M.D. numero 21, 13 giugno 2007

Riflettori
Ricerca in medicina di famiglia: una possibilità che non diventa realtà
di Gianluca Bruttomesso

Nel nostro Paese la sperimentazione clinica di fase III e IV in medicina generale è un’autentica Cenerentola. Si è cercato di comprenderne alcuni perché in occasione della Giornata internazionale della ricerca clinica 2007, celebrata a Milano dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, con il patrocinio dell’European clinical research infrastructures network-Ecrin

La sperimentazione in altri Paesi
Fino al maggio del 2000 in Italia non era permesso fare ricerca clinica nell’ambito della medicina generale. In molti altri Paesi, in prevalenza anglosassoni, c’è invece un’ampia tradizione di sperimentazione clinica su determinati farmaci che ne prevede l’utilizzo su pazienti ambulatoriali. In Gran Bretagna, Stati Uniti, Paesi del Nord Europa, Australia e Canada, è implicitamente possibile, dati alcuni controlli e restrizioni, in tutti i setting di cura, non solo ospedaliero o ambulatoriale-ospedaliero, ma anche avendo come “investigatori” i medici di medicina generale. Ciò accade anche per i trial di fase II e III, che sono effettuati soprattutto con i Mmg, al fine di produrre evidenze utili all’industria farmaceutica o ad altri promotori per registrare gli studi presso le agenzie nazionali o internazionali. È quanto si verifica in particolare in Gran Bretagna, dove i Gp studiano un farmaco, per esempio un antibiotico o un antipertensivo, che se sarà approvato verrà
poi prescritto dagli stessi medici e lo sponsor si mette in relazione con gruppi di medicina generale che applicano i protocolli.

Una rilevante responsabilità nel mancato decollo della ricerca clinica in medicina generale (MG) sta di certo nella legislazione del nostro Paese, in netto ritardo e non solo rispetto ad altri Paesi europei.
Perché mai l’Italia ha fatto eccezione? “Quando si è scoperto, con l’input di alcune persone indipendenti e di molte industrie farmaceutiche che vedevano il nostro Paese meno competitivo di altri all’interno dello stesso network - spiega Giovanni Apolone, ricercatore del Mario Negri di Milano - c’è stata una grande pressione dal 1998 al 2000 per far sì che anche in Italia fosse reso possibile sperimentare con i Mmg. Fino ad allora era vietato, probabilmente per timore da parte di nostre agenzie e organi regolatori che un rapporto diretto tra Mmg e industria per fare trial fosse “non virtuoso” e potesse favorire fenomeni negativi: o il comparaggio, o l’essere troppo sensibili ai metodi dell’industria che talvolta porta, volontariamente o meno, a orientare i risultati, conseguenza di una minor capacità del Mmg perché meno formato e meno abituato a sperimentare dell’ospedaliero”.
Lunghi anni di gestazione e un ampio movimento portarono finalmente a un decreto legge che rendeva possibile studi di fase III in medicina generale (G.U. n. 43 del 22/02/2005), identificando un periodo di fattibilità, di osservazione (5 anni) durante i quali tutti i protocolli di ricerca dovevano passare sotto l’allora esistente Cuf, che ne valutasse la scientificità, la rilevanza e la fattibilità centralmente, prima di renderne possibile con un ok l’esecuzione; il protocollo poi sarebbe dovuto passare al pertinente comitato etico. “Trascorsi quei 5 anni di particolare sorveglianza del fenomeno - continua Apolone - sarebbe stato possibile sperimentare in medicina generale con la stessa facilità con cui si sperimenta in ospedale, vale a dire senza la necessità di una prevalutazione del ministero. Ora, soppressa la Cuf, generata dalle sue ceneri l’Aifa, non dovrebbe venire reiterata quella speciale commissione e i cinque anni dovrebbero considerarsi come trascorsi. La legge fu creata appositamente complessa, con molte restrizioni perché si temeva un aumento notevole, a partire da zero o da pochi casi carbonari, a una pletora”.

