M.D. numero 18, 23 maggio 2007

Clinica
Criticità nella gestione di ansia e depressione
di Ferdinando Pellegrino - Psichiatra, Direttore UO Salute Mentale ASL SA1, Costa d’Amalfi

Nella molteplicità delle loro manifestazioni cliniche ansia e depressione rappresentano i disturbi psichici di più frequente riscontro in medicina generale. La diagnosi è essenzialmente clinica e risulta accurata se il rapporto medico-paziente è basato su presupposti empatici. L’integrazione degli strumenti terapeutici farmacologici
e psicoterapici disponibili consentono una gestione più appropriata del disturbo


I disturbi psichici rappresentano un problema di notevole rilevanza e di non facile gestione. A titolo di esempio nell’esperienza dell’UO Salute Mentale ASL SA1 su 33.000 abitanti, rappresentativi dei 12 Comuni della Costiera Amalfitana, si registra un numero complessivo di 910 utenti per anno, pari al 2.8% della popolazione, di cui l’11% risulta affetto da patologie affettive di particolare gravità clinica.
Analizzando gli stessi dati relativamente agli ultimi dieci anni la percentuale di utenti risulta pari al 15% circa della popolazione generale, percentuali sovrapponibili a dati a valenza nazionale. Si comprende così perché il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 abbia voluto riservare un ampio spazio ai problemi della salute mentale, sottolineando in modo specifico l’importanza dei disturbi dell’umore e del comportamento alimentare.
È tuttavia comprensibile come questi numeri, espressivi di livelli di gravità clinica rilevanti, siano ancora maggiori allorquando definiti nell’ambito della medicina generale, dove si osservano quadri clinici sottosoglia od oligosintomatici più di frequente che in sede specialistica.
In particolare l’ansia e la depressione, nella molteplicità delle loro manifestazioni cliniche, rappresentano i disturbi psichici di più frequente riscontro in medicina generale e la disabilità ad essi connessa contribuisce in modo significativo alla riduzione della qualità della vita nei soggetti che ne risultano affetti, con gravi ripercussioni familiari, lavorative e sociali.
I motivi di una così vasta sofferenza psichica non sono facili da comprendere: fattori genetici, psicologici individuali, culturali, familiari, sociali e lavorativi alimentano spesso il disagio psicologico fino a rendere l’individuo più vulnerabile allo sviluppo di patologie psichiatriche.
Molto spesso è il soggetto stesso, con le proprie ambizioni e scelte, a determinare i presupposti per lo sviluppo di quadri ansioso-depressivi, così come avviene per esempio per le patologie cardiovascolari, in forte relazione a stili di vita disfunzionali (tabagismo, vita sedentaria, ecc). Accade infatti che l’individuo sia più fragile, meno determinato, meno capace di utilizzare in modo ottimale i naturali meccanismi di difesa, fino ad adottare scelte di vita che alimentano il disagio psichico.

