M.D. numero 8, 14 marzo 2007

Clinica
Stomatopirosi: approccio clinico-diagnostico
di Antonio Pugliese - Medico di medicina generale, Castellaneta (TA), Responsabile Nazionale Dipartimento di Dermatologia AIMEF


La sindrome della bocca che brucia è una condizione clinica caratterizzata da pirosi e dolore localizzati alla mucosa orale, in assenza di lesioni riferibili a patologie locali e sistemiche. Anamnesi, esame obiettivo e colloquio approfondito sono fondamentali nell’approccio con questi pazienti, in quanto solo dopo avere escluso una patologia organica si può ipotizzare una possibile genesi psicologica


Da circa vent’anni una mia paziente di 68 anni lamenta un sintomo ingravescente: bruciore del cavo orale, che inizialmente si è presentato in maniera intermittente, in seguito in modo continuo.
Nel corso degli anni le indagini ematochimiche non hanno mai evidenziato alcun dato significativo e riconducibile al disturbo e all’esame obiettivo della cavità orale non ho mai riscontrato la presenza di lesioni o disordini delle mucose.
Da alcuni mesi però la sintomatologia è peggiorata (figura 1) e inoltre sono comparse alcune alterazioni, tra cui atrofia della mucosa orale e secchezza oculare.
Prescrivo un controllo ematologico più approfondito e conduco un’anamnesi psicologica mirata. Durante il colloquio, la mia paziente pone fortemente l’accento sul fatto che la figlia minore (che oggi ha 40 anni) era stata abbandonata dal fidanzato circa vent’anni fa e che da allora non si è più interessata al matrimonio. Questo evento era stato vissuto dalla paziente come una punizione per colpe del passato (soleva “parlare male” dei comportamenti delle ragazze, così come si usa nei piccoli paesi del Sud). Da allora la donna ha iniziato a lavare spesso i denti e la bocca con forti disinfettanti.
Nel frattempo i risultati degli esami ematologici hanno dato esito a una positività del fattore reumatoide e degli anticorpi anti-Ro/SSA.

Approccio al caso


In base all’assenza di alterazioni obiettive a carico delle mucose orali (candidosi, infezioni paradontali, allergie, ecc.) ipotizzo che la mia paziente sia affetta da stomatopirosi o “sindrome della bocca che brucia” (BMS - burning mouth syndrome), una patologia dolorosa soggettiva, quindi solo riferita, interessante il cavo orale. Gli studi epidemiologici riportano una prevalenza della BMS tra lo 0.2% e il 2.6%. Il disturbo appare più frequente nelle donne in post-menopausa.
Punto esclusivo di riferimento della stomatopirosi è il sintomo del bruciore o dolore orale di gravità variabile (la sede può essere: lingua, bocca, labbra, gengive, palato, gola, mucosa buccale) accompagnato sovente da xerostomia, disgeusie sgradevoli, fatica nel parlare e difficoltà di assunzione di cibi, soprattutto se caldi. Nella maggior parte dei casi il bruciore è generalizzato a tutta la mucosa orale e può essere associato a un’alterata sensibilità gustativa.

Percezione del gusto e differenze genetiche
Nella percezione del gusto esistono differenze genetiche. Una distinzione è quella elaborata da Linda Bartoshuk della Yale University School of Medicine, secondo cui gli uomini possono essere classificati in base alla sensibilità nei confronti di una sostanza amara come soggetti: “senza gusto”, con “gusto normale” e con “gusto superiore alla media”. Nei suoi studi ha dimostrato che toccando la lingua con PROP (6-n-propiltiouracile), il 75% dei soggetti percepiva un sapore amaro, mentre il 25% non percepiva nulla (cecità al gusto) (Ann N Y Acad Sci 1998; 855: 793-6). La sensibilità al PROP è geneticamente determinata da un cromosoma recessivo che codifica l’insensibilità e da un cromosoma dominante che codifica la sensibilità a tale sostanza. Pertanto avremo: in omozigosi (25%) si manifesta come cecità di gusto (no-tasters), in eterozigosi (50%) si manifesta come normodegustatori (medium-taster), in omozigosi dominante (25%) si manifesta come supergustatori (super-tasters).

Sono state anche riportate descrizioni bizzarre come “punture di spilli”, “freddo tipo ghiaccio” e “carboni ardenti”.
La sintomatologia può insorgere in maniera improvvisa o graduale. Talvolta il bruciore è già presente al mattino e peggiora con il trascorrere delle ore, raggiungendo un’intensità massima nel tardo pomeriggio. Solitamente i disturbi hanno un andamento continuo con temporanee remissioni in coincidenza dei pasti, del sonno o di attività che distolgono l’attenzione del paziente. La durata può variare da pochi mesi a svariati anni.

