M.D. numero 8, 14 marzo 2007

Bioetica
Glossario per la fase terminale della vita
di Alberto Marsilio - Medico di medicina generale, Bioeticista, Mira (VE) e Giuseppe Maso - Medico di medicina generale, Mira (VE), Dipartimento di Medicina di Famiglia, Università di Udine


All’interno della società civile è in corso un serrato dibattito sui temi etici relativi alla fine della vita umana. La medicina di famiglia dovrebbe “far sentire” la sua voce, in quanto spesso il Mmg si trova a gestire pazienti in fase terminale. La discussione deve però partire da un linguaggio condiviso e il glossario proposto di seguito vuole essere uno strumento in tal senso


Il grande dibattito in atto sui problemi etici che riguardano la fine della vita umana evidenzia, in tutta la sua drammaticità, la difficoltà nel prendere decisioni in questo campo. Problematiche strettamente individuali, personali, intime e affettive sono sottoposte a un vaglio morale necessariamente pubblico e pluralista. Il rapporto intimamente riservato tra medico e paziente diventa, sempre più, una relazione regolata da pubblica morale e da leggi dello Stato. La bioetica assurge al ruolo di disciplina guida; essa cerca di creare un insieme di indicazioni che, se pur non vincolanti, dovrebbero governare l’operato di quanti affrontano quotidianamente le problematiche correlate alla fine dell’esistenza. La medicina generale si confronta ogni giorno con queste tematiche e su di esse dovrebbe far sentire anche la sua voce. Non vi può essere dibattito senza una condivisione del linguaggio né, in ogni caso, si possono ignorare i termini della discussione in atto. Per questo riteniamo utile fornirci di un glossario, strumento comune e condiviso.

Accanimento terapeutico


È un trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica.

Assistenza al suicidio


È un tipo particolare di aiuto a morire che in alcune nazioni, come per esempio la Svizzera, è molto diffuso (la legislazione lo permette). È sempre un’uccisione su richiesta, in quanto è il paziente che chiede di morire, ma a differenza di questa l’atto finale è compiuto personalmente dall’ammalato e non dal medico. La morte avviene o per assunzione di un farmaco per os, o per somministrazione di un farmaco per via endovenosa (in questo caso è il paziente che “apre” la flebo).
Tutti i preparativi per l’atto finale vengono invece organizzati e portati avanti dal personale sanitario.

Cure palliative


Sono cure globali offerte al paziente dal momento in cui la malattia non risponde più ai trattamenti convenzionali.
Secondo l’OMS, possono così essere definite: “…sono un approccio che migliora la qualità della vita dei pazienti e delle famiglie che si confrontano con i problemi associati a malattie mortali attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza… per mezzo del trattamento del dolore e di altri problemi fisici, psicosociali e spirituali.”
Di fatto comprendono:

  • oncoterapia palliativa (radioterapia, chemioterapia e chirurgia);
  • cure di supporto (le terapie antalgiche non causali, la valutazione nutrizionale e il bilancio idro- elettrolitico, la cura delle infezioni opportunistiche, il trattamento riabilitativo, il sostegno psicologico, il monitoraggio psicologico dell’équipe sanitaria).

Direttive anticipate

Sono delle dichiarazioni fatte da una persona quando è nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, nelle quali si esplicitano i tipi di trattamenti a cui vorrebbe essere sottoposta in caso di malattia in stato terminale e incapacità a prendere decisioni.

Distanasia


Letteralmente significa “morte difficile o travagliata” e si usa per indicare l’utilizzo nel processo del morire di trattamenti che non hanno altro scopo che quello di prolungare la vita biologica del paziente.

Eutanasia


Etimologicamente dal greco “buona morte”, si intende “un’azione o un’omissione che di sua natura, o nelle sue intenzioni, procura la morte, allo scopo di allontanare ogni dolore”.
Il Comitato Nazionale di Bioetica in un parere riguardante le “Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana” (14 luglio 1995) ha definito l’eutanasia come “l’uccisione diretta e volontaria di un paziente terminale in condizioni di grave sofferenza e su sua richiesta”.
All’interno di questa ampia definizione bisogna fare delle distinzioni, in quanto diverso è il giudizio etico su di esse. Pertanto l’eutanasia può essere classificata:
  • in base alle modalità d’azione: eutanasia attiva (commissione), eutanasia passiva (omissione);
  • in base all’intenzione: eutanasia diretta (ricercata volontariamente), eutanasia indiretta (conseguenza non voluta di un’altra azione terapeutica).

Eutanasia attiva e diretta
Soppressione diretta e intenzionale di una persona al fine di abbreviarne le sofferenze. La causa di morte del paziente è proprio l’azione del medico o su richiesta esplicita dell’ammalato o per “compassione”.

Eutanasia indiretta

Trattamenti sanitari che mirano a ridurre sofferenze insopportabili, accettando coscientemente che ciò possa abbreviare la vita. In questo caso si parla più propriamente di “terapia del dolore”, in quanto né l’azione per sé, né l’intenzione sono orientate alla soppressione della vita e all’anticipazione della morte.

Eutanasia passiva

Decisione del medico di interrompere o rinunciare ai trattamenti. Da un punto di vista etico è importante distinguere il momento in cui viene messa in atto:
1. quando il processo di morte è avviato in modo irreversibile;
2. per anticipare la morte.
z Futilità medica
Può essere definita come l’utilizzo di trattamenti medici di efficacia estremamente improbabile, di beneficio marginale in termini di qualità della vita, gravati da costi elevati.

Intervento sedativo terminale


È una nuova forma di aiuto a morire presente soprattutto nei Paesi nordici.
Si tratta della somministrazione di un anestetico da parte di un medico e dell’interruzione di tutte le terapie a un paziente terminale fino a che non sopraggiunga la morte. Questa in genere avviene nel giro di qualche giorno o una settimana.

Malato terminale


Indica la persona con una malattia evolutiva irreversibile di cui la morte è diretta conseguenza in breve volgere di tempo (in ambito oncologico inferiore ai tre mesi).

Mezzo terapeutico proporzionato


Si definisce mezzo terapeutico proporzionato se è di uso comune, se il suo carattere non è sperimentale, se i suoi costi non si discostano eccessivamente dalla media, se la sofferenza e le mutilazioni che provoca al paziente non sono eccessive e soprattutto se vi sono delle ragionevoli speranze di beneficio.
In assenza di qualcuna di queste condizioni si entra nell’ambito dei mezzi terapeutici sproporzionati; ovviamente maggiori sono le condizioni assenti, maggiormente le cure risultano sproporzionate.

Principi della bioetica

I principi fondamentali della bioetica sono:
  • principio di beneficità: impone di prevenire il danno, eliminare il male, promuovere il bene e proporzionare i benefici in rapporto ai costi e ai rischi;
  • principio di non maleficità: richiede l’astensione intenzionale di azioni che arrechi danno;
  • principio di autonomia: si fonda sul riconoscimento del diritto a sostenere opinioni, fare delle scelte e compiere delle azioni sulla base di valori e convinzioni personali;
  • principio di giustizia: sancisce il dovere di una giusta distribuzione dei benefici, dei rischi e dei costi (giustizia distributiva e giustizia commutativa).

Letture consigliate

• Jonsen A, Siegler M, Winslade W. Etica cinica, McGraw Hill, Milano 2003.
• Leone S, Privitera S. Nuovo dizionario di bioetica. Città Nuova, Roma 2004.
• Sgreccia E. Manuale di bioetica. Vita e Pensiero, Milano 1999.