M.D. numero 22, 20 giugno 2007

Clinica
Diagnosi differenziale della demenza: interessa il medico di famiglia?
di Salvatore Giaquinto - Capo Dipartimento Riabilitazione IRCCS San Raffaele Pisana, Roma

Molte diagnosi differenziali dei vari tipi di demenza appaiono accademiche e poco significative sul piano pragmatico. Ma su questo versante il medico di famiglia può dare un contributo decisivo alla gestione della persona con demenza

La demenza è una compromissione globale delle funzioni nervose superiori, con frequente partecipazione di disturbi motori e affettivi, destruente la personalità, la condotta sociale e il comportamento dell’individuo con pesanti ricadute di tipo sociale.
Nel campo delle demenze si osserva una sorta di separazione tra la medicina di base e la neurologia accademica. La ricerca neurologica infatti è ancora molto attiva nell’identificare i tipi diversi di malattie degenerative, le aree cerebrali interessate, i neurotrasmettitori implicati.


Demenze su base degenerativa


Da un punto di vista tassonomico ci sono almeno tre grandi categorie di demenze su base degenerativa:

  • la classica demenza di Alzheimer (AD),
  • la demenza fronto-temporale (FLD),
  • la malattia da corpi di Lewy diffusi (LBD).
La demenza di Alzheimer, quella fronto-temporale, la malattia da corpi di Lewy diffusi sono entità differenziabili a livello di istologia, con prelievi o bioptici o autoptici.

Demenza di Alzheimer


Il consenso internazionale prevede che solo nei casi con riscontro istologico di placche senili e di degenerazione neurofibrillare si faccia diagnosi di malattia di Alzheimer certa, altrimenti si parla di Alzheimer probabile o di Alzheimer possibile.
Non esiste un modello univoco di demenza di Alzheimer. Spesso le fasi precoci sono di tipo psicopatologico: la persona, una volta attiva, perde gradualmente interessi, è apatica, appare trasformata. Per esempio, non appare più interessato alla carriera dei figli, all’amministrazione del patrimonio familiare, ai risultati della squadra del cuore.
Questa fase della malattia può essere confusa con la depressione, ma bisogna ricordare che qui mancano il vissuto melanconico, il senso di colpa, il pessimismo, la noia di vivere.
La diagnosi differenziale con le altre demenze degenerative poggia su affermazioni che hanno il solo valore di probabilità.

Malattia da corpi di Lewy diffusi


Sotto il profilo neuropatologico l’aspetto caratteristico della malattia da corpi di Lewy diffusi è costituito dalla presenza di numerosi corpi definiti istologicamente come inclusioni eosinofile intracitoplasmatiche nei neuroni della corteccia cerebrale e del tronco dell’encefalo.
Tali aspetti istopatologici differiscono da quelli osservati in altre forme di deterioramento cognitivo sia come patogenesi sia come localizzazione delle lesioni.
Anche in questi casi la caratteristica clinica principale della malattia è il progressivo deterioramento delle funzioni cognitive, con un alterato svolgimento delle normali attività sociali e lavorative. Deficit di memoria, disturbi di attenzione e disturbi delle abilità fronto-sottocorticali e visuo-spaziali, con fluttuazioni anche estreme nelle prestazioni e importanti variazioni dello stato di coscienza, sono la regola.
Criteri accessori sono le alterazioni dell’attenzione con fluttuazioni giornaliere, la presenza di parkinsonismo e la presenza di allucinazioni, che consistono principalmente in allucinazioni visive strutturate e complesse, a carattere ricorrente e riguardano frequentemente persone (magari personaggi visti poco prima in TV).
La compromissione intellettiva della malattia da corpi di Lewy diffusi è simile a quella della demenza di Alzheimer, soprattutto negli stadi avanzati. A differenza della AD, i deficit della memoria possono mancare nella fase iniziale e riguardano soprattutto la memoria retrograda, tuttavia i due quadri neuropsicologici non sono facilmente differenziabili.
Alla luce di queste considerazioni i disturbi comportamentali sembrano essere peculiari per la diagnosi differenziale fra le due patologie neurodegenerative sia nelle fasi precoci sia nelle fasi avanzate di malattia.
La presenza di sintomi psichiatrici può portare a diagnosi di malattia da corpi di Lewy diffusi, dato che nella demenza di Alzheimer questi sintomi sono più tardivi e anche meno frequenti.