Fattori psichici associati e sistema immunitario

In diversi studi è stato dimostrato che la BMS si associa in modo significativo a:

  • livelli di ansia e di depressione più alti;
  • caratteri più marcati di alexitimia;
  • presenza di comportamento abnorme di malattia (IBQ Abnormal Illness Behaviour): ipocondria, convinzione di malattia, inibizione affettiva, disforia, irritabiltà.
Inoltre il profilo psicologico dei pazienti con stomatopirosi correla con soggetti che vivono con difficoltà le situazioni di crisi e stress, evitano di fare fronte ai loro problemi e tendono a rifugiarsi negli altri, mancano di indipendenza, si sentono insicuri, hanno un rapporto difettuale con la loro aggressività, mostrano tratti di personalità dipendente e passivo-aggressiva. La BMS è preceduta frequentemente da eventi stressanti (malattia del soggetto o di un familiare, gravi eventi e lutti in ambito familiare). La genesi psicosomatica deve quindi essere presa in considerazione quando si siano escluse tutte le possibili cause organiche.
Nel nostro caso la clinica è stata negativa per molti anni e solo ora si può pensare ad un’evoluzione in sindrome di Sjögren.
Pertanto mi domando se un evento stressante possa essere la causa scatenare della stomatopirosi e in seguito di una malattia autoimmune in soggetti predisposti.
Tenendo presente che la disregolazione del sistema immunitario indotta da un’alterata modulazione neuroendocrina è alla base dell’autoimmunità, si può ipotizzare che la causa psicosomatica come concausa nello scatenamento di una catena di eventi può arrivare anche a produrre malattie autoimmuni.
Jasper Hoffmeyer in Medicina psicosomatica, 2001 (www.sicap.it) afferma che: “La relazione fra l’io biochimico e l’io semiotico potrebbe essere descritta come una relazione di sopravvenimento. Il sistema immunitario e quello nervoso non possono essere facilmente separati. Non solo le fibre nervose si ramificano negli organi del sistema immunitario, ma ancora più importante è la scoperta neuroscientifica che la funzione del cervello è modulata da numerosi prodotti chimici, oltre che dai classici neurotrasmettitori”, tenendo presente che la genetica ha un ruolo determinante.

Conclusioni


Inquadrare e gestire pazienti affetti dalla BMS richiede molto impegno da parte del medico. L’intervento diagnostico-terapeutico dovrà comunque essere impostato su diversi indirizzi (clinico-diagnostico, psicosomatico e psichiatrico), sovente intrecciati e sovrapposti tra loro.


Il punto di vista dello psichiatra
di Ferdinando Pellegrino - Direttore UO Salute Mentale Asl SA 1 - Costa d’Amalfi

Stomatopirosi o bruciore del cavo orale è il caso clinico su cui ci ritroviamo a riflettere. Esso rispecchia la complessità del rapporto mente-corpo ed evoca un metodo di lavoro interdisciplinare.
L’approccio clinico del medico di medicina generale ha infatti evidenziato come la sintomatologia sia insorta in seguito a eventi stressanti, ma le sue riflessioni si spingono oltre e forniscono utili elementi per l’individuazione di un metodo di lavoro che possiamo così schematizzare:
1. è possibile ipotizzare una genesi psicologica solo dopo avere escluso una patologia organica;
2. un alterato stato funzionale dell’organismo può rendere più vulnerabile il soggetto allo sviluppo di determinate patologie come quelle su base autoimmune;
3. in presenza di una patologia organica la comorbidità psichiatrica è superiore rispetto alla popolazione generale.
Questo approccio - la medicina psicosomatica di terza generazione - mira a ricomporre in unità ciò che per natura è unitario e che è culturalmente diviso (mente-corpo), in linea con gli attuali sistemi nosografici, come il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psichiatric Association (DSM-IV).
Esso sostiene un approccio multiassiale, che considera, per la definizione di un qualsiasi disturbo psichico, la necessità di valutare tutti gli aspetti della storia del paziente: i suoi tratti di personalità, le patologie fisiche, gli eventi stressanti, il funzionamento globale, le sue modalità di reazione agli eventi della vita.
Nel DSM-IV è prevista in tal senso una specifica categoria, quella dei “fattori psicologici che influenzano una condizione medica generale” la cui peculiare caratteristica è “la presenza di uno o più fattori psicologici o comportamentali specifici che influenzano in modo negativo una condizione medica generale”.
Come nel caso in esame, le domande da porsi sono molteplici e l’atteggiamento cauto ma attento del medico di famiglia ci suggerisce la necessità di valutare l’insieme dei dati disponibili.
Esclusa la presenza di una patologia organica viene ad essere evidenziata una maggiore vulnerabilità del soggetto che può essere legata a una condizione di “iperarousal psicofisiologico”.
L’organismo, per una molteplicità di cause, sembra più “accelerato” e “fragile” in ragione di un alterato funzionamento della risposta biologica allo stress; essa appare come una modificazione delle funzioni biologiche dell’organismo quale tentativo di adattamento agli eventi stressanti. In generale la risposta di adattamento è positiva, l’organismo trova cioè una sana modalità di adattamento che gli consente di affrontare con efficacia i problemi della vita.
Tuttavia è possibile, sia per l’intensità sia per la persistenza dei fattori stressanti, sia per particolari condizioni di fragilità psicologica, che il soggetto, non capace di adattarsi, venga a trovarsi in un’area di rischio psicosomatico.
Condizioni tipiche possono essere per esempio l’esacerbazione di forme erpetiche cutanee in situazioni di stress o l’insorgenza di patologie cardiovascolari in rapporto a eventi della vita ad alto impatto emozionale.
È tuttavia evidente anche come l’insorgenza di un quadro organico possa essere esso stesso fonte di tensione e di stress; sono infatti frequenti quadri depressivi e ansiosi che insorgono in soggetti affetti da patologie organiche come il diabete, l’infarto miocardico, l’ipertensione o la psoriasi.
Questo ci spiega come il rapporto fra alterazione cutanea e distress psicologico è stato da sempre oggetto di interesse da parte di ricercatori e clinici, e perché in molte realtà ospedaliere è sorta spontaneamente, sulla base di una attenta osservazione di dati clinici, una attiva collaborazione tra dermatologi, psichiatri e/o psicologi.
Ne è un esempio il Servizio di Dermatologia Psicosomatica sorto già nel 1987 presso la Clinica Dermatologica I dell’Università di Milano la cui attività ha subito suscitato interesse e rilevato in una iniziale casistica di 633 pazienti la presenza di elevate quote di ansia e di depressione (valutate con il test di Zung per l’ansia e la depressione) che hanno richiesto l’intervento dello psichiatra.
La problematicità del rapporto mente-corpo, antica nelle sue origini quanto l’uomo stesso, si ripropone quindi in una veste nuova.
Se Freud parlava di “misterioso salto della mente al corpo”, oggi possiamo ritenere che qualsiasi malattia è insieme fisica e psichica: ogni sofferenza psichica comporta implicazioni fisiche e ogni patologia organica ha risvolti psicologici che non possono essere ignorati.

