M.D. numero 4, 14 febbraio 2007

Appunti
Idee per arginare il degrado professionale

Continuo a leggere su M.D. le lettere di disagio redatte dai colleghi Mmg operanti in tutta Italia: cambiano le realtà territoriali o geografiche, ma i problemi riguardanti la nostra professione sono sempre i medesimi; si parla, si discute, ma ogni variazione o proposta anche da parte sindacale mi appare peggiorativa per il nostro lavoro. Ecco perchè avanzo delle proposte.
Ogni italiano ha ricevuto la tessera sanitaria, che a tutt’oggi ha un valore solo come Codice Fiscale: ebbene, non si potrebbe utilizzare questa tessera per le prescrizioni farmaceutiche soprattutto per quelle ripetitive in modo che l’assistito si rechi direttamente in farmacia senza dover ritornare dal suo Mmg o in ospedale per ripetere la trascrizione? Si controllerebbe meglio la spesa sanitaria ed eviteremmo all’assistito inutili processioni medico-farmacia-ospedale.
Mi chiedo poi per quale motivo non si possa utilizzare un programma di gestione ambulatoriale unico per tutta Italia, gratuito, aggiornato, in modo che gran parte delle strutture sanitarie siano collegate? L’assistito della Calabria o di qualsiasi altro posto che viene nel mio ambulatorio potrebbe essere immediatamente identificato e si potrebbero garantirgli le prestazioni del caso in tempo reale; ovviamente, per motivi di privacy, al programma si potrebbe aggiungere un filtro per informazioni particolarmente riservate accessibili solo tramite password personale per ogni cittadino.
Altro suggerimento è quello di differenziare nettamente il lavoro in ambulatorio da quello extrambulatoriale. Non credo sia molto possibile a un medico massimalista (oltre 1.500 scelte) garantire anche l’assistenza a domicilio del paziente, visto il carico di lavoro ambulatoriale, burocratico e di controllo che grava sul Mmg. Tali mansioni (ADI, visite programmate, ospedalizzazioni a domicilio) andrebbero svolte da un professionista dedicato (Mmg, geriatra) che non ha il carico dell’ambulatorio; in gran parte delle realtà europee non esiste nemmeno la visita domiciliare e se esiste si effettua a pagamento e in certe condizioni; è una questione molto delicata, ma sguinzagliare per il territorio un professionista che ha alle spalle già diverse ore di ambulatorio mi sembra alquanto irrispettoso e credo poco gratificante.
Penso sia necessario un pagamento di un simbolico ticket per le visite in ambulatorio da utilizzare per incentivare i servizi socio sanitari o anche strutture residenziali. Credo che questo sia un cardine oramai necessario. Il fenomeno dei frequent attenders va eliminato e combattuto con tutte le forze perché essi detraggono tempo di cura a chi ne necessita veramente oltre a creare disagio professionale al Mmg.
Altrettanto indispensabile reputo l’autocertificazione dei primi 3 giorni di malattia, come avviene in gran parte dei Paesi europei.
Nel nostro lavoro gestiamo per la maggior parte pazienti con cronicità: problemi cardiologici, oncologici, diabetologici, psicologici e fisiatrico/ortopedici. Per velocizzare e potenziare l’accesso dell’assistito con queste problematiche alle strutture di secondo livello sarebbe il caso di istituire magari anche degli ambulatori in più nei distretti sanitari già presenti; ci sono molti giovani medici disoccupati: occupiamoli con incentivi in questi settori.
Definiamo poi una volta per tutte lo status professionale dei Mmg: siamo liberi professionisti o no? Abbiamo tutti gli oneri e doveri del libero professionista, ma siamo controllati come dei “dipendenti”, anzi di più senza poter chiudere l’ambulatorio, ammalarci o quant’altro.
Mi auguro che i sindacati trovino presto delle soluzioni perché non penso proprio che un contratto che non preveda ferie o malattia per un lavoratore sia in regola con i principi basilari della Costituzione di un Paese civile.
Sono consapevole che le mie parole saranno come granelli di sabbia dispersi nel deserto, ma se tali basilari suggerimenti (nati nel corso di innumerevoli riunioni e confronti con i colleghi) non verranno accettati, nei prossimi anni la professione subirà credo un degrado inarrestabile.

