M.D. numero 5, 21 febbraio 2007

Ricerche
Il fenomeno delle prescrizioni “occulte”
di Stefania Piccolo


Una ricerca osservazionale sulle prescrizioni diagnostiche in medicina generale, condotta nella Asl di Brescia, ha evidenziato che il 40% delle richieste di esami, visite specialistiche e ricoveri attribuite al medico di famiglia origina dalla medicina di secondo livello o viene rilasciata su richiesta dell’assistito

Uno dei più frequenti leitmotiv di politici e amministratori pubblici che intervengono in convegni e dibattiti pubblici è l’esaltazione del “ruolo centrale” della medicina generale (MG) nel Servizio sanitario nazionale.
L’enfasi retorica sulla “centralità” della medicina di famiglia contrasta tuttavia con la realtà di un sistema sempre più diversificato e frammentato in cui proliferano i centri pubblici e privati, che non di rado sconfinano sul “territorio” o bypassano il livello delle cure primarie. Per non parlare del ruolo dei media nella promozione delle più varie prestazioni o del fenomeno, tipico del settore sanitario, della “domanda” indotta dall’offerta.
Insomma in un sistema sanitario così variegato e frammentato è difficile pensare che esista veramente un attore che ricopra un ruolo centrale e direttivo, quasi che gli altri professionisti ricoprissero una posizione ancillare e subordinata. Ciò vale in particolare quando un sistema ha un assetto di tipo reticolare in cui ogni nodo della rete è più o meno fittamente connesso con altri in modo orizzontale e non verticale o gerarchico: se mai nei sistemi a rete prevalgono l’interdipendenza, l’integrazione funzionale, gli scambi e la reciprocità delle comunicazioni e delle interazioni.
Ciononostante economisti sanitari e manager restano fedeli alla supposta “centralità” della medicina generale che si concretizza in due ipotesi “forti” sul ruolo del generalista nel sistema: l’idea di affidare al Mmg la funzione di “prescrittore unico” per conto del committente pubblico e di attribuire ai cosiddetti Centri di Responsabilità territoriali tutte le prescrizioni che gravitano sul territorio, indipendentemente da chi le abbia attivate, indotte o suggerite. Tuttavia nella realtà empirica all’unico responsabile dell’accesso ai servizi (il cosiddetto gatekeeper) si è via via sostituita una pluralità di decisori che a vari livelli genera prestazioni diagnostiche, attiva consulenze specialistiche o follow-up, prescrive ricoveri, farmaci, esami di laboratorio ecc...
Un’indagine pubblicata sulla rivista trimestrale di economia e organizzazione sanitaria “Politiche Sanitarie”, (2006; 4:192-96), consultabile anche sul sito www.politichesanitarie.it, contribuisce a delineare i contorni di questo variegato “sistema prescrittivo” che, a detta degli autori, “si aggrega e si scompone di volta in volta attorno alla domanda espressa dal singolo assistito, il quale funge anche da collante e connettore della rete (in questo senso si tratta di un “sistema creato dal problema”, costrutto teorico-pratico elaborato della psicologia sistemico-relazionale)”.

L’indagine


Si tratta di una ricerca osservazionale portata a termine da 12 medici di famiglia della Asl provinciale di Brescia che per sei mesi, dall’ottobre 2005 al marzo 2006, hanno classificato le proprie prescrizioni diagnostiche in 4 categorie, in funzione della loro origine:
1. esami prescritti di propria iniziativa dal generalista;
2. esami suggeriti da specialisti pubblici;
3. esami suggeriti da specialisti privati/accreditati;
4. esami suggeriti dagli assistiti.
Durante il periodo di osservazione su 65.471 contatti ambulatoriali tra medico e pazienti, di cui diretti 45.374 (cioè vis a vis) e indiretti 20.097, sono state registrate in totale 19.063 prestazioni relative alle tipologie considerate dalla ricerca.
Dall’indagine è scaturita una sorta di mappa della rete di prescrittori “occulti” che influenzano i consumi sanitari del medico di medicina generale al quale invece, nelle intenzioni dei manager sanitari, dovrebbero essere interamente attribuite le prescrizioni diagnostiche, quasi fosse una sorta di deus ex machina del territorio. Va precisato che non rientrava negli obiettivi della ricerca il giudizio di appropriatezza delle prescrizioni rilasciate dal Mmg o suggerite da specialisti o assistiti.
Dalla ricerca bresciana emerge che il 40% delle prescrizioni di indagini (esclusi esami bioumorali e terapie fisiche), visite specialistiche, ricoveri che “girano” sul territorio non sono farina del sacco del medico di famiglia, ma sono indotte da un “suggeritore” esterno (lo specialista a cui il generalista ha inviato il paziente) o “interno” (l’assistito che si reca dal proprio medico al fine di ottenere l’impegnativa per visite ed esami diagnostici) (figura 1).
Se poi si esaminano in dettaglio le singole voci prese in esame dalla ricerca, quel 40% subisce scostamenti in eccesso e in difetto (figura 2). Infatti il rapporto tra le prescrizioni “suggerite” e quelle decise in prima persona dal Mmg si modifica in relazione alle diverse tipologie di prestazioni:

  • endoscopie, visite specialistiche ed ECG sono per oltre il 60% prescritte dal Mmg;
  • tale percentuale si inverte per quanto riguarda la diagnostica per immagini di maggiore impegno tecnologico ed economico, come TAC, RMN, scintigrafia e PET, che sono suggerite dagli specialisti quasi nei 2/3 dei casi.
Significativo inoltre appare il contributo degli assistiti nell’induzione di visite e radiografie: sul totale di 7.901 consulenze specialistiche, 864 sono state prescritte su input degli assistiti (10.9%), mentre le radiografie suggerite dai pazienti sfiorano il 10%. I ricoveri infine sono equamente ripartiti tra Mmg (49.9%) e altri prescrittori (50.1%).
Gli autori della ricerca non a caso concludono il loro lavoro citando l’epidemiologo Francesco Taroni: il sistema prescrittivo territoriale travalica confini ed assetti organizzativi consueti e richiede, per funzionare in modo qualitativo, un buon tasso di integrazione, in quanto “i processi di produzione e distribuzione dei servizi sanitari si svolgono attraverso reti di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili fra organizzazioni e professioni diverse, in cui nessuno dei numerosi attori può esercitare la funzione di comando e controllo e, parallelamente, non esiste un unico soggetto cui imputare responsabilità complessive” (Taroni, 2004).