M.D. numero 17, 16 maggio 2007

Contrappunto
Dignità di specializzazione per una medicina non specialistica?
di Antonio Attanasio - Medico di medicina generale, Mandello del Lario (LC)

Accanto agli appelli al riconoscimento della dignità di specializzazione per la medicina di famiglia ci sono segni concreti di un suo ingresso nel mondo accademico. Questa evoluzione solletica le ambizioni professionali di molti colleghi e soprattutto dei docenti universitari, ma potrebbe rappresentare anche una pericolosa concessione al dominio del paradosso e dell’assurdo

L
e specializzazioni sono sorte in risposta all’impossibilità di esercitare adeguatamente “tutta” la professione medica, a causa del suo enorme sviluppo, e quindi alla necessità di circoscrivere l’esercizio professionale a un settore limitato. La sopravvivenza di una medicina generale era inevitabile nei primi tempi, quando le specializzazioni ancora non coprivano tutti i settori della scienza e della professione medica, e può essere giustificata anche oggi che questa copertura è stata realizzata, se serve a garantire un servizio medico in condizioni logistiche nelle quali l’accesso alla medicina specialistica è inattuabile (navi, comunità geograficamente disagiate). Sostenere però la necessità di conservare una medicina generale, pur anche con nomi di fantasia come “medicina di famiglia” o simili, come “perno” o “porta di ingresso” dell’assistenza sanitaria è anacronistico. Peggio ancora quindi è farne una specializzazione. Specializzazione in che cosa? Nel non essere specialisti? Ma allora la laurea in medicina a che cosa serve? Tanto varrebbe declassarla a baccellierato privo di qualsiasi significato professionale, inteso solo come titolo di accesso alle specializzazioni. Sì, ma allora, siamo sicuri che vi sia la necessità di una specializzazione nella medicina non specialistica? Quale sarebbero l’ambito e il ruolo di questa ossimorica specializzazione?
Non la famiglia, dato che non si è mai sentito di “famiglie” che si presentino tutte insieme e tutte unite dal medico per farsi curare qualche malattia specifica del nucleo famigliare. E nemmeno il singolo individuo che attribuisca alla famiglia i suoi problemi di salute, anche perché in questo caso gli specialisti esistono già e sono, a seconda dei casi, lo psichiatra, il genetista, o l’infettivologo.
Potrebbe essere il paziente di cultura e intelligenza inferiore alla media, disadattato, disorientato, che non sa a quale specialista rivolgersi. Sì, ma quanti ce ne sono? E quanti ce ne saranno negli anni a venire? Servono veramente 40 mila medici per accudire queste persone? D’altra parte quarantamila è più o meno il numero degli attuali Mmg, o di famiglia che dir si voglia, e che o mandiamo in pensione o trasformiamo in specialisti della non specializzazione. O forse i colleghi che si battono per la specializzazione in medicina di famiglia sperano e vogliono che a essere insigniti del diploma possano essere solo loro e i loro amici?

Oltre la titolarità


Le contraddizioni di questa vacua ricerca di titoli assurdi si risolverebbero tutte se accettassimo una diversa e più umanistica visione della medicina: il medico è prima di tutto medico e poi specialista, e quindi al paziente che gli si rivolge per un problema specialistico è tenuto a dare risposte, diagnostiche e terapeutiche, che tengano conto di tutte le implicazioni che quel problema ha sull’organismo del paziente. Il dermatologo a cui un paziente si rivolge per l’acne non può scribacchiare quattro frasi su un foglietto e dire: “Vada dal suo medico”. Il suo medico in quel momento è lui, il dermatologo, ed è lui che deve prescrivere eventuali esami dopo essersi accertato quali altri esami il paziente abbia eventualmente fatto negli ultimi uno-due anni; è lui che deve prescrivere eventuali terapie dopo essersi accertato di quali altre terapie il paziente sta facendo o ha fatto recentemente, e di quali eventuali reazioni avverse ha avuto da altre terapie; ed è lui che deve spiegare al paziente in parole comprensibili quali sono le ipotesi sulle cause del suo problema, quali sono le modalità di assunzione dei farmaci prescritti, quali sono i costi degli accertamenti e delle terapie nelle varie opzioni assicurative private e pubbliche possibili, e quali sono le precauzioni da osservare per quanto riguarda il regime di vita o altro. Certo che, finché uno stuolo di impiegati para-dipendenti continuerà a voler conservare un posto di lavoro comodo e sicuro facendo la minor fatica possibile, continueranno a esistere regole insulse delle quali continueranno ad approfittare specialisti incapaci di fare i medici. E così continueranno a esistere foglietti scribacchiati in fretta da specialisti muti o taciturni, per la cui interpretazione (oltre che trascrizione) i pazienti continueranno a dipendere da medici curanti altrimenti inutili e questi continueranno a sentirsi importanti. Con mille ringraziamenti alla legge, naturalmente, perché se non ci fosse la legge a prescrivere la presenza del Mmg e ci fosse invece solo il libero mercato, i medici di famiglia sparirebbero, e con loro quei tre quarti di specialisti che non sanno fare i medici. Quale evoluzione dunque per i medici di famiglia? Trovarsi una specializzazione (una vera, non quella in “medicina di famiglia”), ed esercitarla con la professionalità e la coscienza che tanti specialisti non hanno.