M.D. numero 4, 14 febbraio 2007

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I medici in sovrappeso sono un problema?
di Cesare Tosetti e Luigi Bertini - Medici di medicina generale, Distretto di Porretta Terme (BO)

Nel suggerire uno stile di vita corretto e salutista un medico magro e austero è più credibile di un medico in sovrappeso? O forse, per i pazienti, le capacità professionali e il rapporto umano sono più importanti dell’immagine corporea?

I dati epidemiologici relativi alla prevalenza di sovrappeso e obesità sono allarmanti anche per quanto concerne il nostro Paese: almeno la metà dei cittadini supera il limite classico di massa corporea. Nella dizione cittadini sono da annoverare non solo i pazienti, ma anche il personale sanitario, medici compresi.
Medici e operatori sanitari, si sa, non differiscono nel comportamento e negli stili di vita dal resto della popolazione: buone forchette, vita stressante, scarso movimento, lite con la bilancia.
Sicuramente ci sono professionisti che stanno attenti al grammo, all’alimentazione, al consumo calorico, altri che, come la maggior parte dei pazienti che quotidianamente frequentano gli ambulatori, preferiscono l’automobile alla bicicletta, la pastasciutta ben condita ai cibi dietetici, la televisione alla palestra.
Il problema può sorgere quando medici e operatori sanitari in sovrappeso si trovamo di fronte a un paziente al quale illustrano i benefici del movimento e del calo ponderale, paventando le negatività del grasso in eccesso: quanto sono credibili? Più in generale: un dottore la cui immagine non riflette quel comportamento salutista che suggerisce ai suoi pazienti, può rappresentare un vero e proprio problema professionale?

Occorre prudenza nella relazione col paziente
Vivo e lavoro nella provincia che ha come emblema il Dottor Balanzone. La maschera tradizionale di Bologna, città colta e opulenta, richiama una grande affinità con la buona cucina.
Questa immagine non è poi dissimile dall’iconografia del medico della mutua della fine del secolo scorso, ingrassato dalle cene organizzate dalle industrie farmaceutiche e dalle prelibatezze omaggiate degli assistiti.
L’iconografia di Balanzone non è fastidiosa, permette piuttosto di evidenziare le percezioni che il popolo ha avuto (e ancora ha?) della classe medica.
Il sottoscritto non fuma e devo ammettere che quando discuto con un paziente sulla necessità di smettere di fumare, devo calibrare molto le parole per non sentire il disagio di essere freddato dall’assistito che ribatte: “Ma lei dottore non può sapere cosa significhi smettere di fumare”.
È un po’ quello che si ribatteva al sacerdote chiamato a ricomporre liti familiari: “Don Camillo, lei non sa cosa vuol dire avere moglie”.
D’altra parte non possiamo appropriarci di tutte le dipendenze o le malattie per poterci sentire autorizzati a dare indicazioni, ma devo ammettere che quando si cerca di fare comprendere ai pazienti le necessità e le modalità di cambiamento degli stili di vita, occorre molta prudenza, per evitare di intimidire il paziente e interrompere quella relazione sottile sulla quale si basa la nostra professione.
Anche nel caso del peso corporeo o degli esercizi fisici.
Onestamente credo che al paziente interessi più avere un bravo medico che un medico magro, e sono convinto che se lo sente vicino, non così perfetto, ma simile anche per debolezze, forse è più disponibile a seguirne i consigli.

