M.D. numero 5, 21 febbraio 2007

Clinica
Il disturbo da ansia sociale
di Ferdinando Pellegrino - Direttore UO Salute Mentale Asl SA 1 - Costa d’Amalfi


Classificata tra i disturbi d’ansia, la fobia sociale può essere circoscritta, creando problemi nel mostrarsi in pubblico, o generalizzata, estendendosi a più aspetti della vita quotidiana. Per la tendenza del disturbo a diventare cronico, è importante formulare una diagnosi precoce e impostare un trattamento appropriato

Il disturbo da ansia sociale o fobia sociale (FS) è un disturbo frequente, con una prevalenza che varia dal 3% al 13%, poco conosciuto, a esordio precoce (età adolescenziale), altamente invalidante, con costi elevati sul piano personale e sociale.
Esso rappresenta la punta dell’iceberg rispetto a uno spettro di disturbi che si muovono da specifiche caratteristiche di personalità (labilità emotiva, timidezza, insicurezza) a vere crisi di panico che possono compromettere nel tempo in modo stabile la funzionalità globale del soggetto.
I problemi emotivi che nascono dall’incontro con gli altri hanno profonde radici nell’infanzia. Il senso di sicurezza personale e il grado di maturità dell’Io sono infatti determinati da fattori biologici, psicologici individuali e sociali, dal continuo confronto tra individuo e ambiente, dalla qualità delle relazioni familiari e dalla capacità dell’individuo di selezionare adeguatamente le esperienze e le relazioni significative da cui attingere motivazione e sicurezza.
La timidezza, l’ansia fisiologica o da prestazione, il timore da palcoscenico o da esame, sono situazioni di frequente osservazione; ci si sente sempre giudicati, si ha sempre paura che gli altri possano parlare di noi in un certo modo, la vita stessa è un continuo doversi confrontare con gli altri.
Sappiamo che la fobia sociale è un disturbo che presenta un esordio precoce, che ha un decorso protratto, che si presenta frequentemente in comorbidità con altri disturbi mentali e che ha un notevole impatto sul piano dell’adattamento sociale.
Ciò che preoccupa è tuttavia il fatto che la maggior parte dei pazienti giunge all’osservazione dopo molti anni dall’esordio della malattia e solo perché vi è stata una sovrapposizione di altri disturbi (depressione, abuso di alcol o altre manifestazioni ansiose).
Non vi è ancora la capacità di riconoscere e trattare precocemente un disturbo capace di isolare un soggetto dalla società, e di confinarlo in una condizione di profonda angoscia esistenziale.
Dal punto di vista nosografico la FS, così come descritta nel DSM-IV, è inclusa nei disturbi d’ansia ed è definita “ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione a certi tipi di situazioni o di prestazioni sociali, che spesso determinano condotte di esitamento”.
In particolare la sua caratteristica essenziale è la presenza di una condizione di paura marcata e persistente che riguarda situazioni sociali o prestazionali che possono creare imbarazzo.

Tabella 1 - Risposta ansiosa nella fobia sociale

La risposta ansiosa del fobico sociale rispetto all¹esposizione alla situazione temuta può avere diverse caratteristiche cliniche

  • Arrossire
  • Tremare
  • Timore di vomitare
  • Urgenza o timore di urinare o defecare
  • Palpitazioni
  • Sudorazione
  • Irritabilità
  • Sensazione di sbandamento
  • Tensione muscolare
  • Malessere gastrointestinale
  • Confusione
  • In alcuni casi vi può essere un vero attacco di panico situazionale

Il soggetto esposto a tali situazioni o prestazioni reagisce con una risposta ansiosa immediata (tabella 1), che a volte può assumere le caratteristiche di un vero attacco di panico (attacco di panico situazionale) che comporta la richiesta di un intervento medico, o il ricorso al pronto soccorso.
In questi casi solo di rado avviene l’invio allo psichiatra, in quanto, risolta l’acuzia, non viene formulata la diagnosi e non viene presa in considerazione la necessità di un trattamento di fondo del disturbo.
Nei pazienti, più negli adulti che nei bambini, vi è comunque la consapevolezza che la paura manifestata sia eccessiva o irragionevole, pur comprendendo di non avere gli strumenti idonei a contrastarla. Ciò aumenta il senso di impotenza e di angoscia e pone le basi per l’attuazione di comportamenti di esitamento, che determinano l’esclusione dalla propria vita delle situazioni ritenute a rischio, con conseguente restringimento dei campi di interesse da parte del soggetto.
Quando le situazioni temute sono molteplici e riguardano la maggior parte delle situazioni sociali si può formulare la diagnosi di FS, che può comportare un elevato grado di compromissione della funzionalità globale del soggetto, fino a determinare una vera e propria condizione di esclusione dalla vita sociale (fobia sociale generalizzata).
Più frequentemente la FS è invece limitata a una o più situazioni (fobia sociale circoscritta) e può essere utile per il clinico elencarle (tabella 2) e valutare in che modo esse incidono sulla vita del paziente, sia per

