M.D. numero 6, 28 febbraio 2007

Diagnostica
Screening per carcinoma prostatico e PSA
di Libero Ciuffreda, Isabella Chiappino, Anna Novarino - Dipartimento di Oncologia, AO Molinette, San Giovanni Battista, Torino

In base alle evidenze scientifiche non esiste ancora indicazione all’esecuzione dello screening di popolazione per ca prostatico mediante il dosaggio del PSA. In attesa dei risultati dei trial in corso va evitato il rischio di sovradiagnosi, fermo restando l’utilizzo dell’antigene prostatico specifico in ambito clinico


Le attuali evidenze disponibili sui possibili benefici dello screening del carcinoma prostatico derivano essenzialmente da studi osservazionali, che hanno fornito risultati non univoci.
Come è noto il dosaggio del PSA è stato proposto per lo screening del carcinoma della prostata, anche se si tratta di un marcatore legato al tessuto prostatico e non al tessuto neoplastico e un risultato positivo dell’indagine non può e non deve essere interpretato come significativo per presenza di tumore.
La criticità di uno screening del ca prostatico risiede nella storia naturale della malattia, che a differenza di altre neoplasie può essere presente senza andare inevitabilmente incontro a progressione nel corso della vita. Si stima che il 30-40% della popolazione maschile ultracinquantenne asintomatica sia affetta da carcinoma prostatico, ma solo l’8% sia destinato a sviluppare sintomi e meno del 5% a morire di tumore.
Studi autoptici confermano la frequenza elevata e crescente con l’età di carcinomi latenti (circa il 30%). Pertanto non è da sottovalutare che lo screening del ca prostatico basato sul PSA porti ad una possibile diagnosi di casi che non avrebbero avuto una progressione clinica in tutto il corso della loro vita, ossia a una “sovradiagnosi”.
Nelle popolazioni sottoposte a PSA di screening il rapporto incidenza/mortalità infatti tende inevitabilmente ad aumentare. Negli Stati Uniti, dove questa pratica è largamente diffusa, ogni uomo ha una probabilità su sei di avere una diagnosi di tumore della prostata, mentre in epoca pre-screening il rischio di morte per ca della prostata era di circa 1:40. Nello studio europeo di screening il rapporto di incidenza e mortalità è salito di sette volte, da 2.5: 1 a 17:1 e anche dopo la riduzione di mortalità osservata negli ultimi cinque anni il rapporto è di 7:1, dato che suggerisce che l’86% degli uomini con nuova diagnosi non è destinato a morire per il tumore.

Rischi della sovradiagnosi


A seconda dell’aggressività diagnostica si è stimato che la sovradiagnosi a seguito dello screening con PSA possa salire dal 50% al 250%. Nello scenario ipotetico di una popolazione di un milione di uomini di oltre 50 anni, vi sarebbero circa 110.000 soggetti con PSA elevato che dovrebbero affrontare l’ansia di avere un tumore, circa 90.000 sarebbero sottoposti a biopsia e 20.000 avrebbero un cancro diagnosticato. Se 10.000 di questi uomini fossero sottoposti a prostatectomia, 10 morirebbero a causa dell’intervento, 300 svilupperebbero una severa incontinenza urinaria e 4.000 diventerebbero impotenti. Il numero di vite salvate è però sconosciuto.
Nella migliore delle ipotesi un’anticipazione diagnostica comporta la necessità di convivere più a lungo con la spiacevole consapevolezza della malattia, senza che questo incida in modo significativo sulla mortalità.
Un importante costo della sovradiagnosi sono i possibili eventi avversi legati a un trattamento locoregionale non necessario. È probabilmente per limitare i danni che un’opzione terapeutica possibile (quando ci si trovi di fronte a una malattia che presenta fattori prognostici suggestivi di un profilo di rischio favorevole), è la sorveglianza attiva, uno stretto monitoraggio come compromesso tra l’osservazione e il trattamento radicale.
Il PSA non è affidabile neppure per il valore predittivo di un risultato negativo. Anche se il valore di 4 ng/ml è stato utilizzato negli screening come cut-off per l’esecuzione di una successiva biopsia, non ci sono valori di PSA al di sotto dei quali si possa ritenere con certezza che non vi sia rischio di ca prostatico. In uno studio di prevalenza su 2.950 uomini con valori di PSA all’interno dell’intervallo di riferimento, la biopsia prostatica ha identificato il 15% di casi con ca della prostata. Non esiste un cut-off del PSA che combini alta sensibilità ed alta specificità per lo screening del carcinoma prostatico, ma c’è piuttosto un gradiente di rischio per valori crescenti di PSA.
Tentativi di ricercare un valore di cut-off a livelli più bassi (2.5 ng/ml, con maggiore sensibilità, soprattutto in soggetti di età <60 anni), comportano un ulteriore incremento del rischio di sovradiagnosi.

Prospettive


Sono in corso studi prospettici randomizzati e controllati di ampie dimensioni sia in Europa sia negli USA. Dai loro risultati avremo risposte ai quesiti sull’efficacia dei programmi di screening nel determinare una riduzione della mortalità da ca della prostata in grado di giustificare l’introduzione di uno screening di popolazione, chiarendo se sia efficace uno screening nella popolazione generale a basso rischio o quali siano i gruppi che possano trarne beneficio.


Bibliografia

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