M.D. numero 38, 13 dicembre 2006

Riflettori
Errore e stress lavorativo
di Ferdinando Pellegrino - Psichiatra, direttore UO Salute Mentale ASL Salerno 1 - Costa dıAmalfi

L’efficacia professionale è messa a dura prova da una sempre maggiore e puntuale mole di dati che denunciano l’errore professionale: per molti aspetti ciò è legato a disfunzioni del sistema, per altri è correlato alla competenza professionale e a situazioni contingenti, come il distress lavorativo

Tra le cause remote di errore in medicina figurano il carico di lavoro eccessivo, la mancanza di supervisione, la comunicazione inadeguata tra gli operatori, l’ambiente di lavoro stressante, la recente e rapida modificazione dell’organizzazione del lavoro, la presenza di obiettivi in conflitto (per esempio, tra limiti economici dell’assistenza ed esigenze cliniche).
Tra le cause immediate di errore figurano invece l’omissione di un intervento necessario, la scarsa attenzione e negligenza, le violazioni di un procedimento diagnostico o terapeutico appropriato, l’inesperienza, i “difetti di conoscenza”, l’insufficiente competenza clinica, l’insufficiente capacità di collegare i dati del paziente con le conoscenze acquisite, le modalità di prescrizione. Queste ultime possono riguardare la compilazione della ricetta, le modalità con cui si forniscono spiegazioni riguardanti il trattamento terapeutico, il monitoraggio clinico e farmacologico (farmacovigilanza attiva) della terapia in atto.
Esistono quindi livelli individuali di responsabilità che vanno a frapporsi e a interagire con livelli organizzativi con una inevitabile maggiore incidenza di errori professionali.
Alcuni dati tuttavia appaiono paradossali e richiamano l’attenzione sulla necessità di implementare le competenze professionali dei sanitari, sia tecniche sia gestionali. Per esempio, secondo i dati del Tribunale dei Diritti del Malato un quinto di tutte le segnalazioni sui farmaci pervenute all’associazione riguardano le prescrizioni incomprensibili, dati questi confermati da più fonti, come uno studio realizzato all’Ospedale Cardarelli di Napoli dove su 104 posti letto sono stati rilevati, in un mese, 88 errori legati alla scrittura e alla trascrizione dei dati.
Alcuni studi a livello internazionale hanno dimostrato che i danni iatrogeni causano il 5-36% delle visite mediche e che i danni da farmaci sono causa dell’11.3% dei ricoveri di adulti in unità di terapia intensiva presso alcuni ospedali universitari.
Questi ed altri dati hanno sollecitato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a costituire la World Alliance for Pazient Safety con l’intento di generare un processo di inversione dell’aumentata incidenza degli effetti avversi prevedibile nell’assistenza sanitaria.
Uno degli obiettivi principali è quello di garantire livelli di competenza professionale adeguati, raggiungibili attraverso percorsi formativi specifici, in grado di valorizzare l’esperienza clinica e di confrontarla con i dati desunti dalla letteratura internazionale.
Ciò può essere ulteriormente implementato da adeguati programmi di supervisione, sia all’interno degli ospedali, che nel contesto dei servizi territoriali, ivi compresa la medicina generale, attraverso specifici progetti di qualità tesi a migliorare progressivamente l’efficacia complessiva dell’assistenza sanitaria.