Tabella 2 - Fobie più frequenti
• Iniziare o mantenere una conversazione
• Partecipare a discussioni in piccoli gruppi
• Partecipare a feste, riunioni
• Parlare con i propri superiori
• Mangiare in pubblico
• Sostenere un esame o un colloquio
di lavoro
• Scrivere in presenza di altri
• Essere al centro dell’attenzione

formulare ipotesi riguardanti la prognosi del disturbo, sia perché la diagnosi è appropriata solo se la fobia presente incide in modo significativo sul funzionamento individuale, familiare e lavorativo del soggetto.
È importante ribadire che la FS presenta un potenziale grado di invalidità e che la disabilità cumulativa di vita risulta elevata a causa della tendenza del disturbo a diventare cronico; ne consegue un’inibizione nella vita sociale e nelle relazioni familiari con notevoli ripercussioni sulla qualità della vita del soggetto e sull’utilizzo del proprio potenziale intellettivo, tanto che in questi pazienti può essere rilevata con notevole frequenza una marcata discrepanza tra il quoziente intellettivo e le performance nei diversi ambiti della vita quotidiana.
Uno dei problemi della FS è che spesso si associa e si complica con altre patologie psichiatriche come il disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione maggiore, il disturbo di panico, l’ansia generalizzata; inoltre tali soggetti sono più vulnerabili a sviluppare una condizione di abuso di sostanze (alcol, droghe, analgesici o benzodiazepine).
Le implicazioni di tale comorbidità sono notevoli in quanto contribuiscono ad accrescere la gravità del quadro clinico e a rendere meno agile la gestione di un efficace programma terapeutico, esponendo il paziente ad un maggiore rischio di suicidio. Ciò sottolinea l’importanza di formulare una diagnosi precoce e un trattamento appropriato.

Strumenti terapeutici


Gli strumenti disponibili per il trattamento sono sia farmacologi sia psicoterapeutici.
Nella fase iniziale del disturbo e laddove la sintomatologia lo consente si propende per un trattamento psicoterapeutico a cui, se necessario, può aggiungersi quello farmacologico; il monitoraggio del paziente consente di modulare e integrare nel tempo, e in risposta al quadro clinico, il programma terapeutico.
Dal punto di vista psicologico le tecniche utilizzate mirano a una ristrutturazione cognitiva, affettiva e comportamentale del paziente, nel tentativo di:

  • ridurre l’ansia basale, anticipatoria e situazionale;
  • contenere il comportamento di evitamento delle situazioni temute;
  • rinforzare la struttura di personalità e le sue modalità di difesa.
L’obiettivo ultimo è quello di contenere il disagio, aiutare il paziente ad acquisire una buona consapevolezza del proprio disturbo e a dotarsi degli strumenti psicologici per affrontarlo con efficacia.
Tra i farmaci più utilizzati che trovano indicazione in tale ambito vi sono le benzodiazepine (BDZ) e gli antidepressivi. L’utilizzo delle BDZ deve essere limitato alla presenza di una crisi di ansia generalizzata per la loro rapidità d’azione ed efficacia sui sintomi ansiosi; esse vanno comunque utilizzate per brevi periodi di tempo - non più di 2 settimane - o limitatamente alla risoluzione della crisi, in considerazione del fatto che questi soggetti tendono alla dipendenza e a svincolarsi dalla prescrizione medica.
Per tali motivi può essere opportuno apporre ulteriori limitazioni sulla ricetta, oltre a quelle già prevista dalla normativa vigente (ad esempio prescrivere una sola confezione di farmaco), rendersi disponibili in caso di crisi, e rafforzare la necessità di fronteggiare le stesse crisi anche con tecniche psicologiche.
L’utilizzo degli antidepressivi è invece considerato di prima scelta; la loro efficacia è ampiamente documentata, risultano capaci di ridurre l’ansia, l’evitamento fobico e la condizione di impairment.
Tra gli antidepressivi, utilizzati in monoterapia e per un periodo di tempo sufficientemente lungo (9-12 mesi), sono ampiamente utilizzati gli SSRI o inibitori selettivi del reuptake della serotonina, come la paroxetina, e gli SNRI o inibitori selettivi del reuptake di serotonina e noradrenalina, come la venlafaxina. È opportuno iniziare il trattamento con metà della dose standard incrementando il dosaggio nel giro di una settimana ed è necessario programmare controlli periodici per il monitoraggio.
La terapia va modulata in rapporto alle condizioni cliniche del paziente e la valutazione del trattamento a lungo termine, considerando la tendenza alla cronicità della FS, va fatta con la dovuta attenzione.
Ciò risuona inoltre come un richiamo ad essere più attenti nei confronti di un disturbo ancora oggi sottostimato e non trattato adeguatamente, pur in presenza di trattamenti efficaci.
Sono ancora troppi i pazienti che giungono all’osservazione dello psichiatra in condizioni cliniche di particolare gravità, quando la FS è gravemente strutturata, cronica, e in comorbidità con altri disturbi di pari gravità.



Bibliografia

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