M.D. numero 9, 21 marzo 2007

Pratica medica
Dolori addominali: importanza dell'approccio diagnostico
di Leonardo Trentadue - Medico di medicina generale, Ferrandina (MT)

Una richiesta mattutina di visita urgente mi conduce a casa di una assistita di 46 anni, sposata e con due figli. La paziente, con 39°C di febbre, è seduta sul divano e si tocca con le mani la pancia, in preda a forti dolori addominali. La faccio stendere sul divano dove si rannicchia in posizione simil-fetale e procedo alla visita.

Storia clinica
Nel 1996 viene diagnosticata in un centro cefalee un’emicrania senza aura, curata con flunarizina 5 mg e antinfiammatori. Col tempo gli attacchi emicranici si sono notevolmente ridotti e da tre anni sono scomparsi.
Nel 2000 un’ecografia mammaria mette in evidenza noduli bilaterali senza significato patologico.
Da alcune settimane la paziente soffre però di frequenti menometrorragie, con sviluppo di anemia cronica, ben contrastata con terapia a base di ferro.

Visita domiciliare


Quando visito la paziente è in corso un’epidemia di un virus gastrointestinale, per cui sono portato tendenzialmente a ipotizzare di trovarmi di fronte all’ennesimo caso di gastroenterite. Ispezione, percussione e auscultazione non danno specifici segnali diagnostici, mentre la palpazione mi permette di localizzare il dolore più a livello pelvico che ai quadranti addominali. Anche questi, comunque, sono interessati parzialmente.
Distinguo una leggera contrattura in alcuni punti che non si attenua con la pressione graduale. Cerco qualche possibile tumefazione, ma non trovo nulla di rilevante.
È noto che per il medico l’addome costituisce un universo insidioso e difficile da decifrare. In questa situazione alcuni elementi mi spingono ad “aguzzare” i sensi e ad utilizzare il ragionamento scientifico:
1. la febbre alta non trova riscontri in patologie dell’albero respiratorio, che risulta del tutto indenne;
2. le caratteristiche del dolore addominale, che è continuo e di grado medio-severo;
3. la paziente riferisce di avere evacuato regolarmente poche ore prima: tendo a scartare l’ipotesi di occlusione intestinale con interessamento ischemico;
4. non si evoca dolore nella zona periombelicale né soggettivamente esso è riferito dalla paziente, per cui scarto un ruolo patogenetico del piccolo intestino e, in particolare, dell’appendice cecale, anche perché è negativa la palpazione sul classico punto di Mc Burney;
5. nella mia flow-chart mentale depenno l’ipotesi di colica renale non essendoci dolore al fianco che si irradi nella parete addominale lungo il tragitto inguinale;
6. anche le infezioni del tratto urinario non raggiungono la soglia del mio display diagnostico per la totale mancanza di sintomi urinari.
La mia attenzione si concentra gradualmente sulla zona pelvica, perché è qui che si risveglia più facilmente il dolore.
La paziente non è ancora in menopausa e soffre, come riferito, di frequenti menometrorragie da alcune settimane. Comprimendo sulla zona pelvica dopo avere distratto la paziente, rievoco sistematicamente il dolore con risposta reattiva, anche urlata. Altri piccoli segnali mi colpiscono andandosi a confondere con tutte le altre manifestazioni semiotiche già presenti nelle mia corteccia prefrontale: un certo grado di immobilità, la difficoltà a compiere i movimenti e la tendenza ad assumere la posizione laterale. A posteriori tutte queste manifestazioni diventeranno per me di una chiarezza adamantina, ma nella fase di approccio diagnostico tutto è avvolto nel dilagante rumore di confondimento semiotico.
Ormai consapevole di avere elementi sintomatologici sufficienti per una patologia pelvica, dispongo l’immediata ospedalizzazione.

Diagnosi e terapia chirurgica


Dopo le opportune indagini, nel locale ospedale viene posta la diagnosi di ascesso tubo-ovarico sinistro con pelviperitonite; fibromatosi uterina a nodi multipli. La diagnosi istologica referta: leiomiomi intramurali del corpo dell’utero; adenomiosi del miometrio; endometrio autolitico da inadeguata fissazione; multiple formazioni pseudocistiche ed emorragiche tubo-ovariche prive di rivestimento epiteliale proprio, delimitate da vallo istiocitario siderotico, talora in evoluzione suppurativa (possibili cisti endometriosiche). La paziente viene sottoposta a laparoisterectomia totale con annessiectomia sinistra.

Commento


L’approccio diagnostico-clinico al caso descritto è palesemente di tipo cartesiano e obbedisce al criterio di carattere espositivo, con l’intenzione di mettere in rilievo come il medico di famiglia, nella sua pratica medica, si trovi in situazioni che richiedono estrema attenzione a ogni segno espresso dall’unità psicosomatica del malato, soprattutto in presenza di una sintomatologia sfumata. Inoltre il Mmg deve - in una tempistica molto breve - far filtrare i dati esperenziali attraverso il vaglio della valutazione scientifica, con l’urgenza di produrre una sintesi mentale che si avvicini ad un’appropriata ipotesi diagnostica.