M.D. numero 10, 28 marzo 2007

Contrappunto
Il decadimento economicista dell’esercizio terapeutico
di Leonardo Trentadue, Medico di medicina generale, Ferrandina (MT)


Non c’è più posto a questo mondo per la persona, l’individuo fatto di anima e corpo. Basta guardarsi intorno: tutto è stato mercantilizzato e monetizzato, non si sfugge alla morsa della piovra economicistica che ci strangola con i suoi tentacoli lasciandoci impotenti e pronti solo ad accettare la condizione comune. Anche il mondo medico ha preso da tempo questa direzione e, purtroppo, quasi nessuno ha mosso un dito per impedire la degenerazione della “mission” medica, neanche la maggior parte dei diretti interessati. C’è di che preoccuparsi.
Tra i filosofi francesi, Simone Weil sosteneva che “quando l’economia diventerà prevalente, il furto sarà peggiore dell’assassinio”, ma si sbagliava perché oggi il furto è addirittura condonato e anche l’assassinio


In questi anni la mancanza di lungimiranza è stata il tratto caratteristico di operatori sanitari, sindacalisti e osservatori che, nei momenti delle scelte cruciali, non si sono opposti e hanno ceduto al mostro orribile del pensiero economico stritolante e totalizzante.
Così la vita professionale dei medici di medicina generale è diventata un inferno, schiacciata dalla mammuthica struttura burocratica e poliziesca. La pretesa di far diventare questi professionisti della salute tutti medici imprenditori si è sciaguratamente già realizzata e il malato è diventato nient’altro che un soggetto produttore di spesa che bisogna gestire con accuratezza affinché non esca dai parametri budgetistici. Mi chiedo se si ha coscienza di come oggi un Mmg è costretto a curare i malati. È possibile che si è persa definitivamente la sinderesi?

La malattia si cura se…


La malattia, invece di essere interpretata, viene quantizzata in termini commerciali e se produce troppa spesa non va più curata. In proposito è il caso di ricordare la vicenda di un paesino abruzzese che, per la posizione geomorfologica, si trova lontano una cinquantina di kilometri dal più vicino ospedale: i malati di diabete sono costretti a procurarsi l’insulina recandosi direttamente in ospedale perché la Regione, per risparmiare, non la eroga tramite le farmacie. Basterebbe questo episodio per far scattare la coscienza civile e morale di un popolo, ma non accade quasi nulla, si ricorre alle trasmissioni televisive, si tappa qualche buco, tutti rimangono attaccati alle loro poltrone e tutto ritorna come prima. Una società che ha smarrito la misura umana ha bisogno di essere rifondata.
I medici e gli operatori sanitari sono tutti consapevoli della situazione attuale? Perché nessuno sente il bisogno di reagire? Forse le coscienze vengono manipolate e sono vittime di inconsci delphic approach cioè della tendenza a recepire acriticamente le valutazioni dei media o dei cosiddetti esperti, senza un uso equilibrato della ragione.
Considero che se si è arrivati a questo livello è perché la coscienza umana abbia subito una notevole regressione, soprattutto sul piano etico. Quando non ci si indigna più per fatti e situazioni immorali e si accetta ogni nefandezza senza protestare, vuol dire che l’homo sapiens sta diventando ineluttabilmente homo insipiens, bisognoso di una reintegrazione etica. E allora, accanto alla ricerca per la cura del cancro, sarebbe ora che si raccogliessero e si devolvessero fondi per la ricerca interiore, per poter salvare l’uomo dall’oscuro abisso in cui sta precipitando. Bisogna avere il coraggio di dire basta al sistema dell’apparire, basta al trionfo dell’imbecillità, basta alle lusinghe del consumismo sfrenato, basta a una vita vissuta senza valori.

La rassegnazione imperante


Chi scrive è andato a scuola di utopia negli anni delle ubriacature ideologiche e ha subito la cocente disillusione per il devastante crollo dei loro principi fondanti. Ma l’utopia aveva almeno una funzione di spinta in avanti verso nuovi traguardi etici e morali, riusciva a modificare i comportamenti regressivi trasformandoli in propulsivi verso il miglioramento di se stessi e della società. Oggi, invece, non c’è nessun anelito verso il progresso interiore, prigionieri come siamo dello spazio-tempo economico che condiziona ogni attimo della nostra vita. Non riusciamo a liberare dalle catene superegoiche il nostro io autentico, quello che cerca la fratellanza e la solidarietà tra gli uomini, quello che cerca l’empatia con il malato nella prospettiva della sua guarigione, ma soprattutto della nostra guarigione dalle sovrastrutture fittizie che impone una società con caratteristiche prebarbariche che forse nemmeno Hobbes avrebbe immaginato.