M.D. numero 18, 23 maggio 2007

Riflessioni
La medicina difensiva avanza
di Marcello Pugliese - Medico di medicina generale, Donnici Inferiore (CS)

La paura di contenziosi giudiziari spinge sempre più medici e operatori sanitari a un’iperprescrizione o, al contrario, a prescrizioni ridotte all’osso con conseguenze negative sia in rapporto ai costi dell’assistenza sanitaria sia alla qualità

N
egli ultimi 10 anni le denunce di malpractice sono aumentate del 184%, attestandosi a 150 mila all’anno. Un fenomeno che, secondo recenti stime, ha costi elevati: pari all’1% del Pil, 10 miliardi di euro l’anno. Lo ricordano i responsabili dell’Amami (Associazione medici accusati di malpractice ingiustamente) che dal 38° Congresso dell’Otodi (Ortopedici e traumatologi ospedalieri d’Italia) hanno lanciato l’allarme contro “la sindrome americana che spinge a far causa ai camici bianchi per presunte lesioni legate alle prestazioni sanitarie”.
La professione medica è assimilata, contro ogni evidenza, alle scienze “esatte in assoluto”, gli eventi avversi non prevedibili si fanno risalire non al caso o alla fallibilità umana, scusabile e per lo più non imputabile nelle altre attività, ma alla cattiva volontà del medico: il medico diventa quindi responsabile di tutte le conseguenze negative dell’atto compiuto e l’esito negativo dell’atto è il segno della colpa, penalmente imputabile.
Soprattutto i chirurghi sono denunciati o subiscono richieste di risarcimento con estrema superficialità, mentre 2 su 3, dopo un lungo calvario giudiziario, saranno poi riconosciuti innocenti.
Al riguardo molto risalto ha avuto la notizia, rivelatasi poi una “bufala”, che negli ospedali italiani morirebbero in media 90 persone al giorno per errori dei medici. I media si sono buttati a capofitto nella vicenda.
Le conseguenze immediate di tale notizia, come hanno denunciato i medici, è che molti pazienti hanno disdetto interventi chirurgici, hanno rifiutato ricoveri, hanno rifiutato di praticare terapie già programmate o di sottoporsi a esami diagnostici.

La gogna mediatica


Il problema, comunque, apparentemente sembrerebbe riguardare in maggior modo le strutture ospedaliere pubbliche e private e i professionisti che in esse operano. Ma la realtà è molto più complessa e la gogna mediatica non è solo esclusiva dei medici ospedalieri, ma anche dei medici di medicina di generale. Questi sono stati spesso protagonisti delle cronache per inappropriatezza prescrittiva o per prescrivere con una certa frequenza sospetta, a parità di principio attivo, un farmaco di una tale azienda farmaceutica piuttosto che di un’altra.
Di fronte a tale situazione ci si meraviglia della crescita della cosiddetta medicina difensiva, che si connota per scelte medico-chirurgiche ispirate non già alla prestazione migliore in base alle necessità del paziente bensì per quelle che possono ridurre il contenzioso giudiziario; in altre parole quella medicina che attua scelte non solo dettate dall’interesse primario del paziente, ma anche dall’obiettivo del medico di prevenire denunce giudiziarie.