Cesare Tosetti, BMI 26 kg/m2


La fiducia è basata anche sulla complicità

Anche io vivo nella provincia che ha come emblema il Dottor Balanzone, Bologna, la Grassa e la Dotta (non c’è incompatibilità, mi pare). Spero di avere maggiore competenza del succitato dottore, ma, ahimè, l’amore per la buona cucina ci accomuna. Non partecipo da anni a cene “culturali”, fino a 25 anni fa ero un forte fumatore (prova vivente che si può smettere), bevo vino ma di rado, percorro chilometri nei boschi, a caccia e a funghi, ma i miei assistiti mi viziano con tagliatelle, crescente, pane fatti in casa; salumi, tartufo, zuccherotti montanari e qualche cappone. La pur vicina epoca continua?
All’inizio della professione, quando la scarsa esperienza sul campo mi faceva affrontare argomenti sulla modifica degli stili di vita, mi è capitato di sentirmi rispondere da un settantenne moderatamente dislipidemico: “Dottore mè a vòi murir mal, mea sen” (dottore voglio morire malato non sano), oppure, da un altro, dopo un lungo colloquio sui cibi: “Ma la mia pancettina ‘magra’, quella la posso mangiare?”. È l’abito che fa il monaco?, “Fa quel che dico, non far quel che faccio” protegge me e i miei assistiti? Le capacità professionali e il rapporto umano sono più o meno importanti dell’immagine? Se fossi magro e austero sarei più credibile? Con gli assistiti il rapporto di fiducia è saldo, sono spontanei, possiamo scambiarci sguardi complici e ironici. Certo non possono dirmi, impunemente, che ingrassano senza mangiare; di sicuro non leggerei negli sguardi e nelle espressioni la soddisfazione di essere dimagriti seguendo i miei consigli; una vittoria per loro, una sfida a fare altrettanto: “Lei, dottore, predica bene, ma razzola male”. È vero, sono obeso. Ma gli assistiti sanno che ci sono, che possono parlare senza che controlli l’orologio, che per me sono esseri umani e non numeri e, soprattutto, che anch’io sono un essere umano non infallibile, non perfetto, ma perfettibile.

Luigi Bertini, BMI 37 kg/m2

Il dibattito su tale problematicano è stato recentemente riaperto su un noto sito internet riguardante la professione medica (www.medscape.com), tramite un forum che ha prodotto una discussione vivace tra la professione.
Il problema, ammesso che di problema si tratti, non è nuovo ed è aperto anche per quanto riguarda il fumo: parrebbe difficile per un dottore conosciuto come accanito fumatore essere in grado di trasmettere messaggi positivi sull’interruzione di questa abitudine.
I luoghi comuni si possono sprecare: dal “Dottore, cura te stesso!” alla citazione evangelica della trave e dell’occhio.
Davvero in quanto professionisti di salute abbiamo una responsabilità di costituire un modello per i pazienti? I medici, come categoria, devono essere i più sani e probi tra i cittadini?
Se partiamo da un atteggiamento colpevolista allora il ragionamento potrebbe portarci sul terreno che umanamente ciascuno di noi può battere: “Mi piacerebbe perdere qualche chilo, ma la vita è intensa, il tempo per fare attività fisica è troppo poco, il mangiare è necessariamente molto disordinato”. Sono, giustamente, le stesse osservazioni che ci fanno i nostri pazienti. Qualcuno suggerisce che anche per i medici occorre partire da un po’ più lontano, strutturando questa filosofia dagli anni universitari, durante il corso degli studi, introducendo l’obbligo di attività fisica e una riflessione sull’immagine che siamo destinati a produrre. Però, a pensarci bene, cerchiamo di non confondere il problema dell’immagine con quello dell’efficacia. Non vorremmo che questo sia solo un modo per sviare sul filone dell’apparenza il problema del risultato.
Un dottore magro cura meglio di un dottore grasso? Forse è un bias iniziale. Credo che per i pazienti l’interesse nei nostri confronti riguardi le capacità professionali, per le quali sono disposti anche a perdonare i nostri umani difetti. Non risulta che il peso del dottore rappresenti uno dei criteri di scelta dei nostri assistiti, i quali si interessano alle capacità e ad aspetti organizzativi della professione.
Siamo sicuri che prima o poi qualcuno proporrà un trial randomizzato (ovviamente non in cieco) per valutare se esistono differenze professionali tra medici sulla base del peso corporeo.
Nel frattempo riteniamo che si possa concordare che sia meglio un dottore bravo che uno magro..