M.D. numero 2, 31 gennaio 2007

Pratica medica
Da un edema agli arti inferiori alla diagnosi di amiloidosi
di Tommaso Donvito - Medico di medicina generale, Gioia del Colle (BA), AIMEF (in collaborazione con Antonio Pugliese - Medico di medicina generale, Castellaneta (TA), Responsabile Dipartimento Dermatologia AIMEF)

Un’assistita di 55 anni viene in ambulatorio nel mese di settembre 2005 lamentando una spiccata astenia e la comparsa di edema agli arti inferiori. La paziente soffre di insufficienza venosa agli arti inferiori e in prima battuta collego i sintomi alla calura estiva, ma ricordo che è da qualche anno che seguo la sua elettroforesi, quindi controllo i dati clinico-anamnestici in mio possesso.

Storia clinica
La paziente è stata sottoposta ad appendicectomia all’età di quattro anni. Soffre di sindrome ansioso depressiva reattiva collegabile a problematiche familiari, malattia da reflusso gastroesofageo, spondiloartrosi e vitiligine, oltre che alla citata insufficienza venosa agli arti inferiori.
Dal 1999 è portatrice di una condizione di gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS), tipizzata come IgG lambda, per la quale ha effettuato, negli anni successivi e fino all’anno precedente, i controlli ematochimici (ma non con la prevista e consigliata periodicità), che hanno attestato la sostanziale stazionarietà del quadro.

Esame obiettivo e ragionamento clinico

All’esame obiettivo rilevo le varicosità e le ectasie capillari alle cosce e il vistoso edema a entrambe le gambe, con fovea. L’edema fa assumere alle gambe un aspetto biancastro che contrasta con quello scuro tipico delle insufficienze venose croniche (figura 1).
Vista l’imponenza dell’edema e le caratteristiche cliniche della paziente, ho escluso fra le possibili cause la stasi venosa, la stasi linfatica e l'edema ortostatico.
In base alla visita ho escluso anche lo scompenso cardiaco e, per l’aumentata permeabilità vascolare, allergie, flogosi acuta, ecc.
Pertanto ho pensato agli edemi discrasici da ipoalbuminemia e ho prescritto indagini ematochimiche mirate.
In effetti dagli accertamenti di laboratorio prescritti è risultata una significativa e importante proteinuria (12 g/24 h), con riduzione delle proteine totali (5 g/dL) e con un profilo elettroforetico tipico della sindrome nefrosica (riduzione dell’albumina, aumento delle alfa-2 e riduzione delle gammaglobuline), con funzionalità renale conservata e normale crasi ematica.
In base alla situazione clinica ho consigliato il ricovero ospedaliero in ambiente nefrologico.

Prima diagnosi


All’ingresso in reparto vengono ripetute le indagini ematochimiche e viene praticata una biopsia renale, che ha portato alla diagnosi di sindrome nefrosica da glomerulonefrite a lesioni minime, accompagnata dalla gammopatia monoclonale.
La paziente viene dimessa con la prescrizione di terapia con prednisone alla dose di 75 mg/die.

Seconda diagnosi


Dopo due mesi prescrivo le indagini ematochimiche di controllo, da cui si rileva la persistenza di proteinuria con valori sostanzialmente inalterati rispetto all’esordio: 10 g/24 h.
Ricontatto i colleghi nefrologi i quali, visto il riscontro di valori ancora alterati, riconsiderano in chiave critica e retrospettiva il caso. La paziente viene nuovamente ricoverata.
Viene eseguita un’altra biopsia renale, che evidenzia la presenza di deposito di fibre amiloidi a livello renale e quindi viene posta la diagnosi di amiloidosi renale AL in gammopatia monoclonale IgG lambda.
Contestualmente è stata eseguita una biopsia della cresta iliaca oltre che un agoaspirato midollare che hanno portato a conteggiare una plasmocitosi midollare del 20%.
Posta la diagnosi di amiloidosi e sapendo che ne sono stati classificati più di venti tipi sulla base delle diverse proteine precursori delle fibrille (proteine autologhe dovute ad alterazioni del metabolismo e/o della conformazione), abbiamo deciso di avviare la paziente presso il Centro per lo studio e la cura delle amiloidosi sistemiche del Policlinico San Matteo di Pavia.

Ricovero al Centro specialistico


La paziente è stata sottoposta al prelievo di cellule staminali totipotenti dal suo midollo, poste in coltura e conservate. Quindi ha iniziato terapia con agente chemioterapico melphalan e desametasone ad alte dosi, da effettuare a cicli mensili di 4 giorni ogni 28.

Decorso clinico


Sin dal primo ciclo la paziente ha presentato una spiccata mieloinibizione indotta dal melphalan, con neutropenia (granulociti neutrofili <1500/mm3) persistente ben oltre il previsto nadir del farmaco, così da non riuscire a eseguire nei tempi prefissati la terapia, se non riducendo la dose del farmaco (fino al 50%) e allungando gli intervalli tra un ciclo e l’altro.
Al termine del quinto ciclo, pur essendosi normalizzato il livello delle catene leggere nel siero, persiste elevata proteinuria (18 g/24 h), con ipoprotidemia severa, all’elettroforesi sierica: albumina 47.92, alfa-1 4.6, alfa-2 18.14, beta 18.63, gamma 10.72; creatininemia 0.90 mg.
È stato deciso di sospendere il protocollo e di rivalutare il caso. Questa evoluzione farebbe presupporre l’irreversibilità del danno renale, anche se la normalizzazione del livello delle catene leggere circolanti consentirebbe di pensare che il clone plasmacellulare sia stato ridotto.

Conclusioni


L'amiloidosi deve essere considerata nella diagnosi differenziale in caso di sindrome nefrosica non diabetica. Inoltre, alcuni sintomi che talora possono presentarsi (aumento delle dimensioni del fegato, ipotensione, perdita dell’appetito, calo del peso corporeo, alterazione della sensibilità a mani e piedi, diarrea) sono tipici di altre patologie di più comune riscontro e di conseguenza è fondamentale che siano correttamente interpretate dal Mmg.
La forma dell'amiloidosi AL è la più frequente, con un'incidenza stimata di 0.8 per 100.000 persone/anno, seguita dall'amiloidosi reattiva. Nonostante si accompagni a un clone plasmacellulare neoplastico, questo tipo di amiloidosi si riscontra in una ridotta percentuale di casi di mieloma multiplo.
La letteratura riporta che l'aspirato con ago sottile di grasso periombelicale può sostituire la biopsia degli organi coinvolti nella grande maggioranza dei pazienti con amiloidosi AL sistemica.
Il follow up dopo chemioterapia viene realizzato con la quantificazione delle catene leggere circolanti. Sebbene una remissione ematologica completa sia auspicabile, una riduzione delle catene leggere amiloidogeniche del 50-75% è spesso sufficiente a portare a una stabilizzazione o regressione della disfunzione d'organo e a un miglioramento della sopravvivenza.