L’allarme


A rilanciare l’allarme sul dilagare della cosiddetta medicina difensiva è stato un rapporto pubblicato su Lancet (2006; 368: 240-6) e relativo a Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti in cui si evidenzia il moltiplicarsi delle denunce contro i camici bianchi, con un boom di richieste di risarcimento per presunti errori in ambulatorio o in corsia.
Si tratta comunque di una conseguenza probabilmente irreversibile alimentata anche dagli sconcertanti fenomeni di malainformazione.
E così, ormai, tallonati da schiere di avvocati e terrorizzati, giustamente, dalle devastanti conseguenze civili, penali o amministrative di un’azione legale intentata per colpa, i colleghi ospedalieri non riescono più a non effettuare una TAC o una RMN in pazienti che hanno subito un trauma anche banale, oppure a evitare un parto cesareo in donne a basso rischio, ma con parentato agguerrito, al solo fine di evitare qualsiasi futura contestazione.
Anche il medico di medicina generale risente di questo clima. È in perenne allarme per possibili contestazioni che potrebbero essergli mosse dalla Asl o dalla Guardia di Finanza per prescrizioni di farmaci o di ricoveri inappropriati o dall’autorità giudiziaria per certificazioni di vario genere. Inoltre il medico di famiglia è ben conscio che non è difficile per un assistito, sicuro di aver subito un sorpruso, citarlo in giudizio. Oltre a studi legali specializzati in questo campo, non bisogna dimenticare che nella società civile sono sorti movimenti per la tutela del malato che si occupano proprio di violazioni di diritti veri o presunti, mettendo a disposizione degli iscritti i propri legali. L’esito di un procedimento civile o penale è imprevedibile e visti i tempi della nostra giustizia, il medico sarà costretto a un lungo periodo di sospetto che inciderà negativamente nella sua vita e nel rapporto con i pazienti.
I Mmg quotidianamente quindi sono costretti a subordinare il loro modus operandi non più solo a “scienza e coscienza”, a linee guida e protocolli diagnostico terapeutici, ma anche ai timori suscitati dalle conseguenze di una eventuale azione giudiziaria. Ed è così che si comincia a valutare il male minore e prende piede la convinzione che è meglio essere chiamati a giustificarsi su una prescrizione davanti a un funzionario Asl piuttosto che farlo davanti a un magistrato.
Il timore che un paziente in trattamento cronico con ASA o FANS possa andare incontro a una emorragia gastrointestinale e che questa inneschi poi denunce o richieste di risarcimento danni spinge ormai moltissimi medici di medicina generale a prescrivere inibitori di pompa protonica anche in pazienti a rischio basso o nullo. Lo stesso si può dire per le prescrizioni di statine in pazienti che risultano avere, secondo le carte di calcolo del rischio cardiovascolare, una probabilità molto bassa di eventi.
Ma paradossalmente nella medicina difensiva si verifica anche l’esatto opposto. Per paura di incorrere in imprevedibili effetti collaterali e, quindi, in probabili cause risarcitorie oppure per evitare contestazioni da parte della Asl, molti medici di famiglia tendono ormai a ipoprescrivere farmaci importanti quali per l’appunto statine, inibitori di pompa protonica, antibiotici, antitrombotici, ecc. L’elenco è lungo e coinvolge anche le prescrizioni di esami e accertamenti diagnostici in cui primeggia la paura che una patologia silente o iniziale, ma difficile da diagnosticare con le comuni indagini, possa manifestarsi in modo imprevedibile e con conseguenze importanti per il paziente.

Le richieste degli assistiti


A tutto ciò bisogna aggiungere le richieste continue degli assistiti che sfruttano a dovere questo clima da gogna mediatica, senza dimenticare l’arma della ricusazione, e spingono irreversibilmente il Mmg a trascrivere o a prescrivere tutta una serie di esami strumentali e di visite specialistiche, spesso non necessarie, ma che metteranno al sicuro il Mmg da future contestazioni. Intanto i costi per il Servizio sanitario aumentano e di sicuro la qualità delle prestazioni è messa in discussione.
Da parte nostra dobbiamo comunque riconoscere che l’evento “errore medico” è stato sino a ora affrontato dai medici e dalle strutture sanitarie ordinistiche e sindacali in modo incongruo e che pertanto è necessario un rapido e deciso cambiamento attraverso un diffuso acculturamento dei medici nell’ambito della comunicazione, un coinvolgimento dei media e dei cittadini nell’inquadramento del problema, una sensibilizzazione di strutture e operatori nell’apprestamento di tutti i rimedi atti a prevenire l’errore.
Anche se difficile a realizzarsi, serve una inversione di tendenza: questo clima persecutorio verso i medici altera profondamente il rapporto di fiducia tra ammalato, medico e strutture sanitarie, nonostante quelle italiane, come dimostrato dai fatti, viaggino su livelli di eccellenza.
Ed inoltre, conseguenza ancor meno trascurabile, specie nell’attuale clima di ristrettezze di bilancio, è l’aumento incontrollabile dei costi legato all’incremento delle prescrizioni e delle prestazioni.
Ventilare però inesistenti stragi quotidiane a opera dei medici è come buttare benzina sul fuoco: non giova a nessuno e rischia di provocare incendi dalle conseguenze inimmaginabili.