La valutazione del disagio


In tale contesto appare altresì di fondamentale importanza la valutazione del disagio professionale legato allo stress lavorativo, laddove una condizione di stress non ben gestita a livello personale può essere causa di errore medico, può compromettere la relazione medico-paziente e la qualità della vita dell’operatore.
Un medico stressato infatti può sbagliare più facilmente, essere meno attento alle esigenze del paziente, essere meno accorto rispetto alla propria salute.
L’eccessivo carico di lavoro può di per sé essere causa di stress lavorativo; i medici che fanno troppi straordinari sono più a rischio di errori, così come il mancato rispetto in ospedale dei turni di riposo. Studi recenti hanno evidenziato, tra l’altro, un tasso di errori più elevato da parte di coloro che hanno passato la notte in bianco rispetto a coloro che hanno dormito indisturbati. È altresì inevitabile che lo stress lavorativo dovuto a un surplus di orario porti a una diminuzione delle capacità mentali con una maggiore incidenza di errori. E ciò accade anche quando la professione piace e il lavoro è affrontato con entusiasmo.
Un’indagine condotta su oltre 4.000 medici ha infatti evidenziato come il livello di soddisfazione professionale sia elevato, superando il 75% dei professionisti intervistati, ciò tuttavia non rappresenta un fattore protettivo rispetto agli effetti negativi dello stress. Il 63% degli operatori riferisce che il lavoro può essere causa di ansia e tensione emotiva, il 30% di depressione e circa il 34% dei medici sostiene che le tensioni legate all’attività lavorativa, pur soddisfacente, può comportare una minore efficienza lavorativa.
Questi dati, unitamente a manifesti vissuti di irritabilità e di superficialità nella modulazione del rapporto con il paziente, comporta inevitabilmente sensazioni di scoraggiamento, indifferenza, stanchezza e tendenza all’isolamento.
Lo stress lavorativo non è quindi legato esclusivamente a fattori negativi, quanto alla presenza di una condizione disadattiva in cui vi è uno sbilanciamento tra le risorse disponibili e la capacità individuale di utilizzarle per affrontare con efficacia le continue difficoltà - anche ordinarie - della realtà professionale.
Tra le cause di stress lavorativo gli operatori ritengono determinante il sovraccarico lavorativo (49.4%), lavorare in strutture amministrative mal gestite (48.3%), non avere la possibilità di collaborare e di scambiare idee con i collegi (27.6%), non avere spazi e tempi istituzionalmente prefissati per la propria crescita professionale (41.3%).
z La burocrazia
La burocrazia sembra essere invece il grande elefante che ossessiona circa l’81% degli operatori, una burocrazia definita come assillante e frustrante, nei cui confronti vi è un atteggiamento di resa e di spavento, un generale vissuto di impotenza; ma appare altrettanto evidente come tale atteggiamento sia aprioristico e spesso non sostenuto da uno sforzo concreto rivolto alla comprensione dei meccanismi come la conoscenza dell’evoluzione normativa in materia sanitaria che regola la stessa burocrazia.
Ciò appare inevitabilmente dal tempo utilizzato - quasi zero - per l’aggiornamento dedicato agli aspetti burocratici dell’agire professionale in quanto ritenuto tempo perso e sprecato, o più semplicemente non si ha la consapevolezza che dedicare un minimo di tempo in tal senso può essere di grande aiuto nella gestione degli aspetti burocratici della professione.
Ma, allo stesso tempo, vi è una generale noncuranza dei tempi dedicati alla propria crescita umana e professionale.

Il vissuto emozionale


In tema di stress lavorativo - e nello specifico di sindrome del burn out - è noto come in ambito sanitario vi sia un carico aggiuntivo di tensione legato a vissuti emozionali proprio delle helping professions; questo dato è costantemente sottovalutato e non considerato nell’ambito dei programmi formativi, mentre è ampiamente dimostrato come la rivalorizzazione delle competenze emotive del medico possa essere un’arma vincente per l’efficacia professionale.
Appare pertanto auspicabile una maggiore sensibilizzazione verso queste problematiche in quanto il ben-essere soggettivo predispone ad un lavoro condotto con maggiore serenità ed efficacia.
Tale obiettivo, oltre che essere motivo di orgoglio per i singoli e per le aziende, con la definizione delle patologie da “costrittività organizzativa” incluse nel gruppo 7 delle malattie professionali (G.U. 134/2004), diventa per le aziende un ulteriore impegno, già dovuto in ragione della 626 del 1994.
L’importanza di tali argomentazioni è stata altresì al centro della relazione programmatica del nuovo presidente della FNOMCEO, Amedeo Bianco al comitato centrale. In tale relazione è stata sottolineata l’importanza da parte degli Ordini di perseguire l’obiettivo di “prendersi cura di chi cura” al fine di tutelare il benessere e la salute dei medici intervenendo su tutti i complessi determinanti il cosiddetto disagio medico.