Tabella 1 - Valutazione psicologica del paziente dermatologico
1. Formulare una corretta diagnosi.
2. Valutare le condizioni generali del paziente e verificare la comorbidità organica
(per esempio la presenza di diabete, ipertensione, ecc).
3. Valutare la valenza dei fattori psicologici connessi alla patologia dermatologica, in particolare valutare la presenza di disturbi psichici (per esempio depressione, ansia), di tratti abnormi di personalità (tendenza alla demoralizzazione, irritabilità persistente) e la presenza di stili di vita disfunzionali (sedentarietà, abuso di alcolici, fumo di sigaretta, ecc).
4. Approfondire le conoscenze relative ai principali eventi della vita del paziente, al suo modo di gestire l’attività lavorativa, familiare, sociale.
L’approccio multiassiale o psicosomatico si propone di focalizzare l’attenzione sul paziente nei suoi aspetti fisici e psichici, al fine di avere una conoscenza ottimale delle sue condizioni, quale premessa per un programma terapeutico che consideri tutte le variabili oggetto di osservazione e valutazione.
Caratteristiche dell’ipocondria

È compito del clinico quello di valutare, per ogni singolo paziente, quanto un fattore psicologico venga a condizionare il quadro clinico in esame.
Una particolare attenzione deve essere volta anche alla naturale tendenza dei pazienti ad amplificare i sintomi, sviluppando, soprattutto in situazioni di stress o nel corso di una patologia organica, una polarizzazione ipocondriaca. L’accelerazione del battito cardiaco diventa un infarto, una sensazione di prurito o di bruciore può essere espressione di una grave malattia, il tremore alle mani si trasforma in un ictus cerebrale.
L’ideazione ipocondriaca è molto frequente in medicina e induce il paziente a consultare il medico più del dovuto, a non sentirsi rassicurato, a ritenere di essere affetto - senza reale giustificazione - da una o più patologie.
L’atteggiamento ipocondriaco può essere stabile, presentarsi con periodiche riacutizzazioni, con diversi livelli di gravità e non sempre questa tipologia di pazienti è facilmente gestibile; oltre che ricorrere spesso al medico essi rivendicano molta attenzione e tempo, e non sembrano mai soddisfatti delle risposte terapeutiche.
Una conoscenza delle caratteristiche psicologiche dell’ipocondria può certamente aiutare il medico, in ogni ambito, a meglio gestire queste situazioni; ancora di più in dermatologia (tabella 1), proprio per la peculiarità di alcuni quadri clinici - come la stomatopirosi - l’approccio proposto sembra dare una concreta risposta alle diverse esigenze cliniche e favorire una propensione a un metodo di formazione interdisciplinare che certamente aiuterà i medici a meglio comprendere la complessità dell’individuo.


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