Demenza fronto-temporale


La demenza fronto-temporale è anch’essa facilmente confusa con la demenza di Alzheimer. Anche in questo caso la diagnosi certa è autoptica.
Esistono diverse varianti:
  • demenza fronto-temporale con inclusioni tau, malattia di Pick, degenerazione cortico-basale, paralisi sopranucleare progressiva, FTD familiare con mutazioni del gene tau;
  • demenza fronto-temporale senza istopatologia caratteristica;
  • demenza fronto-temporale con inclusioni tipo-malattia del motoneurone ubiquitina-positiva;
  • demenza fronto-temporale con inclusioni neurofilamento-positive.
Per la caratterizzazione delle inclusioni sono utilizzati gli anticorpi anti-tau, anti-ubiquitina e anti-neurofilamenti.
Clinicamente nella demenza fronto-temporale, che colpisce persone al di sotto dei 65 anni d’età, vi sono all’inizio disturbi della personalità e del comportamento con relativa conservazione della memoria. Le persone appaiono insensibili ed egoiste, indisciplinate e inopportune, facilmente distraibili, disinibite anche sessualmente.

Riflessioni


Sul piano pragmatico molte discussioni accademiche possono risultare oziose, anzi possono essere fuorvianti. Le diverse demenze non hanno un modello unico e stereotipato, si modificano non solo nel tempo, ma anche nella giornata. Per esempio, una persona può diventare aggressiva apparentemente senza motivo, ma un’analisi attenta può identificare modificazioni dell’ambiente che hanno irritato la persona malata.
Sul piano farmacologico poi una scelta vale l’altra: non esiste un rimedio specifico per la demenza di Alzheimer, per quella fronto-temporale o per la malattia da corpi di Lewy diffusi.
Se non esiste un rimedio specifico, che importa al medico di famiglia differenziare le forme? Il fatto è che non riesce a nessuno in assenza di reperto istologico. L’impegno a diagnosticare è sterile, se poi il paziente è abbandonato a se stesso e la famiglia deve sopportarne il peso della gestione.
Si corre il rischio che:
  • il neurologo W esegua un accurato esame clinico,
  • il neurologo X faccia una completa valutazione neuropsicologica,
  • il medico Y faccia una bella valutazione con EEG e potenziali evocati,
  • il radiologo Z fornisca TAC e RMN, e alla fine nessuno di questi specialisti si occupi della gestione del caso, che in questo caso è affidato proprio al medico di famiglia, frequentemente chiamato case manager.

