M.D. numero 10, 28 marzo 2007

Riflessioni
Lo studio del MdF non è una risorsa sotto-utilizzata
di Gaetano Bottazzi, Medico di medicina generale, Piacenza


Ultimamente pare esserci un generale consenso sul fatto che l’ambulatorio del medico di famiglia (MdF) debba restare aperto sempre di più, fino alle 12 ore giornaliere e magari 24 ore su 24.
La spiegazione di tale consenso è presto data: soldi da spendere in servizi non ce ne sono più, i reparti di pronto soccorso degli ospedali scoppiano (perché dimensioni e numero del personale non sono adeguati alle necessità); come fare a potenziare il servizio senza investire del denaro? La risposta è semplice, far mettere il denaro da qualcun altro, che non solo lavori gratis et amore dei, ma anche investa di tasca propria nelle strutture. L’unico soggetto professionalmente identificato che parrebbe adatto a un simile sacrificio è il medico di famiglia


La logica che gli amministratori pubblici applicano dietro la nuova idea di utilizzo dello studio del MdF per 12 o più ore al giorno è che molti degli accessi al pronto soccorso sono impropri (i cosiddetti “codici bianchi”), cioè sono fatti da persone che si rivolgono al pronto soccorso non per vera necessità, ma per ansia, per maleducazione, perché è aperto, perché non trovano un altro medico, perché vogliono vedere una specialista senza attendere che arrivi il proprio turno nella lista d’attesa delle Asl. Dunque, se questi pazienti invece di recarsi al pronto soccorso dell’ospedale si potessero recare al pronto soccorso dei medici di famiglia, automaticamente il parcheggio dell’ospedale si vuoterebbe.
I difetti di questo ragionamento sono molteplici, ma non faccio troppo affidamento al fatto che la logica possa intaccare la fiducia in questo progetto.
Quello che politici e amministratori (che poi sono la stessa cosa) non sanno è che i pazienti che ingolfano il pronto soccorso già intasano anche la sala d’aspetto dell’ambulatorio del medico di famiglia.
I pazienti che si recano al pronto soccorso passano regolarmente, con il foglio di dimissione, anche nel nostro studio. Ma non lo fanno solo loro. Anche la sala d’aspetto dei medici di famiglia è intasata di codici bianchi, cioè di pazienti che non hanno alcuna necessità di una visita medica. Alcuni vengono spinti dalla burocrazia, che chiede loro una ricetta, un timbro con una firma, un certificato. Altri sono mossi dalla visione di trasmissioni televisive sulla salute che, per esempio, spiegano come e quando sia necessario ripetere la MOC o il PSA. Altri ancora si recano nello studio del medico di famiglia perché non saprebbero che altro fare. Il Ssn garantisce e mette a disposizione il servizio del medico di famiglia gratis e non esiste alcun filtro (per esempio il più modesto dei ticket) per chi vuole usufruirne. Anche nei nostri ambulatori la maggior parte degli accessi è inutile, e non solo fa perdere tempo al medico, ma sottrae tempo e risorse a chi è veramente ammalato.