Percorso diagnostico


Dal punto di vista nosografico il DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) dell’American Psychiatric Association, ha portato a un profondo cambiamento nell’approccio al paziente psichiatrico, puntando all’utilizzo di un linguaggio comune in ambito specialistico e consentendo un approccio clinico multiassiale, grazie al quale è possibile ottenere sufficienti informazioni ai fini diagnostici e terapeutici.
Una prima traccia del percorso diagnostico da realizzare parte indubbiamente dall’identificazione del sintomo o dei sintomi chiave immediatamente espressi dal paziente: ansia, depressione del tono dell’umore, insonnia, perdita degli interessi per la cura di sé e per l’ambiente circostante, difficoltà alla concentrazione, preoccupazioni per il futuro, timore di avere una “brutta malattia” o ricorso al medico per somatizzazioni. Su tale base si costruisce la diagnosi, andando a individuare il periodo di insorgenza del disagio, il contesto in cui si è manifestato, avendo cura di escludere l’eventuale presenza di patologie organiche che possano giustificare il quadro clinico.
Identificati i sintomi chiave occorre valutare il loro impatto sull’economia psichica del paziente, quanto cioè riducono la funzionalità globale del soggetto (significatività clinica), cioè quanto i sintomi presentati dal paziente incidono sulla sua vita e quanto risultano invalidanti.
Questo parametro risulta particolarmente utile sia per completare l’iter diagnostico sia per valutare la necessità di iniziare sin da subito un trattamento oppure concordare ulteriori controlli clinici e decidere di intervenire in un secondo momento.
Una particolare attenzione deve essere tuttavia rivolta ad alcune modalità espressive del disagio psichico nell’uomo e nella donna: quest’ultima cerca maggiormente aiuto, riesce a meglio esprimere i contenuti del disagio, a esternare l’angoscia depressiva e a verbalizzare la propria ansia e depressione.
Nell’uomo invece ciò è più difficile, ha maggiori difficoltà a riconoscere la propria sofferenza e ricorre con minore frequenza alle cure mediche. Il suo disagio spesso viene espresso in modo mascherato, tende ad assumere più facilmente comportamenti disfunzionali, come l’essere irritabile in famiglia o sul lavoro, fumare di più o abusare di alcolici. Assume spesso comportamenti regressivi (non esce di casa, si disimpegna dalle responsabilità quotidiane, tralascia gli impegni assunti, ecc) o si rivolge al suo medico di famiglia con un’insolita frequenza lamentando sintomi a prevalente espressività somatica, nel timore di essere affetto da una qualche patologia organica.
La diagnosi di quadri ansioso-depressivi è quindi essenzialmente clinica e, indipendentemente da qualsiasi classificazione, essa risulta puntuale laddove il rapporto medico-paziente si basa su presupposti empatici, che siano in grado di favorire l’espressività e la comprensione della sofferenza psichica, sempre difficile da ammettere.