Un timore infondato


Il timore era palesemente infondato. Da maggio 2000 a oggi le proposte di studi di fase III si possono contare sulle dita di una mano, gli studi che sono stati formalmente valutati dalla Cuf sono stati ancor meno, quelli iniziati non più di tre e a essere terminato è stato uno solo, tra l’altro effettuato proprio da Apolone del Mario Negri. “Si tratta di uno studio, iniziato nel 2004 e ora terminato - continua Apolone - in fase di pubblicazione su Archives of Internal Medicine.
Il trial ha voluto testare nel contesto della medicina generale se un farmaco già in vendita per aiutare le persone desiderose di smettere di fumare, il bupropione, effettivamente è efficace anche quando viene prescritto e utilizzato in medicina di famiglia. Questo perché era stato dimostrato in un setting particolare di ricerca quali i centri antifumo e su pazienti selezionati in prevalenza nordamericani l’efficacia del farmaco rispetto al placebo, ma nessuno aveva dimostrato che il bupropione funzionava in condizioni reali. Su questa logica abbiamo realizzato un network di una settantina di Mmg in quattro Asl del Nord Italia e abbiamo effettuato uno studio replicando il disegno di altri trial già pubblicati su Jama, reclutando 600 casi. Abbiamo dimostrato che il bupropione è effettivamente efficace”. Si tratta del primo e unico studio sottoposto a suo tempo alla Cuf, visto e approvato, iniziato e terminato.

In cerca dei perché


Perché, nonostante la legge dal maggio 2000 l’abbia permesso, la ricerca clinica in MG non è nemmeno da quel momento decollata?
“Diversi fattori hanno mutato lo scenario - risponde Apolone - tra questi, un nuovo panorama dell’industria farmaceutica mondiale, con rilevanti fusioni, che hanno fatto diventare meno attraente sperimentare nel setting della medicina generale italiana come lo era nel passato, anche perché il nostro Paese è un po’ in ritardo in termini di capacità effettiva di gestire i protocolli da parte dei “comitati etici e di gruppi”.
“Sicuramente l’Italia - continua Apolone - mostra una certa lentezza nella ricerca clinica di fase I e III in ospedale. Altrettanto lo è quando si tratta di sperimentare con Mmg che, tranne rari esempi, sono ancora isolati, senza grandi associazioni o Società scientifiche che abbiano fatto della ricerca clinica sperimentale un loro tema prevalente: di conseguenza i generalisti non hanno sviluppato una competenza e non hanno implementato delle strutture capaci di rispondere alla proposta di uno sponsor che, per esempio, intenda effettuare un trial su un farmaco antinfluenzale. Ciò richiede infatti persone competenti e strutture predisposte capaci di affrontare gli aspetti scientifici, etici e normativi, che lo sponsor invece trova in centri di ricerca o in grandi ospedali”.

La chance dei comitati etici


Nell’ambito della ricerca clinica c’è un altro ruolo importante che può svolgere il Mmg: quello di componente di un comitato etico che, ricorda Gaia Marsico, docente di Bioetica all’Università di Padova, e del Consorzio Mario Negri Sud, “rappresenta la struttura di garanzia locale dei cittadini-pazienti di cui è prevista la partecipazione cosciente e informata alla sperimentazione”.
Ponte tra la figura del laico, rappresentante dei malati, e specialisti, quali il farmacologo o il biostatistico, il Mmg può svolgere una funzione di cerniera che metta in luce la realtà quotidiana della salute della famiglia, coinvolta direttamente o indirettamente in un protocollo. Sono già 309 (anno 2006) i comitati etici (CE) presenti nella Penisola, divenendo sempre più rappresentanti dei diritti di tutti i pazienti nei singoli contesti assistenziali e di sperimentazione. Un decreto ministeriale del 1998 ha infatti reso possibile in Italia la costituzione di CE a livello pressoché di tutte le realtà assistenziali, a differenza di prima (a partire dal 1978), quando si trovavano solo presso grandi centri, in genere universitari. Il loro decentramento ha reso più veloci e snelli i processi di valutazione dei protocolli di ricerca, strumento per promuovere e valorizzare una “massa critica” e una valutazione a livello locale. “I comitati etici - sintetizza Gaia Marsico - sono portatori di un progetto culturale condiviso, che integra la rete assistenziale, e sono garanti che la sperimentazione è legittima quando è una concretizzazione dell’articolo 32 della Costituzione. I CE sono uno dei modi per tradurre le incertezze della medicina nella ricerca di risposte sempre meglio adeguate ai bisogni”.