M.D. numero 9, 21 marzo 2007

Contrappunto
I precari della medicina generale
di Alessandro Chiari - Segretario regionale Sindacato dei Medici Italiani, Emilia Romagna


Scelte non sempre appropriate e lungimiranti a livello nazionale e regionale hanno portato a limitare nel tempo l’accesso alla medicina generale. Un fatto che incide negativamente sull’intero comparto e inibisce quel necessario e anelato salto di qualità professionale. Si assiste così a uno spreco di risorse generazionali e culturali che finirà per ghettizzare sempre più la categoria dei medici di famiglia


I nuovi contratti regionali della medicina generale creano precari a vita: innalzando a 1.300 il rapporto ottimale, che coincide con l’autoriduzione, aumentando gli ambiti territoriali di calcolo delle zone carenti, con il nuovo Acn che fissa a 1.500 scelte a tempo indeterminato più 300 a scadenza (comunque di fatto 1.800 scelte), con il meccanismo di riassorbimento interno del nucleo sui pazienti liberi o lasciati liberi e la mobilità interna, certamente per qualche tempo non ci saranno che pochissime possibilità di accedere alla convenzione di medicina generale. In questi ultimi anni, la politica sindacale della trattativa in campo medico è stata viziata da quel sistema di contrattazione incentivante che ha cercato, per mancanza di altre idee, di adeguare il guadagno del medico di medicina generale ai parametri economici in cambio di una accresciuta mole di lavoro. Il sistema era stata pensato, inizialmente, per realizzare una progettazione territoriale di qualità, ma l’accumulo nel tempo di tali progetti ha favorito la massificazione del lavoro, con il risultato che, all’adeguamento del guadagno, ha corrisposto un aumento spropositato del lavoro. Tutto questo proprio mentre al territorio viene chiesto un grosso sforzo professionale per esercitare una capacità di filtro ed interdizione territoriale verso ospedale e pronto soccorso.
Per riuscire in questo intento è necessario innalzare la capacità diagnostica e terapeutica del territorio attraverso un aumento della tecnologia a disposizione dell’ambulatorio del Mmg. Ma un’aumentata capacità diagnostica significa per il medico un alto dispendio di energie perché comporta un ulteriore aumento delle responsabilità di lavoro territoriale. L’aumento del carico dei pazienti in quota pro capite ai medici implica inoltre un impoverimento del presidio sul territorio, che dovrebbe invece essere rafforzato.

La crescita della domanda


Se pensiamo che la domanda di sanità, a causa di molteplici e conosciuti fattori, è in costante aumento, ci possiamo rendere conto della complessità dell’intero quadro. Quindi aumentando il numero di pazienti che il medico deve seguire, con la possibile perdita di qualità che ne consegue, in funzione della quantità delle diverse prestazioni offerte, ci si potrebbe veramente trovare in crisi prestazionale. E più il livello locale dei medici è elevato, più si dovrebbe temere che l’aumento di lavoro possa danneggiarne la performance. Per aumentare la qualità del rendimento lavorativo bisogna invece razionalizzare il lavoro. La qualità del lavoro e la corretta prestazione passano attraverso l’attenzione ai bisogni del cittadino mediante l’accuratezza diagnostica e terapeutica. Bisogna avere il tempo da dedicare al paziente, ed è proprio questo tempo dedicato la prima “qualità” che il cittadino pretende dal proprio medico di fiducia. Anche il ministero della Salute ha pensato al recupero di una certa umanizzazione nei rapporti medico-paziente. Ultimamente, osservatori qualificati, andando contro la tendenza degli ultimi anni, chiedono che il Mmg torni a fare il medico, riappropriandosi del ruolo clinico. Inoltre, se per qualche tempo non venissero ammessi sul territorio nuovi medici, a causa dei complicati meccanismi di ingresso nella medicina di famiglia, esiste il pericolo che si vada verso un appiattimento delle figure professionali dato da una mancata concorrenza di libero mercato che si realizza quando in un territorio di lavoro sono immesse forze nuove. I nuovi arrivati, infatti, stimolano per un meccanismo concorrenziale la qualità globale del sistema lavorativo.
Un altro problema che si presenta, come conseguenza, è la diminuzione della possibilità di libera scelta del medico da parte del cittadino (a causa di un numero di medici da poter scegliere decisamente minore). Inoltre, se questa chiusura esiste ed è programmabile, come è possibile continuare a formare, da parte delle Regioni, medici afferenti all’area mediante il corso di formazione specifico?
Ma tutte queste considerazioni ci devono portare a riflettere sul fatto che i precari siano diventati una vera classe sociale medica creata in questi ultimi anni da normative ingiuste. Colleghi che, loro malgrado, vivono in una situazione di continua frustrazione professionale nella consapevolezza che a causa di particolari ingiuste scelte normative, alcune forze in campo abbiano drammaticamente rubato il futuro. Il mondo medico è impazzito, pare non avere più il senso del limite e a pagare sono sempre i deboli. Si sta sperperando un patrimonio enorme, sia culturale sia sanitario, parcheggiando a vita medici, senza saperli, anzi volerli, utilizzare, mentre il territorio ha un immenso bisogno di forze se vogliamo raggiungere livelli ottimali di assistenza sanitaria presidiandolo totalmente.