M.D. numero 20, 6 giugno 2007

Editoriale
Tra federalismo e voglia di centralismo


Il ministero della Salute scommette sul futuro per dare un nuovo volto al Ssn e, dopo un Forum nazionale nel quale il ministro Livia Turco ha annunciato l’arrivo del Ddl in cui presenterà la sua (quarta) riforma del sistema, ha lanciato anche il primo corso di formazione ECM online rivolto a medici e infermieri italiani. Un corso “di lotta e di governo”, lasciateci ironizzare, realizzato in collaborazione con la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) e con la Federazione Nazionale Collegi Infermieri (Ipasvi), per garantire qualità e ridurre gli errori in modo uniforme in tutto il Paese.
Tutti i medici e gli infermieri italiani potranno, così, nelle intenzioni del dicastero, garantirsi 20 crediti, quasi la metà della quota annuale obbligatoria, e assicurarsi un livello omogeneo di competenze in tutto il territorio nazionale sulla sicurezza delle cure e la gestione del rischio clinico a tutti gli operatori sanitari, ospedale e territorio, indipendentemente dal ruolo e dall’ambito professionale.
Un’iniziativa importante per la quale, su uno dei temi più sensibili per il Ssn oggi, cioè la sicurezza, si tenta di riprodurre un fronte unico di approccio, da Gorizia a Lampedusa. Tentativo legittimo quanto a rischio di imbarazzante fallimento, considerato che le Regioni, ossia le macro-istituzioni responsabili nei fatti della declinazione dei servizi sul territorio, procedono a due velocità nel cammino del federalismo e che, per diretta ammissione del coordinatore degli assessori regionali alla sanità Enrico Rossi, bisogna iniziare una discussione franca e democratica nel Paese su questo punto. Non è possibile infatti, come ammesso anche da Natale Mengozzi, presidente nazionale di Federsanità Anci in una recente iniziativa, che ci siano Regioni al terzo, quarto Piano sanitario, che vanno in avanzamento e perfezionamento continuo e Regioni che invece da 15 anni non riescano a vararne neppure uno. E vanno avanti a delibere.
La Calabria, per esempio, decide con emendamenti il modello regionale e di quante aziende sanitarie ha bisogno,senza tenere conto delle esigenze reali del territorio. Insomma, da Roma alle autonomie, quella che sembra prevalere è una insopprimibile ‘voglia di centro’, con la richiesta che origina da ogni parte, ma maggiormente proprio dai territori, di fissare in modo omogeneo alcuni riferimenti per tutto il perimetro nazionale. Il rischio, per altro, è che alle lunghe il divario aumenti sempre di più anche perché i 20 sistemi sanitari regionali differenti impediscono una seria valutazione dei risultati.
Basteranno, ci chiediamo, gli interventi virtuali sui professionisti, notoriamente la base del sistema, per ricondurre il sistema a ragionevole unità?