La visita per appuntamento


In realtà esiste un modo per restituire dignità all’atto della visita medica a costo zero per il paziente. È quello della visita su appuntamento.
Il frequentatore incallito di sale d’aspetto però non prende l’appuntamento perché è entrato mentre stava facendo una cosa diversa, del tipo tornare dal mercato, oppure perché ha avuto l’ispirazione di una domanda da fare al medico. Ma soprattutto perché il paziente ipocondriaco nella sala d’aspetto e nella esibizione (raccontata) dei propri mali, vive. Dare al gesto di essere visitati da un medico la dignità di un appuntamento telefonico è già un modo di selezionare gli accessi. Ma è esattamente il contrario di tenere aperto lo studio 12 ore come una tabaccheria.
Non solo, gli accessi di troppo nell’ambulatorio del medico di famiglia hanno un costo anche per lo Stato. Il motivo è che il paziente che torna a lamentarsi degli acciacchi della vecchiaia o della paura dell’osteoporosi o dell’ansia da fitta intercostale difficilmente accetta di uscire dallo studio a mani vuote. Patteggia un esame, un controllo, una terapia: una fra quelle cose che un professore ha raccomandato durante una trasmissione televisiva. Un maggior numero di accessi dal medico di famiglia si traduce in un costo “indotto” per il Ssn, ma non necessariamente in salute per la popolazione.
Ma c’è di peggio. I codici bianchi del pronto soccorso si rivelano tali solo dopo la visita. Il paziente con un dolore epigastrico da banale indigestione ottiene comunque un elettrocardiogramma (letto da uno specialista cardiologo) e una ricerca degli enzimi ematici per escludere un infarto del miocardio. Il paziente che è scivolato in casa è comunque sottoposto a radiografia per escludere una frattura o a una TAC cerebrale per escludere una emorragia cerebrale. Il paziente con una colica renale in atto ottiene un letto, una fleboclisi con antispastico e antidolorifico e magari anche una ecografia. Tutto questo perché nessun medico ospedaliero sano di mente affronterebbe il rischio di una urgenza non diagnosticata, di un giovane che muore per pancreatite acuta dopo essere stato dimesso frettolosamente, di un infarto non diagnosticato. Ora, nei nostri ambulatori non abbiamo ecografi, TAC, laboratori di analisi. Ma non abbiamo neppure un letto su cui fare accomodare per qualche ora un paziente con colica renale, a meno di non voler invitare la restante parte dei pazienti del giorno a tornare a casa. E questo non perché siamo dei taccagni, ma perché - anche per colpa nostra e di parte dei nostri sindacati - quella miseria che accettiamo a titolo di convenzione non ci permette altro che affittare degli ambulatori non all’altezza di quei Paesi occidentali a cui ci illudiamo di appartenere.
Dunque, non solo gli amministratori vorrebbero che noi sgomberassimo i loro reparti di pronto soccorso con il nostro orario continuato, ma anche che ci prendessimo inaccettabili rischi medico legali a danno nostro, della nostra famiglia e dei nostri pazienti. Danni collaterali accettabili pur di non mettere denaro nei servizi, e non è ancora tutto.

Case della Salute


I nostri politici vanno oltre nella progettualità dei loro piani strategici di kruscioviana memoria. L’attuale ministro della Salute, Livia Turco, immagina le Case della Salute. Ambulatori dove concentrare una decina di medici della “mutua” e fornire un servizio di medicina del territorio che in burocratese si chiamano Nuclei di Cura Primari. I vantaggi di queste Case della Salute balzano agli occhi. Immaginate un paese italiano di quindicimila anime dove un cittadino sceglie in piena libertà un medico a seconda dei propri personali parametri: perché si fida, perché è simpatico, perché l’ambulatorio è in una posizione che gli risulta comoda, perché gli orari di quell’ambulatorio coincidono con le sue necessità. In quel paese ci sarebbero dieci ambulatori, dislocati in dieci punti diversi, fra cui effettuare la scelta. Scelta che può essere revocata e modificata in qualsiasi momento senza alcuna limitazione né necessità di giustificazione. Ora immaginate un solo grande ambulatorio della “mutua”, nella cui sala d’aspetto stanziano i pazienti di dieci medici (diciamo dalle 20 alle 200 persone alla volta), in attesa di essere ricevuti in tre o, bene che vada, quattro ambulatori usati a rotazione, con il medico subentrante che attende che quello uscente termini le sue visite regolarmente in ritardo, magari con l’intoppo di una di quelle coliche renali di cui sopra.
Il problema vero è che non si fanno le nozze con i fichi secchi. Non si può fare la sanità impegnando le risorse economiche in lottizzazioni, sprechi ed esubero di amministrativi. Se le richieste di accesso al pronto soccorso vanno molto oltre le possibilità dell’ospedale, l’unica risposta possibile è potenziare il pronto soccorso con altri locali, altri medici e altri paramedici.
L’ambulatorio del medico di famiglia non è una risorsa sotto-utilizzata. È un prezioso momento funzionante della sanità pubblica, che anziché essere distrutto va potenziato con iniezioni di risorse economiche al pari dei nostri vicini francesi, tedeschino e inglesi, perché possa godere di personale e locali adeguati alle necessità della sanità di un Paese civile.