M.D. numero 10, 28 marzo 2007

Rassegna
Patologie cardiovascolari e disturbi psichiatrici
di Ferdinando Pellegrino - Direttore UO Salute Mentale Asl Salerno 1, Costa dıAmalfi


Nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari è importante riconoscere e trattare l’eventuale presenza di quadri depressivi o ansiosi, spesso “mascherati” e oligosintomatici. Particolare attenzione va posta agli stili di vita disfunzionali, che fanno sì che l’individuo stesso diventi fattore di rischio. A disposizione del Mmg vi sono diversi strumenti terapeutici, non ultime le strategie di “coping”


Le malattie cardiovascolari costituiscono uno dei più importanti problemi di sanità pubblica e in Italia rappresentano la prima causa di morte e di consumo di risorse sanitarie.
La frequenza annua di nuovi eventi coronarici nella fascia di età tra i 35 e i 69 anni è pari a 5.7% negli uomini ed a 1.7% nelle donne, con le inevitabili conseguenze individuali, familiari, lavorative e sociali.
Diventa pertanto prioritario per il Ssn operare interventi preventivi e curativi efficaci, individuando idonee strategie tese a sensibilizzare l’opinione pubblica e la classe medica su tali problematiche, non tralasciando di considerarne gli aspetti psicologici e psico-patologici.
Questo perché esiste sia una diretta correlazione tra alcune patologie psichiatriche - come la depressione - e le principali patologie cardiovascolari, sia una precisa responsabilità dell’individuo che si propone, per il suo comportamento, come vero fattore di rischio per le malattie cardiache.
Secondo l’OMS, una delle maggiori cause degli anni di vita persi per l’insorgenza di patologie organiche o psichiche è dovuta a problemi correlati al comportamento: fumo di sigaretta, abuso di alcol, alimentazione incontrollata, non adesione a trattamenti farmacologici laddove necessari, non osservanza dei consigli medici, che rendono il soggetto più vulnerabile allo sviluppo di quadri morbosi come le patologie cardiovascolari: ne predispongono infatti l’insorgenza, ne rendono più difficile la gestione e favoriscono la comparsa di complicanze (tabella 1).
Un iperteso, così come un diabetico o un infartuato, continuerà a fumare, ad essere in sovrappeso, a non attenersi alle prescrizioni mediche, a non sottoporsi a regolari controlli clinici, a non modificare quei comportamenti - il suo stile di vita - che hanno favorito l’insorgenza delle patologie organiche.
Dal punto di vista clinico ciò si traduce nella necessità di operare secondo un approccio multiassiale o psicosomatico, che considera l’uomo nella sua totalità (approccio patient centred), nei suoi aspetti psichici e organici.

Comportamenti disfunzionali


Alcuni dati ci dicono che rispetto alla popolazione generale i soggetti affetti da patologie organiche, soprattutto se croniche e invalidanti, presentano una maggiore prevalenza di disturbi psichici, soprattutto dello spettro ansioso-depressivo, stimata complessivamente intorno al 24.7%, con percentuali che nello specifico di alcune aree risultano ancora superiori, per esempio se si considerano le patologie neurologiche (37.5%), cardiovascolari (34.6%) o neoplastiche (30.3%).
Altri dati ci invitano invece a riflettere su come alcuni stili di vita (fattori psicosociali) siano diventati importanti dal punto di vista clinico e in particolare lo sono per le patologie cardiache, come dimostrano anche i dati relativi all’emergere delle patologie cardiovascolari nelle donne che, negli ultimi anni, proprio in seguito alle modificazioni del comportamento femminile, hanno raggiunto dimensioni allarmanti.
La patologia ischemica non è più una patologia del sesso maschile anche perché la donna ha acquisito modalità comportamentali (fumo, abusi alimentari, ecc) dannose per la salute; ciò a causa del suo ruolo all’interno della società, dello stress che deriva, per esempio, dagli impegni lavorativi che spesso si sommano a quelli familiari, dall’insoddisfazione per la propria vita di casalinga vissuta come frustrante e svuotata del ruolo di madre, dalla gestione di una molteplicità di situazioni e problematiche della vita quotidiana.

Valutazione del paziente


In medicina esistono diversi livelli di valutazione che vanno integrati e approfonditi nella loro specificità per meglio chiarire i rapporti esistenti tra patologia organica e psichica, che descriviamo in sintesi.
1. La presenza di un quadro depressivo o ansioso è più frequente in un soggetto coronaropatico; non tutti i pazienti infartuati o affetti da un’altra patologia cardiaca sviluppano un disturbo psichico, ma se lo sviluppano va riconosciuto e trattato. La depressione comporta un rallentamento complessivo delle performance individuali, una riduzione degli interessi vitali e da un punto di vista fisiologico una caduta complessiva delle difese (per esempio immunitarie).
Un paziente depresso avrà minori possibilità di ritornare a una vita attiva (“stanchezza vitale”), non sarà motivato a riprendere l’attività lavorativa, a curarsi in modo adeguato, avrà timore ad avere rapporti sessuali o a condurre una vita normale, più facilmente potrà sviluppare un atteggiamento ipocondriaco nei confronti della malattia e richiederà di continuo l’intervento sanitario.
È stato inoltre evidenziato che il rischio di mortalità e morbilità cardiaca è tre volte superiore nei pazienti post-infartuati con depressione rispetto ai pazienti senza depressione.
Da qui la necessità di prestare particolare attenzione alle diagnosi di depressione (tabella 2) e di ansia.
Molto spesso esse risultano:

  • oligosintomatiche, si presentano con un ristretto numero di sintomi (per es. la mancanza di concentrazione e la sensazione di affaticamento)
  • mascherate, sia sul versante somatico (palpitazioni, dolori al petto, astenia) sia comportamentale (insolita irritabilità, richiesta ingiustificata di certificati per assenze dal lavoro, aumento del consumo di alcolici, ecc).
2. La presenza di condizioni di disagio psichico, di stress o di stili di vita disfunzionali può essere rilevante in un soggetto cardiopatico. Risulta pertanto utile valutare attentamente la sua personalità, le sue difficoltà, i suoi problemi, il suo ambiente lavorativo e sociale, il modo di reagire alla malattia fisica e le abitudini di vita.
Infatti, se da un lato è stato rilevato un aumento statistico significativo di eventi stressanti nelle settimane e nei mesi precedenti un episodio ischemico cardiaco (perdite affettive, protratto sovraccarico lavorativo, perdite finanziarie, conflitti familiari, ecc), dall’altro è oramai noto come particolari caratteristiche di personalità, di seguito elencate, rappresentano un vero e proprio fattore di rischio cardiovascolare:
• alta competitività;
• aggressività trattenuta o repressa;
• tensione nervosa costante;
• impazienza, irritabilità;
• insofferenza e intolleranza;
• necessità di esercitare un totale controllo sul proprio ambiente nelle varie situazioni;
• elevato coinvolgimento nel lavoro;
• scarsa capacità di rilassarsi;
• rabbia e attaccamento.
La definizione di peculiari personalità come indicative di una predisposizione a sviluppare una patologia cardiovascolare è tuttavia superata: non esisterebbe infatti una “personalità tipo”, quanto un modo di vivere disfunzionale, indipendente dalle caratteristiche di personalità; viene in questo modo sottolineato come il concetto di stress sia legato a modalità soggettive di interpretare gli eventi della vita.
Situazioni di disagio alimentano e sostengono lo stress. Superlavoro, carenza di soddisfazioni e senso di frustrazione, conflittualità relazionale, pressioni sociali, ritmi di vita frenetici, carenze affettive rendono l’individuo più vulnerabile.

Programmi terapeutici


Dal punto di vista terapeutico gli strumenti terapeutici a disposizione del clinico sono essenzialmente a carattere farmacologico e psicologico.

Strategia farmacologica

L’attuale disponibilità di molecole antidepressive dotate di un valido profilo di efficacia e tollerabilità, come gli SSRI (inibitori del reuptake della serotonina), rende possibile l’attuazione di agili programmi terapeutici nella maggior parte dei disturbi d’ansia e depressivi. La loro manegevolezza non deve tuttavia far tralasciare un attento monitoraggio del trattamento instaurato.
Evitare in ogni caso l’associazione di più molecole, utilizzare il dosaggio terapeutico consigliato e per un periodo sufficientemente protratto di tempo (in genere non meno di 6-9 mesi di trattamento), valutare le possibili interazioni con altri farmaci, soprattutto considerando il fatto che il paziente è generalmente in politerapia, limitare l’utilizzo di benzodiazepine - da sole o in associazione con gli antidepressivi - in presenza di quadri ansiosi di particolare rilevanza e per brevi periodi di trattamento.
Nei casi dubbi, o laddove si ravvisasse un rischio suicidario, non bisogna avere riserve a richiedere una consulenza psichiatrica, che è opportuna anche se un primo ciclo di trattamento ha sortito gli effetti desiderati.
In ogni caso la conoscenza approfondita delle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche delle singole molecole che si utilizzano migliora la prassi terapeutica e implementa la competenza professionale.

Strategie di “coping”

È più difficile e complesso tracciare invece un’indicazione specifica rispetto a possibili interventi terapeutici sullo stile di vita disfunzionale, anche se nella realtà dei fatti esso pervade il setting clinico, fino a condizionarlo in modo preponderante.
Non è facile dire ad una persona, ma neppure servirebbe, di essere meno irritabile, meno triste, di non scoraggiarsi, di non fumare o dino essere meno “stressato”. Un iniziale atteggiamento di accoglienza e rispetto può invece suscitare sicurezza e calore ed essere il presupposto per la definizione di una strategia terapeutica appropriata.
Un aspetto interessante è il ruolo dell’approccio psicologico in medicina generale in quanto (come sosteneva Balint) uno degli strumenti terapeutici più potenti ed efficaci della pratica clinica è il medico stesso, che diventa “farmaco” nel momento in cui si incontra con il paziente e si relaziona a lui.
In particolare si è visto come già la sola capacità del medico di favorire l’adozione di specifici atteggiamenti (strategie di coping) nei confronti di se stesso, della famiglia, del lavoro, possa aiutare il paziente a gestire le problematiche della vita, compreso un percorso di malattia, in modo più efficace.
L’intervento psicologico mira a favorire lo sviluppo di stili di coping in grado di aiutare il soggetto, di fronte alla malattia o allo stress quotidiano, ad assumere un atteggiamento che renda possibile attingere in modo ottimale alle risorse psicologiche disponibili.
In medicina lo sviluppo di stili di coping rappresenta una sfida importante per il futuro e saranno sempre più oggetto di studio le analisi delle prove di efficacia degli interventi che possono modificare specifici comportamenti - gli stili di vita - per ridurre le complicanze dovute alle patologie e favorire una migliore qualità della vita.