M.D. numero 38, 13 dicembre 2006

Proposte
Appello per un inderogabile cambiamento
di Giancarlo Aulizio - Medico di medicina generale a Modigliana e Tredozio (FC) - Specialista in Geriatria e storico della Medicina e degli Ospedali di Comunità

Realizzare la pax sindacale fra i rappresentanti dei medici è un vero e proprio obbligo professionale. Una necessità per dare forza all’istanza da portare al “Forum Nazionale delle Cure Primarie”, cioè la consultazione e l’ascolto dei Mmg sulle programmazioni socio-sanitarie territoriali. Il sistema infatti non può più reggere il continuo trasferimento sul territorio degli errori gestionali del secondo livello


Il modello di Country Hospital o Ospedale di Comunità di Modigliana che, insieme all’Ausl di Forlì e ad altri colleghi, ho contribuito a costruire e divulgare è stata la prima esperienza di équipe territoriale e di associazionismo medico e quando fu attivato si trattò di un vero salto nel vuoto, non esisteva un precedente comparabile né riferimenti legislativi ed era ancora in vigore la Convenzione del 1992, che non accennava all’associazionismo. Disponibili a soluzioni alternative e sperimentali abbiamo ben presente che il futuro della medicina generale è direttamente collegato allo sviluppo della medicina territoriale e alla nostra capacità di recepire le opportunità di cambiamento. Proprio per questo desidero porre l’attenzione su alcune dichiarazioni di Giovanni Bissoni, assessore alla Sanità della Regione Emilia Romagna, tra i più attivi nella consultazione con l’attuale esecutivo, il quale ha affermato che i Mmg potranno accedere alla Convenzione solo se in rete. In particolare, secondo Bissoni, “se si stabilisce che in un sistema ci siano determinate regole di relazione si sta a quelle regole. E si accetta una forma forte di associazionismo poiché un cittadino non può essere curato peggio di un altro perché il suo medico ha scelto di restare da solo. Chi non accetta queste regole non sta nel sistema”.
Il punto, rispetto alle parole dell’assessore, non è di certo l’innovazione, ma un problema di sostanza: i Mmg, se non erro, hanno un rapporto convenzionale e non di dipendenza diretta con il Ssn. In altre parole sono inquadrati ancora oggi come liberi professionisti, ancorché soggetti a un rapporto di parasubordinazione. Finché non è modificato lo status giuridico dei Mmg le dichiarazioni di Bissoni dovrebbero considerarsi legittime aspirazioni. In realtà non è così perché si sta velocemente procedendo verso la totale dipendenza, addirittura anticipando la possibilità di applicarne il più grave fra i provvedimenti punitivi: il licenziamento.

L’organizzazione che non c’è


Le Utap, nate nel 2003, finanziate, pubblicizzate come la panacea dell’organizzazione sanitaria territoriale, sono a tutt’oggi pochissime. La ragione è semplice: non si possono considerare le città, i paesi, i borghi tutti uguali, scegliendo dall’alto modelli che non sono riproducibili perché le realtà periferiche sono diverse per risorse umane ed economiche e programmazione socio-sanitaria. Della Casa della Salute si sa poco e siamo tutti in attesa di conoscerne meglio l’organizzazione: ci troviamo però di fronte a due modelli la cui attivazione dipenderà dall’empatia politica dell’amministrazione chiamata ad adottarli. Ma in questo Paese che non riesce neppure a realizzare i Lea è difficile pensare di tagliare migliaia di ambulatori privati dei Mmg per avere punti unici di erogazione del servizio. Ammesso e non concesso che tutti i problemi della medicina di gruppo legati all’accentramento possano risolversi (la logistica con gli spazi idonei per ambulatori e sale d’attesa, il problema della privacy, la riproducibilità in ogni realtà), davvero si può ragionevolmente ritenere che un aumento dell’orario di accesso alle prestazioni sia funzionale al servizio?

