M.D. numero 20, 6 giugno 2007

Appunti
Ispiriamoci ai valori etici della medicina

Ringrazio i colleghi Cappelletti (M.D. 2007; 13:16) e Personeni (15:12) che si sono interessati al mio articolo: “La medicina di famiglia è moribonda” (M.D. 2007; 9:16) e con piacere constato che non vi trovo motivi così seri di dissenso tra i nostri scritti.
Io affermo che la medicina generale e chi la pratica hanno ancora un ruolo fondamentale nella società e davanti hanno una lunga vita.
Partendo da questa affermazione avanzo alcune osservazioni con finalità costruttive perché ritengo il ruolo di questa disciplina e di chi la esercita insostituibile. L’autocritica non dev’essere intesa come una sorta di processo punitivo, ma semplicemente come la consapevolezza che anche il proprio lavoro può essere soggetto a revisione e se lo fa colui che lo esercita eventuali errori possono essere corretti più facilmente. L’autocritica è un salutare momento di riflessione sui nostri comportamenti, sempre migliorabili.
Sono convinto che ancora oggi la vocazione, la passione e lo spirito di servizio costituiscano la base della nostra professione, il segno distintivo che non accetta confronti con altre attività.
Si tratta di valori non quantificabili in ore di ambulatorio e in termini economici perché rientrano nello spirito di chi ha fatto una scelta del genere.
Ciò non vuol dire che la beneficiaria di questa attività, cioè la società civile e le istituzioni che la governano, debbano essere ingrate o non debbano compensare moralmente ed economicamente coloro che lavorano per il benessere dei più. Tanto meno ci si dovrebbe accanire, come sta succedendo in questo periodo, a svalutare e demonizzare la medicina generale e con essa i medici di famiglia.
Un tempo quando davanti ad uno sportello c’era un medico a fare la fila, gli altri gli cedevano il posto. Un tempo raramente la polizia stradale elevava contravvenzione ad un medico in servizio e spesso se si trovava in difficoltà nel traffico collaborava per spianargli la strada. Oggi neanche a parlarne, l’indifferenza si erge come un muro insormontabile. In fondo non si trattava di grandi privilegi, ma di piccole attenzioni che facevano piacere e in qualche modo davano significatività al nostro ruolo sociale.
Eppure, a dimostrazione che le mie non sono utopie, in alcuni Paesi queste attenzioni esistono ancora, per esempio in Marocco, come posso testimoniare personalmente.
Il medico oggi si dibatte tra l’amore per la professione, il desiderio di svolgerla ben appunto con passione e spirito di servizio e il muro che si trova davanti, la pretesa degli assistiti del “tutto e subito, bene e gratis“ non fa che aggravare una situazione già deteriorata.
Tutto questo è vero, come sottolinea il collega Cappelletti, tremendamente vero. Ma è altrettanto vero che alcuni medici ce la mettono tutta, sembra, per inasprire questa già dura realtà.
Come dar torto al collega quando afferma che le ore in più in ambulatorio non vengono prese in considerazione né dagli assistiti né dai dirigenti Asl. Il problema però per me è un altro. L’ambulatorio dovrebbe essere un punto di riferimento per tutti, non un ufficio qualsiasi dove si marca il cartellino a ore stabilite.
La mia visione non trova certo accoglienza negli amministratori e nei divoratori di pannoloni, ma rappresenta l’essenza della professione medica.
L’assistito, corretto e genuino, che non riesce a conciliare i tempi di apertura con i suoi impegni di lavoro ne viene penalizzato e non riuscirà mai a parlare col suo medico. E questo è un danno perché disattende un aspetto fondamentale del rapporto medico-paziente, cioè il colloquio. Possibile che non si trovi una soluzione? Se ne avvantaggerebbero proprio quei rapporti in questo periodo tanto deteriorati.
Al collega Personeni vorrei precisare che la mia indagine critica, come la chiama, non è rivolta solo alla nostra categoria. Sul banco degli imputati non ci sono i medici, ma coloro che impediscono ai medici di famiglia di lavorare correttamente. Ai colleghi mi rivolgevo per invitarli a sforzarsi di sganciarsi dalle perverse logiche del sistema attuale che minaccia di strangolare l’arte medica. Ossia la base su cui poggia non solo la salute, ma il benessere della società. Di non dimenticare che nonostante campagne denigratorie che tentano di minarne la credibilità, la medicina si colloca a fianco all’uomo e ai suoi bisogni.
Devono essere i medici per primi con i loro comportamenti a respingere queste campagne distruttive, dimostrare che la professione è ispirata ai principi di solidarietà e umanità. Solo così si può migliorare la mentalità della persone.
In merito a quanto da me affermato sull’utilizzo del personal computer, dico semplicemente che non giova diventarne succube quando c’è l’intelligenza. Avere il paziente davanti e rimanere incollato al monitor senza neanche degnarlo di uno sguardo non mi sembra un buon approccio.
In conclusione, credo che la medicina generale risolverà gran parte dei problemi se rimarrà ancorata ai valori che l’hanno sostenuta nei secoli, ai canoni deontologici ed etici validi ai tempi di Ippocrate come ai nostri.
Il medico riacquisterà fiducia in se stesso se crederà nei valori profondi che la medicina porta con sé. Si tratta di una funzione insostituibile e chi la esercita merita rispetto e considerazione. “La medicina di famiglia è moribonda?” Rispondo, non è moribonda. Ma a crederci per primi devono essere i medici.

Francesco G. Romeo,
Medico di medicina generale,
Firenze