M.D. numero 7, 7 marzo 2007

Dibattito
Ricette on line: una affermazione assurda…

Sono un informatico, marito di un medico di medicina generale, e confesso che aspetto con curiosità di leggere gli interventi del dottor Antonio Attanasio su M.D., a volte polemici, a volte molto stimolanti. Preciso di non essere coinvolto professionalmente in alcun progetto con la Pubblica Amministrazione. Ma avrei qualcosa da dire su quanto affermato dal dottor Attanasio nell’articolo dal titolo: “Ripetizione di ricette: un’idea risolutiva” (M.D. 2006; 38:12). L’articolo contiene effettivamente idee condivisibili anche a tecnici informatici, probabilmente attuabili con relativamente poco sforzo e che anche a me erano venute in mente tempo addietro, termina però con un’affermazione assurda: quella secondo la quale un intervento sui sistemi informativi nazionali possa essere eseguito da “un qualsiasi giovane hacker”, che si accontenterebbe, a suo parere, di esserne ricompensato con un regalo di un ingresso al luna park. Forse, questa volta, il dottor Attanasio ha proprio esagerato.
Non mi pare infatti di poter condividere:
1. l’interesse che dimostra di avere per i dati sensibili miei, dei suoi pazienti e di tutti i pazienti del Ssn, visto che secondo lui questi dati possono essere messi in mano a procedure software progettate e sviluppate da un qualsiasi giovane (hacker, per giunta);
2. la presunzione di essere in grado di giudicare la complessità o meno di eventuali “minime modifiche ai software attualmente utilizzati”, come se chiunque al di fuori dell’ambiente medico si potesse permettere di giudicare una qualsiasi delle più semplici cure che un medico prescrive (ma si sa che gli italiani sono tutti degli opinionisti convinti, esperti in ogni campo);
3. il pressappochismo con cui affronta problematiche che, fino a prova contraria, non gli competono;
4. la fiducia che ripone nella professionalità degli informatici italiani, molti dei quali laureati, che sono sostituibili da qualsiasi “giovane hacker.”
I progetti in ambito informatico sono molto spesso più complessi di quello che possono apparire a chi li guarda dall’esterno, così come una patologia medica. Non mi permetto di sentenziare che curare una cervicalgia è alla portata di un qualsiasi giovane chimico che conosca la molecola della nimesulide, perché so che i fattori in gioco sono molti di più di quanti io possa mai comprendere; il dottor Attanasio, per favore, si astenga dal fare altrettanto in ambito informatico.
Se poi è a conoscenza di qualche favoritismo elargito dai politici a qualche software house, prego di comunicarlo alla magistratura perché questo non capiti più.
Ricordo che i software di cui molti medici si sono dotati per gestire lo studio medico sono stati sviluppati (mi auguro) da informatici professionisti e non da ragazzini. Vorrei sapere per quale motivo il servizio sanitario dovrebbe avere minor cura nella scelta delle persone a cui affidare i suoi database.

Alessandro Tani
Arezzo



… o un paradosso per evidenziaredubbi legittimi?

Non mi è difficile ammettere di avere esagerato: l’allusione alla competenza, e soprattutto alle pretese, di un “qualsiasi giovane hacker” era quel che si chiama “un’iperbole”, figura retorica usata non per affermare un dato di fatto, ma per enfatizzare un concetto. Vorrei però far ugualmente osservare che, come ci sono praticoni non laureati più onesti e in gamba di certi medici, è anche possibile che ci siano hackers più onesti e in gamba di certi informatici. Cerchiamo di non dimenticare che l’obbligo di essere laureati e abilitati per poter esercitare la medicina (obbligo che nemmeno esiste per lavorare nell’informatica) è un requisito che, giustificabilissimo sul piano della convenienza, lo è molto meno sul piano dell’oggettività.
Ma questo è un discorso che ci porterebbe troppo lontano.
Per quanto riguarda il discorso sui dati sensibili, mentre da una parte vale quanto detto a proposito dell’iperbole, dall’altra vorrei fare l’esempio del SISS della Regione Lombardia.
Il sistema informativo socio sanitario della Lombardia, allo scopo di proteggere la privacy, ha attuato una strutturazione estremamente macchinosa, basata su carte a microprocessore, reti geografiche e linee protette, progettato da ditte informatiche di fiducia della Regione, e ha giustificato i costi estremamente elevati di una tale scelta non con l’intento di “aiutare” l’industria informatica, ma con il fatto che tale sistema era l’unico in grado di garantire la privacy. Peccato però che il Ministero delle Finanze abbia invece scelto di proteggere la privacy dei contribuenti che compilano on-line le dichiarazioni dei redditi con una semplice combinazione di password e PIN inviati tramite un comune pc sulla normale rete Internet.
A questo punto che cosa dobbiamo pensare noi poveri comuni mortali digiuni di informatica? Che la Regione Lombardia difende le informazioni sul nostro morbillo come si deve, mentre il Ministero delle Finanze è gestito da sprovveduti che non capiscono nulla di informatica e che se ne infischiano altamente della nostra privacy?
Per quanto riguarda la mia competenza nel campo dell’informatica, anche qui non ho difficoltà ad ammettere che sono un incompetente. Ho smesso di scrivere programmi nel lontano 1975 e se volessi ricominciare non saprei proprio come fare (oltre a non averne più assolutamente voglia). Se però mi sfuggono i dettagli, sono tuttora in grado di sentir puzza di bruciato quando politici e amministratori della sanità difendono certe loro scelte nel campo dell’informatica medica o quando alcuni informatici ingigantiscono oltre misura le loro “fatiche” e il relativo valore. Oltre tutto, diciamolocelo fuori dai denti, quando un informatico esagera la propria importanza parlando con un medico, fa la figura dell’allievo che insegna al maestro. Gli informatici sono nati ieri, mentre sono secoli che noi medici affiniamo giorno dopo giorno l’arte sublime del gettar fumo negli occhi.
Infine, non voglio certo togliere agli informatici il diritto di farsi pagare adeguatamente ma, come ci sono fra i medici individui o consorterie che, grazie a legami di vario tipo con il potere politico o economico, riescono a farsi pagare molto più di quanto valgono, così a volte si ha l’impressione che anche fra gli informatici ci siano individui o società che, grazie ad analoghi legami, riescano a far scucire ai committenti somme ingiustificate. È solo un’impressione, ma è troppo facile liquidarla invitando a comunicare tale impressione alla magistratura La legge italiana non prevede la possibilità di comunicare ai magistrati delle “impressioni”. La nostra procedura penale riconosce solo denunce formali da parte di chi si ritiene offeso o danneggiato, e anche il rapporto all’autorità giudiziaria che era previsto dall’art. 2 del vecchio Codice di Procedura Penale da parte di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio è stato oggi sostituito da una “denuncia” (art. 331). Che senso avrebbe denunciare formalmente “impressioni”, quando “fatti” analoghi, ampiamente e diffusamente descritti dagli organi di stampa, non danno quasi mai origine ad indagini da parte dei giudici?
Ammettiamolo: il malcostume italiano è perfettamente blindato. Per vincerlo non esistono soluzioni giudiziarie, ma solo soluzioni politiche, ed è per questo che ho smesso da tempo di parlare ai giudici e mi limito a parlare ai miei colleghi e ai miei concittadini.

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)