M.D. numero 4, 14 febbraio 2007

Pratica medica
Un caso di sincope in un paziente particolare
di Leonardo Trentadue - Medico di medicina generale, Ferrandina (MT)

Due dei figli di un paziente di 64 anni, padre di numerosi figli e nipoti, vengono a chiamarmi a casa, in un pomeriggio autunnale, per andare a visitare il genitore che si sente male. Lo sviluppo di questo caso clinico è un po’ diverso dagli altri per un particolare motivo: il paziente è in possesso di una dose non esigua di ironia e in questa avventura, pur spiacevole per lui, non lesina di dispensarne a iosa, nonostante i momenti drammatici in cui viene a trovarsi.

Storia clinica
Nel 1990 viene ricoverato in ospedale con diagnosi alla dimissione di cardiopatia ischemica, infarto del miocardio, ulcera duodenale.
Nel 1992 viene ricoverato in un ospedale di altra regione in preda a un secondo infarto e viene sottoposto a triplo bypass aorto-coronarico.
È affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva con un pregresso versamento pleurico, inoltre è portatore di un’allergia molto particolare: il suo organismo si dimostra intollerante ogni volta che tenta di sorbirsi un bicchierino di un amaro della zona, noto anche a livello nazionale.
Attualmente il paziente è in terapia con quinapril 5 mg, simvastatina 20 mg, ASA e nitroglicerina 5 mg cerotto transdermico.
Come accennato, si tratta di un paziente molto particolare anche perché non fa, se non in modo sporadico, controlli cardiologici e l’adesione alla compliance della terapia costituisce per lui un puro optional. Come se non bastasse, è un indomito tabagista impermeabile a qualsiasi tentativo di correzione.

Visita domiciliare


Quando arrivo all’abitazione del paziente, trovo in una grande stanza una quindicina di persone, cioè tutti i figli e figlie con bambini in braccio, adolescenti, moglie, qualche parente e alcuni vicini di casa.
Il paziente è seduto sul divano, vigile per qualche secondo, perché, non appena gli applico lo sfigmomanometro va lentamente in deliquio, sbiancando e perdendo conoscenza. Essendo seduto sul divano, viene a trovarsi prospetticamente di fronte, come su un palcoscenico, alla vasta platea dei presenti.
In un attimo, alla vista della perdita di coscienza, si leva un urlo di una parente, al quale segue una serie impressionante di strilli, grida, invocazioni, esclamazioni, in un frastuono assordante, con una massa di persone in agitazione psicomotoria da rasentare una danza sabbatica in versione tragica.
Recuperando le mie riserve di self-control faccio stendere il paziente e a fatica riesco a prendere la pressione arteriosa: 66 mmHg la sistolica e 40 mmHg la diastolica. Le funzioni vitali sono presenti. In quella bolgia dantesca qualcuno dei meno invasati chiama il 118.
Forse è passato un minuto e un leggero barlume di coscienza si fa strada sul volto sbiadito del paziente. Lentamente si riprende anche se è in confusione temporo-spaziale.
Quando arriva il 118, che qui è composto da solo personale non medico, riesco a parlare col paziente che subito dice di stare bene, di non accusare dolore toracico, di non volere andare in ospedale e che la sua pressione è stata sempre bassa.
Improvvisamente cade in preda a una colica gassosa e chiede di andare in bagno. Ma è al limite del collasso e rischierebbe di crollare sulla tazza del water. Una spiacevole complicanza che rischia di compromettere l’opera di soccorso. “Puoi resistere un po’?”, gli domando con perplesso imbarazzo. La risposta è negativa, per cui con delicatezza, dei volontari lo accompagnano al bagno, dove può finalmente dare libero sfogo alla colica con una deiezione liberatrice.
Ritorna e, dopo molte insistenze, lo convinciamo a sdraiarsi sulla barella, per andare in ospedale a effettuare dei controlli più specifici. Quando la barella esce per strada, il paziente intravede, tra la folla affacciata ai balconi, una sua vicina di casa amica di famiglia. Tutto intabarrato con la maschera dell’ossigeno e le cinture della barella, riesce a salutarla in maniera ilaro-tragica: “Non ci vedremo più”.

Ricovero ospedaliero


Mi infilo nell’ambulanza e lo accompagno, col personale del 118, in ospedale. Durante il tragitto il paziente dimostra di essersi ripreso abbastanza bene, la pressione è risalita e i valori di ossimetria sono quasi nella norma. Ormai scherza sulla sua disavventura e va fiducioso verso il pronto soccorso, in pieno possesso della sua concezione ottimistica della vita.
La vicenda si chiude brillantemente: gli accertamenti diagnostici ospedalieri non producono problemi di sorta e dopo alcune ore il paziente viene dimesso con la diagnosi di sincope.

Conclusioni


Circa la genesi della sincope è probabile che sia insorta nel post-prandium, non essendoci altri validi indizi. Avendogli in mattinata somministrato il richiamo del vaccino antipneumococcico, nei primi istanti della visita avevo messo in relazione i due fatti, ma poi ho subito scartato l’ipotesi. Come detto, l’assunzione dei farmaci da parte del paziente è del tutto irregolare e questo forse può avere giocato un improbabile ruolo.
Il caso riportato mette in evidenza come un atteggiamento positivo e autoironico verso le avversità biologiche, può avere un ruolo importante nella risoluzione di sintomi o malattie che, in un habitus con pulsioni negativistiche, procederebbero con tutta probabilità verso approdi diagnostici sfavorevoli.