M.D. numero 38, 13 dicembre 2006

Terapia
Nuove opzioni nel trattamento dell’osteoporosi

L’argomento è stato al centro di un simposio svoltosi nell’ambito del IX Congresso Nazionale del Collegio dei Reumatologi Ospedalieri Italiani (CROI), nel quale sono state puntualizzate le novità in tema di trattamento dell’osteoporosi, con particolare riferimento all’evoluzione della terapia con bisfosfonati, alla loro efficacia e alle strategie per migliorare l’aderenza del paziente alla terapia


Nel trattamento dell’osteoporosi i bisfosfonati rappresentano una classe di molecole molto importanti. Sono disponibili per la terapia dagli anni 80, quando l’etidronato, somministrato ciclicamente secondo uno schema di trattamento intermittente, ha dimostrato di essere efficace nel ridurre l’incidenza di fratture vertebrali.
Altre due molecole sviluppate successivamente, alendronato e risedronato, hanno dimostrato, in somministrazione giornaliera, di essere in grado di ridurre altrettanto efficacemente l’incidenza delle fratture osteoporotiche vertebrali e anche di quelle non vertebrali. Ibandronato è un bisfosfonato di recente introduzione in commercio, che fa parte del gruppo degli aminobisfosfonati.
Tutte queste molecole hanno in comune la capacità di legarsi selettivamente all’idrossiapatite, di permanere a lungo nel tessuto scheletrico e di inibire il riassorbimento osseo.

Scarsa o inadeguata aderenza al trattamento


Alle documentate evidenze di efficacia delle terapie per l’osteoporosi, si associa un problema rilevante, vale a dire la necessità di migliorare l’aderenza del paziente alla terapia. Infatti, in assenza di benefici concretamente e rapidamente evidenti, il paziente tende, dopo un periodo di tempo variabile, a interrompere il trattamento: si stima che un soggetto su cinque abbandoni la terapia entro 6-7 mesi dal suo inizio (figura 1).
Tra le cause di questo fenomeno vi è senza dubbio il fatto che l’osteoporosi è una malattia cronica, che necessita di un trattamento prolungato, asintomatica e che prevede terapie farmacologiche associate a potenziali eventi avversi e/o complesse modalità di assunzione. Inoltre, i pazienti con osteoporosi, spesso, non sono consapevoli della loro condizione o considerano poco rilevante il fatto di essere affetti da questa malattia. Situazioni che li rendono refrattari a iniziare e proseguire la terapia in maniera adeguata, cosa che risulta invece più probabile in pazienti maggiormente sensibilizzati, come quelli in terapia con corticosteroidi o che hanno già subito eventi fratturativi. Infine, non va trascurato il fatto che la maggior parte di questi pazienti è anziana, con una frequenza elevata di comorbilità, che comporta spesso la necessità di politerapie.
Le conseguenze di una scarsa aderenza del paziente sono di diverso genere. Innanzi tutto risulta penalizzata l’efficacia della terapia stessa: infatti, nei pazienti che assumono in modo corretto i bisfosfonati è evidente una sostanziale riduzione delle fratture, cosa che non si verifica, invece, in coloro che non li assumono in modo appropriato.
Oltre a compromettere in maniera rilevante l’efficacia della terapia, la scarsa aderenza del paziente si traduce anche in un aggravio dei costi sanitari legati alla malattia e alle sue conseguenze fratturative.

Evoluzione dei regimi di somministrazione dei bisfosfonati


Una delle strategie adottate per migliorare l’aderenza del paziente alla terapia è stata quella di interveniresui regimi di somministrazione. Questo ha portato dapprima allo sviluppo della somministrazione settimanale di alendronato e risedronato e, più recentemente, alla somministrazione mensile di ibandronato. Quest’ultima consiste nell’evoluzione dei regimi giornaliero o intermittente (con un intervallo tra le dosi >2 mesi), che avevano dimostrato una significativa efficacia nell’aumento della massa ossea e nella riduzione dei marker di rimodellamento osseo, con conseguente riduzione del rischio fratturativo di fratture vertebrali (Chesnut et al. J Bone Miner Res 2004; 19: 1241-49).

