M.D. numero 14, 25 aprile 2007

Ricerche
Sindrome dell’intestino irritabile: sintomi e percezione nella popolazione
di Tiziano Brizio - Medico di medicina generale, Specialista in Malattie Apparato Digerente, Ciriè (TO)


Le visite svolte nell’ambito di una campagna rivolta alla popolazione generale sono state lo spunto per valutare in una casistica locale la percezione e la prevalenza dei sintomi della sindrome dell’intestino irritabile. È emerso che il paziente affetto dalla patologia lamentano dolore o gonfiore addominale spesso più ricorrente
che continuo e alterazioni dell’alvo tali da disturbare la qualità di vita


L'intestino irritabile rappresenta una condizione morbosa estremamente diffusa nel mondo occidentale e, sebbene non grave quoad vitam, con un impatto sociale notevole.
Con il termine di “sindrome dell’intestino irritabile” (più corretto di colon irritabile, in quanto pare coinvolto tutto l’intestino e non solo la parte distale) si fa riferimento a una condizione morbosa definita “di malessere addominale, con senso di gonfiore addominale e alterata evacuazione, senza alcun segno fisico, alterazione radiologica o dato di laboratorio che indichi una patologia organica gastrointestinale” (Drossman DA et al. Gastroenterology 2006; 130: 1377-90).
Si stima che nel mondo dal 10% al 20% della popolazione sia affetta da sindrome dell’intestino irritabile, anche se solo una parte richiede un consulto medico (Talley NJ. Intern Med J 2006; 36: 724-8).

Scopo della ricerca


Le visite mediche svolte nel giugno 2006 nell’ambito dell’iniziativa “Mese dell’intestino irritabile”, promossa da Novartis Consumer Health, hanno fornito lo spunto per valutare la percezione della popolazione generale riguardo alla sindrome dell’intestino irritabile, la prevalenza in una casistica locale dei diversi sintomi che caratterizzano la patologia e ultimo, ma non per importanza, la possibilità di individuare durante una campagna di sensibilizzazione patologie più rilevanti non solo quoad valetudinem, ma anche quoad vitam.
I dati relativi alla totalità dei medici che hanno partecipato all’iniziativa saranno disponibili a breve.
Nel frattempo mi è parso interessante divulgare i risultati relativi alle visite che ho effettuato in ambulatorio, in quanto indicativi di una tendenza, che sarà comunque confrontata con i dati complessivi.

Materiali e metodi


Mediante la pubblicazione su riviste di divulgazione sanitaria a larga diffusione si è data la possibilità a chi si ritenesse affetto da “sindrome dell’intestino irritabile” di prenotare gratuitamente una visita gastroenterologica.
Ogni specialista ha dato la disponibilità ad effettuare nel mese un numero massimo di quaranta visite, distribuite nell’arco di cinque mezze giornate, prevedendo per ogni consulto il tempo di mezz’ora.
Durante il consulto, anche mediante l’ausilio di un questionario predisposto all’uopo, si è provveduto al rilevamento di dati attraverso:

  • anamnesi generale riguardante patologie non di pertinenza gastroenterologica;
  • anamnesi familiare atta a evidenziare un’eventuale predisposizione per malattie gastrointestinali;
  • abitudini alimentari (consumo di fibre, introduzione di liquidi, consumo di caffè e altri eccitanti nervini, dieta prevalente, ecc) e stili di vita potenzialmente influenti sulla patologia indagata (vita sedentaria, abitudine a procrastinare la defecazione pur in presenza di uno stimolo adeguato, tabagismo, ecc);
  • esame obiettivo sia generale sia mirato all’apparato digerente (palpazione addominale, esplorazione rettale).
Al termine del consulto seguiva un colloquio volto da un lato a verificare l’esatta percezione delle persone nei confronti della patologia, dall’altro a “restituire” al paziente le conclusioni emerse: diagnosi, attività di counselling con suggerimenti per modificare errate abitudini alimentari e/o stili di vita ed eventualmente terapia farmacologica.

Risultati


Hanno prenotato la visita quaranta persone (la totalità dei posti disponibili); di queste, ventotto si sono presentate all’appuntamento, ma a dimostrazione dell’interesse per l’iniziativa molte delle dodici persone che non hanno effettuato il consulto hanno giustificato la loro assenza con motivi plausibili.
Dei ventotto consulti effettuati solo cinque sono stati richiesti in modo inappropriato, ossia da persone affette da malattie diverse già precedentemente diagnosticate in altra sede (un disturbo del comportamento alimentare in personalità disturbata, un paziente affetto da ulcera peptica duodenale, uno da diverticolosi severa, uno da malattia da reflusso gastroesofageo e un’ultima persona desiderosa solo di approfittare del permesso di assentarsi dal luogo di lavoro).
Negli altri ventitre soggetti è stata effettivamente riscontrata la sindrome dell’intestino irritabile. La tipologia dei soggetti è riportata in tabella 1.

Sintomi

Il sintomo predominante riferito da 6 donne è stato il gonfiore addominale, 3 hanno manifestato la contemporanea presenza di dolore e gonfiore addominale e 10 soprattutto dolore.
Negli uomini, 3 lamentavano dolore e 1 gonfiore addominale. Il sintomo prevalente (dolore o gonfiore addominale) era il più delle volte ricorrente (solo in 5 casi era continuo).
Nella quasi totalità degli individui era presente una situazione ambientale vissuta come psicologicamente “stressante”.
L’intensità del sintomo è stata tale da pregiudicare la qualità della vita e le attività quotidiane:
• molto: in 12 soggetti,
• abbastanza: in 8 soggetti,
• poco: in 3 soggetti.
Un disturbo dell’alvo era presente in tutti i soggetti:
  • stipsi: in 13 casi,
  • diarrea abituale o episodica: 5 casi,
  • alvo alternante: 5 casi.