Vittorio Principe
Medico di medicina generale,
Bolzano



Convenzione in MG? No, grazie ho già dato


Forse ho sbattuto troppo violentemente la porta. Ho colmato la misura solo con le mie ansie e recriminazioni. Sono stato sollecito solo ai miei vantaggii e necessità. Ho ascoltato acriticamente le voci dell’esteriorità, non quelle dell’animo. Ho fatto pendere il piatto della bilancia a mio favore, prendendo di più di quello che ho dato. Non per caso le mie forze vitali erano cominciate ad affievolirsi. La sola via, allora, era fuggire dalla professione medica convenzionata.
Sono fuggito in fretta non raccogliendo nessun bagaglio.
L’impulso di tale ritirata è stato così impetuoso che per tre anni e forse più ho continuato a correre senza freni se non quelli della mia liberata fantasia.
Ho compiuto quasi tutto quello che avevo in mente. Senza nostalgia ho lasciato indietro la professione; ripensandoci ora, ci sono pure riuscito.
Le persone, ex assistiti, che incontravo non erano più ossequianti e amabili come quando entravo in ambulatorio, nemmeno sorridenti.
I loro saluti, scarni, seri e scostanti, mi facevano capire che per loro io ero in colpa per averli lasciati e abbandonati. Sentivo il loro astio. La mia decisione era un tradimento per loro, così impossibile da capire e giustificare.
Averli obbligati a nuove scelte e nuove abitudini era stato un oltraggio imperdonabile. Per alcuni però anche un sollievo, erano costretti a fare quello che non avevano avuto coraggio di fare prima, per non contraddirsi: ricusarmi.
Mi aveva però meravigliato il fatto che anche gli informatori del farmaco si erano sommati alla schiera degli offesi, ancor di più.
La quasi totalità di essi, che ho sempre trattato con cortesia e rispetto come si conviene a persone istruite ed educate, non mi salutavano.
Ancora una volta prima di tutto, come per gli assistiti, veniva il loro interesse e io provavo al momento un senso di pace e scampo dalle loro querele.
Mi sentivo sull’altra sponda, salvo.
C’era un momentaneo senso di tristezza per aver contato così poco, per non aver servito bene le persone. Questi sentimenti fugaci, solo con il tempo sarebbero sempre più affiorati come gli oggetti dalla sabbia sotto le raffiche del vento e del mare.
Se in tutti questi anni cercavo di dimenticarmi di aver fatto il medico, mai mi sono dimenticato di essere medico, come cercherò di non dimenticare i miei errori.
Leggevo tutta la copiosa posta di riviste mediche che ancora mi veniva inviata, tanto prezioso sapere e per di più gratis, le e-mail su argomenti inerenti all medicina generale.
Solo da poco queste riviste si sono notevolmente ridotte e questo è un danno per tutti. Un medico è un medico per tutti e per se stesso finché vivrà.
Un giorno mi telefona una paziente per una flebopatia. Ho cercato la mia vecchia borsa come un soldato cerca la sua uniforme e sono partito. Un po’ emozionato e insicuro come quando ho fatto la mia prima visita. Tutto è andato bene. Potevo fare ancora il medico. E così ho cominciato a fare qualche visita come medico di medicina generale non convenzionato.
Mi sono accorto di aver cambiato stile: più capacità, più serietà, più consapevolezza, più autorevolezza, più coscienziosità, più responsabilità e disponibilità. Mi sentivo rinato a una nuova professione medica. Mi sono chiesto la ragione del cambiamento.
La burocrazia incessante e ininterrotta, l’afflusso gravoso crescente degli assistiti e degli Isf, le richieste inutili, le contestazioni di chi è servitore di due padroni, entrambi esigenti e incontentabili, mi avevano, a poco a poco, costretto a vivere su un altro pianeta.
I torti sempre miei, le ragioni sempre degli altri, così i meriti.
Una professione così utile e alta, esercitata da persone deboli, comandata da politici e da affari economici. Senza libertà non c’è arte né professione né progresso.
Attualmente conto di più per me e per gli altri, ho le redini della mia cavalcatura e sono sicuro, appunto per questo, di fare più strada fischiettando anche sotto l’acqua.

Stelvio Palmonari
Medico chirurgo,
La Spezia