M.D. numero 1, 24 gennaio 2007

Contrappunto
Cure territoriali: il labirinto delle denominazioni
di Luter Blisset

Risulta quantomeno strano che si debba andare a cercare altrove modelli di organizzazione di assistenza territoriale sostenibile come le Case della Salute spagnole, quando già a casa nostra stiamo sperimentando modelli che rappresentano il vero laboratorio sul campo per i problemi di assistenza sanitaria che l’intera Europa dovrà affrontare nel prossimo futuro


Non vi è dubbio che la medicina generale dovrà affrontare vere emergenze assistenziali territoriali (evoluzione demografica, cronicità delle patologie, modificazione dell’organizzazione sociale, integrazione culturale). Il nostro Paese ha il tasso di popolazione anziana tra i più alti sul piano mondiale e in pochissimo tempo le quote di presenza extracomunitaria si sono triplicate. Si prevede che nell’arco di 2 anni le cifre saranno raddoppiate e che in soli 5 anni potremmo diventare il Paese europeo con la più alta percentuale di immigrati. Risulta comunque strano che si debba andare a cercare altrove modelli di organizzazione di assistenza territoriale sostenibile come le Case della Salute spagnole, quando già a casa nostra stiamo sperimentando modelli che rappresentano il vero laboratorio sul campo per i problemi che l’intera Europa dovrà affrontare nel prossimo futuro.
I colleghi spagnoli, in un recente convegno hanno raccontato quanto le due realtà (spagnola e italiana) siano in effetti sostanzialmente diverse: per esempio i Mmg spagnoli sono medici dipendenti e non convenzionati e all’interno delle Case della Salute il rapporto tra medici e infermieri è di 1:1.
Malgrado ciò, il vizio italico di guardare all’estero come fonte di innovazione è consuetudine. è necessario quindi sottolineare come un cospicuo numero di Mmg italiani abbiano previsto da tempo la possibilità di dovere far fronte a emergenze assistenziali territoriali e si siano predisposti con innovazioni organizzative e gestionali. Per lo più tutto ciò è avvenuto grazie a iniziative autonome della categoria, le uniche in grado di superare la elefantiaca lentezza burocratica politica. È noto come i documenti dell’Amministrazione Pubblica, dall’Acn agli accordi regionali e locali siano appesantiti ad ogni passaggio da linguaggi burocratici ridondanti e inconsistenti. Si accavallano e si sovrappongono concetti e definizioni, si mescolano e si rincorrono tempi e date applicative, si complicano ulteriormente le possibili interpretazioni, già di per sé enigmatiche, con invio postumo di circolari interpretative così che, molto spesso, le normative arrivano a essere finalmente interpretate correttamente e attuate (forse) proprio alla loro scadenza naturale quando già superate dagli eventi contingenti o da nuove norme o disposizioni o convenzioni.

Cambiamenti solo nominali


Quindi indicare la “Casa della Salute” come modello di organizzazione assistenziale territoriale non è indice di innovazione, ma significa, in pratica, continuare a protrarre questo state di cose. Non sono stati ancora compiuti i passaggi culturali, per esempio, verso i Nuclei di Cure Primarie, mentre le medicine di gruppo stanno uscendo ora da una lunga fase funzionale per divenire, con fatica, veri centri operativi, flessibili e adattabili ai vari territori, tanto da meritare di essere considerati, anche a livello nazionale, modelli per una gestione sostenibile dell’assistenza e per le cure primarie.
Ma in Italia si continua a rilanciare idee o ipotesi sempre diverse verso obiettivi considerati avanzati, ma in realtà solo nominalmente.
Questa consolidata prassi aumenta la fatica che già pesa sui medici occupati nelle cure primarie, crea disillusioni, disamore e demotivazione nei confronti dei vari responsabili amministrativi nazionali e locali. Un gran numero di colleghi potrebbero alla fine, storditi da continue riproposte carambole e rimandi, optare per una completa delega passiva e incondizionata, presupposto di quella rinuncia all’iniziativa autonoma che sola può garantire fattibilità e sostenibilità della medicina generale.
Penso che il modello italiano da perseguire siano le medicine di gruppo, inserite nei Nuclei di Cure Primarie, con livelli di complessità variabili e flessibili a seconda dei bisogni assistenziali territoriali, ma anche in stretta relazione alle esigenze professionali dei medici che operano all’interno di queste medicine di gruppo e di questi NCP (carriera dei Mmg, integrazione dei medici di CA, modificazione strutturale della Asl, ecc.).
Altro tabù ormai in pratica sfatato dalle attività sempre più importanti dei NCP e delle medicine di gruppo è quello dell’unità sindacale: le suddivisioni in tanti sindacati di categoria o di professione o di specialità non ha più un senso storico e cresce l’esigenza di una rappresentanza sindacale unitaria che possa affrontare le problematiche dei medici senza contrapposizione tra categorie, nella convinzione che tutti i medici stiano navigando sulla medesima barca (quella del Ssn) e che tutti siano interessati al fatto che il Ssn non cambi continuamente rotta e destinazione.