Percorso terapeutico


Dal punto di vista terapeutico gli strumenti disponibili sono di tipo farmacologico e psicoterapeutico e l’orientamento attuale è quello di utilizzarli in modo integrato, ponendo al centro dell’intervento il paziente con la sua personalità e la sua storia individuale, familiare e sociale.
Più che ragionare in termini di trattamento farmacologico o psicoterapeutico il clinico dovrebbe chiedersi cosa è opportuno fare e suggerire al singolo paziente con cui si relaziona.
In questo modo può integrare interventi diversi, modulandoli in rapporto al quadro clinico e ai tempi del paziente. Può essere opportuno iniziare con una psicoterapia, o anche con un farmaco, ma in altri casi è più opportuno iniziare con entrambi i trattamenti. L’uno può proseguire e l’altro essere sospeso e magari ripreso in un secondo momento.
Tale approccio (medicina patient centred) valorizza la professionalità del clinico che mette a disposizione del paziente presidi farmacologici e non farmacologici rispondendo in modo appropriato (appropriatezza terapeutica) a specifiche situazioni cliniche (effectiveness) e non a paradigmi ideali.
Gli antidepressivi, come gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina o SSRI (per esempio la paroxetina), rappresentano i farmaci più utilizzati in tutti i disturbi dello spettro ansioso-depressivo clinicamente significativi; essi sono costituiti da molecole denominate genericamente antidepressive, ma il termine è legato alla determinazione storica, dato che il loro impiego trascende ampiamente l’ambito della depressione, trovando infatti indicazione nel disturbo ossessivo-compulsivo, di panico, di ansia generalizzata, di ansia sociale e fobie sociale o nel disturbo post-traumatico da stress (tabella 1).
L’evidenza scientifica e l’esperienza hanno infatti validato nel corso degli ultimi anni l’uso transnosografico degli antidepressivi, tanto da modificare la prassi prescrittiva degli psichiatri che riconoscono oggi l’efficacia degli antidepressivi anche nei principali disturbi dell’ansia, fino a considerarli di prima scelta in questi disturbi.
Tale prassi ben si concilia con alcuni dati che dimostrano come esisterebbe in pratica una disregolazione neuroendocrina comune alla base sia dell’ansia sia della depressione con medesime conseguenti modificazioni della neurotrasmissione.
Occorre tuttavia specificare che le indicazioni autorizzate in Italia risultano, nell’ambito degli antidepressivi, pur appartenenti alla stessa classe, variabili. Occorre pertanto conoscere e rispettare le indicazioni per le quali la singola molecola è stata autorizzata in Italia, onde evitare prescrizioni off-label.
Rispetto alle benzodiazepine, in grado di alleviare la sintomatologia in tempi rapidi, gli antidepressivi hanno un periodo di latenza di almeno due settimane e vanno utilizzati per almeno 8-12 mesi, sia per ottenere una completa remissione del quadro clinico sia per evitare recidive o ricadute.
In linea generale, è preferibile adottare schemi terapeutici molto semplici e in ogni caso è da evitare l’associazione di più molecole appartenenti alla stessa classe, per esempio due benzodiazepine o due antidepressivi, prassi questa non appropriata e non supportata da evidenze scientifiche.
Per i disturbi dello spettro ansioso-depressivo può essere utilizzato il solo antidepressivo, a dosi terapeutiche, riservando l’utilizzo delle benzodiazepine nei casi in cui vi è una marcata componente ansiosa, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento, considerando che gli antidepressivi possono, proprio in tale fase, determinare un aumento - anche si di breve durata - della sintomatologia ansiosa. La benzodiazepina può quindi essere sospesa nel giro di 2-3 settimane e il suo uso può essere considerato in caso di riacutizzazione dei sintomi ansiosi.
Particolare importanza riveste il monitoraggio clinico dei farmaci. Nella pratica clinica, infatti, una volta impostata la terapia, al fine di rendere il più sicuro possibile l’impiego dei farmaci, è necessario monitorare attentamente la risposta clinica e l’eventuale comparsa di eventi indesiderati.
Ciò anche in ragione del fatto che il paziente ha spesso più patologie e quindi necessita di più trattamenti (politerapia); la prescrizione di un qualsiasi farmaco diventa quindi generalmente più difficile, il rischio di inappropriatezza prescrittiva risulta maggiore e aumentano anche le ADR (Adverse Drug Reactions).
Un problema rilevante della pratica clinica è la sospensione precoce del trattamento, nonostante vi siano evidenze scientifiche che sottolineano l’importanza di protrarre il trattamento per un tempo sufficientemente lungo: per tali motivi è importante informare in modo dettagliato il paziente sulla natura dei sintomi e ad assumere con regolarità la terapia, nelle modalità consigliate.
Per alcuni pazienti il trattamento deve essere protratto nel tempo, ciò in ragione della presenza di quadri clinici pervasivi e persistenti, difficili da trattare e tendenzialmente cronici. Non vi è ragione di avere il timore di prescrivere una terapia antidepressiva per tempi lunghi, ciò che conta è il monitoraggio del percorso terapeutico che consente nel tempo di valutare l’opportunità e le modalità di somministrazione del farmaco.
Allo stesso modo la sospensione graduale del farmaco, quando le condizioni lo consentono, avviene senza problemi se concordata e monitorata dal medico.
Per quanto riguarda l’intervento psicoterapeutico, è bene sollecitarlo quando le caratteristiche di personalità lo consentono (e la valutazione può essere fatta in ambito specialistico) o quando le problematiche cliniche appaiono nel contesto di uno stile di vita disfunzionale.
Le attuali tecniche psicoterapeutiche dispongono di trattamenti brevi ed efficaci e risultano particolarmente vantaggiose anche per rafforzare l’Io e i suoi meccanismi di difesa.
In ogni caso l’integrazione degli strumenti terapeutici, sia farmacologici sia non farmacologici come la psicoterapia, consentono una gestione più appropriata del disturbo; il coinvolgimento dei familiari, laddove possibile, attraverso supporti psicoterapeutici o psicoeducazionali, consente al clinico di ampliare la rete di sostegno per una migliore gestione delle tante variabili che caratterizzano il percorso clinico della depressione e dell’ansia.

Invio allo psichiatra


Esistono molte esperienze in Italia in merito alla collaborazione tra lo psichiatra e il medico di medicina generale, il cui obiettivo è quello di favorire una migliore efficacia degli interventi. Molti pazienti non amano ricorrere allo psichiatra e in effetti, come sostiene l’Organizzazione Mondale della Sanità, l’ansia e la depressione possono essere gestite dal medico di medicina generale, al pari di altre patologie.
Tuttavia esistono condizioni che richiedono, senza dubbio, l’intervento specialistico:

  • presenza di sintomi psicotici (allucinazioni, deliri);
  • alternanza di fasi maniacali/depressive;
  • quadri depressivi o ansiosi gravi;
  • presenza di rischio suicidario;
  • reazione emotiva a un grave evento/malattia;
  • inadeguato supporto familiare/sociale;
  • presenza di disturbi di personalità;
  • mancata risposta a un primo di ciclo di terapia;
  • gravidanza/quadri depressivi/ansiosi post-partum/allattamento.
La presenza di sintomi psicotici richiede un intervento più articolato e complesso, compresa l’associazione di farmaci, come i neurolettici, che necessitano di particolare monitoraggio e in molti casi di un piano terapeutico redatto da centri di salute mentale del Ssn.
Altrettanto complessa è la gestione del disturbo bipolare in cui si alternano episodi maniacali e depressivi; essi richiedono l’uso combinato degli stabilizzanti del tono dell’umore, come il litio, e un particolare e continuo monitoraggio. Anche la semplice ricorrenza e persistenza di episodi depressivi deve essere valutata in sede specialistica, in quanto il trattamento mira non solo alla gestione e risoluzione del quadro clinico, bensì anche alla profilassi e alla stabilizzazione del tono dell’umore.
La valutazione del rischio suicidario non è facile da attuarsi, tuttavia in presenza di soggetti con pregressi tentativi di suicidio, di familiarità al suicidio o di franca ideazione suicidiaria è consigliato l’invio allo psichiatra.
Per prevenire il suicidio alcune condizioni (gravità clinica, mancanza di supporto familiare, non compliance al trattamento) possono rendere necessario e indifferibile il ricorso al TSO (trattamento sanitario obbligatorio).
Altrettanto opportuno è l’invio allo specialista di quadri clinici acuti secondari a eventi di elevato impatto emozionale (perdita di una persona cara, incidenti), al parto (più in generale al periodo della gravidanza, incluso il post-partum) o che insorgono in soggetti con disturbi di personalità o che tendono ad abusare di medicamenti o sostanze d’abuso (alcol, droghe).
Indubbiamente l’avvio di percorsi di concreta collaborazione tra i Centri di salute mentale e la medicina generale potrà garantire una migliore gestione dell’ampio spettro dei disturbi psichici.

Consenso informato


Come in qualsiasi ambito della medicina anche il trattamento dei disturbi dello spettro ansioso-depressivo necessita di una informazione completa rispetto alle indicazioni al trattamento, ai limiti, agli effetti collaterali più frequenti e rilevanti.
Presupposto di ogni intervento in medicina è la precisa e chiara informazione al paziente sulla natura della malattia con l’acquisizione del consenso informato che, lungi dall’essere una semplice formalità, rappresenta il nucleo centrale del rapporto medico-paziente e uno strumento di grande efficacia rispetto all’autonomia decisionale del paziente, confermando tuttavia la piena responsabilità del medico nella valutazione di tutte le caratteristiche della comunicazione (tempi, modi, contenuti) delle informazioni.
Il consenso informato non è uno sterile atto burocratico che si concretizza nella richiesta di una firma sulla cartella clinica, bensì l’espressione di una comunicazione efficace nel contesto di un rapporto di fiducia che presenta variabili importanti e vitali in tutte le diverse situazioni in cui si concretizza l’operato professionale.
Nel caso specifico in cui si inizia un trattamento con antidepressivi o benzodiazepine, il paziente va informato (e quindi acquisito il consenso) rispetto all’opportunità di astenersi dall’uso di bevande alcoliche, dalla guida, soprattutto nelle prime fasi di trattamento o di astenersi dal lavoro, soprattutto se questo comporta compiti delicati e che richiedono particolare attenzione (guidare un’auto, gestire macchinari in un’industria, ecc), ovvero tutte quelle situazioni che possono risultare rischiose per il paziente e per gi altri.
Va considerato tuttavia che l’insorgenza di un effetto collaterale nei soggetti affetti da ansia e depressione, pur apparentemente banale come può essere la sonnolenza può amplificare e aggravare una condizione clinica già di per se stessa critica, in quanto questi pazienti possono presentare un complessivo rallentamento ideo-motorio o uno stato di attivazione che ne compromettono lo stato di vigilanza e attenzione.
Per le donne in età fertile occorre richiedere uno specifico consenso, avendo cura, prima di iniziare il trattamento, di accertarsi che non vi sia una gravidanza in atto.
Occorre in ogni caso essere a conoscenza di tutti i farmaci assunti dal paziente, al fine di specificare le possibili interazioni tra le diverse molecole e prevenire reazioni avverse (ADR).