Le contraddizioni


Tutti cercano i Mmg perché gli riconoscono un ruolo peculiare. Li contattano i primari perché non se ne può prescindere per una prevenzione seria; li cercano le aziende farmaceutiche per ragioni di mercato, ma non solo; li seducono le Ausl promettendo denaro, locali, personale e incentivi vari pur di attivare servizi nei quali, a volte, le criticità superano i vantaggi. Ma la realtà è che gran parte del nostro tempo è dedicato a compilare certificati di ogni genere (almeno 40 tipi), e moduli che ogni servizio, ente, ufficio, reparto vuole formulato, e spesso scritto a mano, a suo insindacabile giudizio. A cosa è servito allora informatizzarci se poi molti ci obbligano a non tener conto dell’investimento fatto in denaro e tempo speso per realizzarlo? La mia Regione è stata lodevolmente fra le più sollecite a trasferire risorse economiche importanti al territorio, purtroppo accade che questi trasferimenti abbiamo attivato una serie di procedure che paiono in contraddizione con la “mission” propria del distretto. Questa è ribadita nel Psn 2006-2008 che recita: “È necessario promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi sanitari. È evidente quindi la necessità ormai inderogabile di organizzare il territorio spostandovi risorse e servizi che ancora sono assorbiti dagli ospedali”. Il treno dei trasferimenti che sta arrivando sul territorio è però costituito da tanti vagoni ognuno dei quali trasporta modalità tipiche della gestione ospedaliera: gerarchie, modelli organizzativi dei reparti, modulistica, linee guida, mansionario per gli operatori, nuove figure professionali. Ma l’organizzazione socio-sanitaria territoriale è tutt’altro da quella ospedaliera; è come incaricare la Marina militare di progettare una guerra nel deserto.

Domande senza risposte


Il rapporto tra Mmg e paziente vede ancora e per fortuna il Mmg come terzo fra l’Ausl e il proprio assistito, apprezzato come figura di garanzia rispetto all’accesso alle cure e alle disfunzioni del sistema. Si ritiene che per il nuovo Ssn questa figura, un po’ medico e un po’ assistente sociale, sia anacronistica e superata dalle nuove strategie organizzative e dai nuovi mezzi informatici? Lo si dica chiaramente, lo si formalizzi in strumenti legislativi e ci si assuma per intero la responsabilità politica. Ma per farlo, forse, occorre chiarire il nuovo rapporto che si andrebbe a realizzare con la dipendenza: ferie, malattie, turni, abolizione dell’Irap e di tutti gli altri orpelli che come liberi professionisti paghiamo. È difficile accettare di essere considerati liberi professionisti o dipendenti a seconda delle esigenze economiche degli altri. E se ci sono Comuni che hanno un solo medico e comunque non in numero sufficiente per realizzare la medicina di gruppo, i colleghi vanno espulsi? E se i Mmg sono già coinvolti, come in molti casi avviene, in altri e fondamentali incarichi come la responsabilità clinica di Case Protette e di Riposo, di Rsa, di Ospedali di Comunità e aderiscono ai programmi di vaccinazione antinfluenzale e fanno centinaia di prestazioni di particolare impegno (Pip) e magari anche l’assistenza domiciliare nelle varie forme e gli ambulatori di patologia e in più svolgono l’attività ambulatoriale in più Comuni? A queste domande attendiamo da tempo che qualcuno risponda, mentre si continuano a sottoscrivere ACN, regionali e aziendali, sui quali le informazioni sono scarse e contraddittorie, ma che influenzano il nostro futuro professionale.
È lecito per tutti cercare di evitare, data la delicatezza della professione, lo “stress da incarichi multipli” che inevitabilmente ci affliggerà in questa nuova chimerica organizzazione dei servizi territoriali. Mi chiedo in altre parole: “Si può dire di no a una parte di un accordo sottoscritto fra sindacati e Regione, quando l’ennesima adesione oggettivamente può rendere meno efficaci le altre prestazioni, tutte importanti, che un medico è chiamato a svolgere e quando, di fatto, si modifica lo status giuridico del medico?” Le richieste di prestazioni aggiuntive sono insaziabili e spesso inconciliabili fra loro per i tempi e gli orari che finiscono per penalizzare, paradossalmente, chi già fa. Perché non ci sono solo i cittadini di serie A e di serie B, ci sono anche i medici di serie A e B.