La maggior parte dei soggetti ha affermato:

  • di avere difficoltà a introdurre un’adeguata quantità di liquidi e fibre,
  • di non riuscire spesso a rispondere allo stimolo alla defecazione per motivi sociali (momento in cui tale stimolo sopravviene e avversione a usare il bagno al di fuori della propria abitazione),
  • di praticare poca attività fisica per mancanza di tempo.
La copresenza di altri sintomi a carico del tratto gastrointestinale era frequente e rappresentata da:
• nausea ricorrente o episodica: 14 casi,
• nausea ricorrente o episodica accompagnata da pirosi: 3 casi,
• aerofagia ed eruttazioni: 5 casi (di questi soggetti 2 hanno riferito anche episodi frequenti di rigurgiti, tali da fare sospettare una possibile sindrome da reflusso gastroesofageo concomitante).
Rilevante invece la familiarità per malattie organiche dell’apparato digerente: 4 pazienti riferivano anamnesi familiare positiva per ulcera peptica duodenale, 5 per neoplasia del tratto gastrointestinale, 2 per poliposi del colon e 3 per colelitiasi sintomatica.
Nella maggior parte dei soggetti l’anamnesi patologica era negativa, tranne che per 3 casi di colelitiasi asintomatica, 1 caso di ulcera duodenale Helicobacter pylori positivo e 2 casi di malattia da reflusso gastroesofageo.
L’esame obiettivo non ha mai messo in evidenza masse addominali sospette, mentre ha invece fatto rilevare una modesta dolenzia alla palpazione profonda con riscontro di corda colica in fossa iliaca sinistra in 5 casi e 1 spasmo sfinteriale all’esplorazione rettale.
Gli esami ematochimici sono risultati normali in quasi tutti gli individui, tranne per 2 donne in cui era presente una lieve anemia, ma in assenza di sangue occulto nelle feci e pertanto verosimilmente legata alle perdite fisiologiche cicliche marziali.
Gli altri esami strumentali effettuati (ecografia addominale in 3 casi, esofagogastroscopia in altri 5 individui, 1 clisma opaco a doppio contrasto in 2 pazienti e 1 radiografia del tubo digerente) non hanno evidenziato patologie organiche di rilievono, ad eccezione del riscontro di colelitiasi (asintomatica) in 3 casi, di 1 caso di ulcera peptica duodenale HP positiva eradicata con successo e 2 casi di ernia jatale con reflusso gastroesofageo.
In 18 casi sui 23 esaminati c’era un chiaro rapporto tra sintomo (dolore o gonfiore addominale) ed evacuazione, nel senso che quest’ultima migliorava la cenestesi.
Scarsa importanza sembrano avere le abitudini voluttuarie: solo tre individui sono fumatori e due hanno dichiaravano un introito alcolico superiore ai 50 g/die, anzi è risultata diffusa la convinzione che anche una moderata assunzione di vino ai pasti possa peggiorare la sintomatologia.
Invece una cattiva abitudine dichiarata - purtroppo conseguenza di convenzioni sociali - è stata quella di non rispondere prontamente allo stimolo alla defecazione: quasi tutti i soggetti hanno lamentato che spesso ciò non è possibile, perché si trovavano in circostanze a loro non favorevoli (al lavoro, in viaggio, ecc).

Discussione


Dall’analisi dei dati rilevati è emersa innanzitutto una chiara immagine (forse una nuova definizione) del paziente affetto da sindrome dell’intestino irritabile: si tratta di un soggetto che lamenta dolore o gonfiore addominale in maniera più spesso ricorrente che continua (cioè che alterna periodi di quiescenza a periodi di relativo benessere) e contemporaneamente alterazioni dell’alvo (soprattutto stipsi, ma talora diarrea o alvo alternato) tali da disturbare in modo rilevante la qualità della vita e quindi l’espletamento delle attività quotidiane.
Si tratta quasi sempre di soggetti con una personalità ansiosa, con una difficile adattabilità alle situazioni stressanti ambientali.
È peraltro ipotizzabile che per indurre il manifestarsi dell’affezione sia necessaria anche una meiopragia, ovvero una predisposizione organica a manifestare tale sindrome: probabilmente un’aumentata pressione endoluminale del grosso intestino, in qualche modo messa in evidenza dalla frequente presenza di corda colica in fossa iliaca sinistra e di uno spasmo sfinteriale, entrambi rilevabili all’esame obiettivo.
Scarso rilievo sembrano invece assumere le abitudini voluttuarie (fumo di sigaretta e consumo di alcol) così come le abitudini alimentari (tranne forse il frequente scarso consumo di fibre).
Ai fini di una possibile terapia sembrano importanti l’aumento dell’introduzione di fibre indigeribili (pane e pasta integrali o sotto forma di integratori alimentari), idratazione, pronta risposta allo stimolo alla defecazione e aumento dell’attività fisica, peraltro spesso poco praticata.
Infine ho constatato come fosse generalmente appropriata la cognizione della sindrome, a documentare quindi l’utilità di tali campagne di sensibilizzazione.
Il mio intento è quello di potere seguire questi pazienti nel corso del tempo per verificare se la campagna abbia permesso di modificare con vantaggio la dimensione soggettiva del problema indagato.