Efficacia e sicurezza di ibandronato


L’efficacia e la sicurezza di ibandronato sono confermate dai dati clinici provenienti dagli studi registrativi, che ne hanno messo in luce anche la possibilità di utilizzo con prolungati intervalli di somministrazione.
Lo studio pilota BONE (Chesnut et al. J Bone Miner Res 2004; 19: 1241-49), un trial multicentrico, randomizzato e controllato con placebo, è stato condotto su 2.946 donne in post-menopausa, di età compresa tra 55 e 80 anni, che rispondevano ai seguenti criteri di arruolamento: stato menopausale da almeno 5 anni, T-score della colonna lombare compreso tra -2 e -5 e da 1 a 4 fratture vertebrali pregresse. Le pazienti sono state randomizzate a tre regimi di trattamento: ibandronato giornaliero (2.5 mg/die), ibandronato intermittente (20 mg a giorni alterni per un totale di 12 dosi ogni tre mesi) e placebo. Tutte le pazienti ricevevano 500 mg di calcio e 400 UI di vitamina D al giorno.
Dopo tre anni, l’incidenza di nuove fratture vertebrali si è ridotta significativamente nelle donne che ricevevano il trattamento giornaliero (4.7%) o intermittente (4.9%) con ibandronato rispetto a a quelle trattate con placebo (9.6%). Ciò corrispondeva ad una riduzione del rischio relativo di nuove fratture vertebrali morfometriche del 62% (p=0.0001) e del 50% (p=0.0006), rispettivamente per la somministrazione giornaliera e quella intermittente.
Sono stati registrati anche progressivi e significativi aumenti della BMD lombare (6.5%, 5.7% e 1.3% rispettivamente per la somministrazione giornaliera e intermittente di ibandronato e quella di placebo) e femorale (figura 2), unitamente ad una significativa riduzione del turnover osseo rispetto al placebo.
La popolazione dello studio era a basso rischio di fratture osteoporotiche, di conseguenza l’incidenza di fratture cliniche non vertebrali a tre anni era bassa e simile tra il gruppo placebo e quello trattato con ibandronato giornaliero. I dati di un’analisi posthoc hanno, però, evidenziato che il regime giornaliero è risultato in grado di ridurre il rischio di fratture non vertebrali in sottogruppi di pazienti ad alto rischio (T-score del collo del femore <-3 e T-score della colonna lombare <-2.5 con storia di pregresse fratture cliniche) (figura 3).
La tollerabilità di entrambi i regimi di ibandronato è risultata buona e simile a quella del placebo. I buoni risultati clinici ottenuti nello studio BONE con la somministrazione giornaliera e intermittente di ibandronato, hanno fornito il razionale per lo sviluppo di una somministrazione a cadenza mensile, in grado di assicurare un livello più elevato di accettabilità della terapia da parte del paziente.

Lo studio MOBILE

Lo studio MOBILE (Monthly Oral iBandronate In LadiEs) è uno studio di non-inferiorità, di fase III, della durata di 2 anni, che aveva come obiettivo di dimostrare l’equivalenza terapeutica, in termini di incrementi della BMD e di riduzione dei marker di turnover osseo, tra la formulazione orale giornaliera (2.5 mg) e quella mensile (100 e 150 mg) (Miller et al. J Bone Miner Res 2005; 20: 1315-22). Complessivamente sono state arruolate 1609 donne con osteoporosi postmenopausale, assegnate a uno dei 4 seguenti regimi con ibandronato: 2.5 mg/die, 50+50 mg (dosi singole in due giorni consecutivi) al mese, 100 mg/mese, 150 mg/mese. Nell’analisi dei dati a un anno, la BMD lombare è aumentata del 3.9%, 4.3%, 4.1% e 4.9% rispettivamente con i dosaggi da 2.5, 50+50, 100 e 150 mg. Tutti i regimi mensili si sono dimostrati non-inferiori alla somministrazione giornaliera e il regime da 150 mg è risultato inoltre superiore rispetto a quest’ultima. I regimi mensili hanno anche prodotto aumenti della BMD femorale più consistenti rispetto alla somministrazione giornaliera e, anche in questo caso, l’incremento maggiore è stato osservato con il regime da 150 mg.
Infine, sono state osservate marcate diminuzioni dei livelli sierici del CTX, un marker biochimico di riassorbimento osseo, in tutti i gruppi di trattamento e già dopo 3 mesi di terapia. La tollerabilità dei regimi mensili è risultata analoga a quella del regime giornaliero, che aveva precedentemente dimostrato di possedere un profilo di sicurezza simile al placebo nello studio BONE.
L’analisi a due anni ha evidenziato un ulteriore incremento della BMD lombare e femorale, confermando le precedenti evidenze (figure 4 e 5) (Reginster et al. Ann Rheum Dis 2006; 65: 654-61).

Il parere delle pazienti: lo studio BALTO

Le evidenze cliniche di efficacia di ibandronato sono state affiancate da quelle ottenute da uno studio di preferenza delle pazienti nei confronti del trattamento. Si tratta dello studio BALTO, randomizzato, in aperto, crossover, della durata di 6 mesi (3 mesi con alendronato 70 mg alla settimana e altri 3 mesi con ibandronato 150 mg ogni mese) (Emkey et al. Curr Med Res Opin 2005; 21: 1895-903). Le circa 300 donne con osteoporosi postmenopausale che hanno partecipato al trial hanno dichiarato, nel 71% dei casi, di preferire il trattamento mensile rispetto alla somministrazione settimanale. Le ragioni più frequentemente addotte sono risultate la maggiore facilità a seguire questo regime di somministrazione e una migliore tollerabilità.