
    meritocratico.
  • L’attività è altamente regolamentata, ma non necessariamente
    responsabilizzante.
  • I medici convenzionati non fanno carriera.
  • Il 60% dei Mmg italiani ha un’età superiore ai 50 anni.
  • Il 14% ha meno di 500 assistiti.
  • Il 13% pratica la medicina di gruppo.
  • Un Mmg ha in carico in media 1.000 assistiti,
    per una retribuzione di base lorda annua pari a circa e 50.000
    (…) tolti i costi e pagate le tasse, quanto rimane?
  • Le dotazioni strumentali presso gli ambulatori sono limitate.

Fonte: Paolo Tedeschi, Università Bocconi di Milano

ospedali virtuali sul territorio, aperti giorno e notte”, ma non è che il vero punto sia la necessità di un “ritorno al futuro”, di un superamento della tradizionale ‘separatezza’ nei confronti del sistema, dovuta al ‘rapporto non dipendente’ dei Mmg, accettando la distinzione tra inquadramento lavorativo e modalità di ‘integrazione’ nel sistema di offerta di prestazioni? Ecco che qui si apre il vero nodo dirimente della futura organizzazione della medicina generale, soprattutto in un’ottica di ripensamento normativo della Convenzione.
Nel 1960 il Mmg era un generalista, appena liberatosi del paradigma del medico condotto. Nel 1970 è diventato punto di accesso al Ssn, nel 1980 snodo burocratico e negli anni ’90 portiere del sistema. “Ma oggi - si è chiesto Tedeschi - è governatore della domanda e/o produttore di prestazioni territoriali? È singolo professionista o parte di una squadra? È controparte del sistema o co-gestore?” Tutte domande aperte in vista del rinnovo convenzionale, auspicabile, ma sempre più difficile da delineare.
Dalla professione quindi emerge un grido di allarme, ribadito trasversalmente in tutti gli ultimi appuntamenti e da tutte le sigle: non tutti i Mmg possono trasformarsi in imprenditori: i medici devono essere chiamati a svolgere la funzione professionale per la quale sono qualificati e retribuiti, recuperando uno spazio di visibilità professionale e di protagonismo sociale che non può prescindere da una profonda riqualificazione dell’area delle cure primarie.