Altre forme di demenza

Le demenze però non sono solo quelle che abbiamo citato sin qui. Ne esistono altre dove il contributo della medicina è più fattivo e per questo sono anche dette curabili.
Queste sono:
  • demenza da ipotiroidismo;
  • demenza da pellagra;
  • demenza da carenza di acido folico e da vitamina B12.
Le forme carenziali sono più probabili in questa epoca storica caratterizzata da flussi migratori di persone spesso affamate e cachettiche.
Non va neppure sottovalutata una forma di demenza che 50 anni fa era identificata subito e che poi è stata dimenticata, ossia la paralisi progressiva, demenza da causa luetica.
Da ricordare anche la possibilità di gravi disfunzioni cognitive nei pazienti con sclerosi multipla, disturbi che possono colpire anche pazienti in età relativamente giovane.
Una demenza assai insidiosa è quella della malattia di Creutzfeld-Jakob, di cui si è tanto parlato a proposito di mucca pazza. Se non riconosciuta, un familiare che si punga con un ago infetto ha alte probabilità di contrarre la malattia.
Demenze carenziali, infettive e infiammatorie possono avere un trattamento eziopatogenetico.
Altra demenza cosiddetta curabile è quella che ricorre nell’idrocefalo normoteso degli anziani. Si tratta di una forma ben nota ai neurochirurghi, nella quale per cause ancora non chiare i ventricoli sono di volume aumentato con edema circostante, ma non appare l’atrofia corticale caratteristica di molti soggetti senili. Nelle forme vere, l’applicazione di una derivazione ventricolo-peritoneale può avere risultati insperati.
Si sospetta questa patologia quando il paziente presenta disturbi della marcia, incontinenza sfinterica e decadimento mentale.
Meno fortunato è l’idrocefalo che segue a inondazione ematica ventricolare non drenata subito chirurgicamente dopo emorragia subaracnoidea.
Sorpresa positiva o è il riscontro di ematoma subdurale in una persona con problemi cognitivi. La sorpresa può dipendere o dall’assenza di storia di trauma cranico o di un evento lontano nel tempo, anche mesi.
Altre demenze non sono una sorpresa invece per il medico di famiglia, che conosce i precedenti alcolici dei suoi pazienti, l’abuso prolungato di neurolettici e ansiolitici, il passato di pugile.
Complicanze note e non sorprendenti sono i problemi cognitivi nel Parkinson, nella corea di Huntington, nella paralisi sopranucleare progressiva.
Lasciamo all’ultimo posto (come dicono gli inglesi, last but not least) la demenza vascolare o multi-infartuale, MID secondo la sigla anglosassone. Essendo la causa vascolare, la forma può giovarsi della prevenzione, attuata appunto dal medico di famiglia.
Per il parkinsonismo (M.D. 2007; 17 18-19) si mantiene l’integrità anatomo-funzionale del circolo cerebrale, innanzitutto controllando l’ipertensione.
Il quadro anatomo-patologico è caratterizzato da sofferenza della sostanza bianca e da lacune ischemiche, di diametro fra i 3 e i 9 mm alla RMN, situate nella sostanza bianca o nel grigio sottocorticale, in aree quindi irrorate dai rami profondi del circolo cerebrale anteriore.
In questa patologia sono compromesse soprattutto le funzioni esecutive e la memoria differita, spiegata dalla frequente atrofia temporale in questi pazienti.
Il decadimento mentale e le turbe affettive sono fenomeni paralleli, ma non interdipendenti.


La gestione in medicina generale


Quali sono i suggerimenti per il medico di famiglia in questo groviglio di diagnosi e di forme ancora incerte come autonomie nosologiche?
Innanzitutto bisogna verificare se la demenza esiste.
Si può ricorrere alla scala di valutazione BICQ (Basic Italian Cognitive Questionnaire) (M.D. 2007; 9: 20-21) e se il punteggio è inferiore a 11, si richiederà un approfondito studio in ambienti specialistici.
Inoltre, il medico di famiglia può controllare gli ormoni tiroidei, i folati e la vitamina B12.
Perdipiù la sua testimonianza è molto preziosa: essendo il “medico della famiglia”, conosce il terreno genetico. È infatti frequente il riscontro, nella stessa famiglia di un paziente con demenza di Alzheimer, di casi di malattia di Parkinson, di psicosi, perfino di tumori cerebrali, malattie diversissime tra di loro, ma comunque malattie del sistema nervoso.
Scartata la demenza “curabile”, negli altri casi c’è la semplicistica erogazione di un farmaco in genere anticolinesterasico.
Dico semplicistica, perché il programma terapeutico non deve limitarsi a una prescrizione farmacologica, ma deve considerare interventi esterni, come il trattamento in day hospital specializzato o il ricovero in appartamenti protetti, moduli che purtroppo sono ancora poco diffusi nel nostro Paese.
Questi interventi servono anche a dare sollievo ai familiari: la loro vita è fortemente disturbata dal carico assistenziale che grava 24 ore su 24, con notti insonni, allarme continuo per possibili danni a persone e cose, discussioni con vicini infastiditi dalle urla.
Possibilmente andrebbe scartato il ricovero in ambito ospedaliero. Nelle lungodegenze c’è l’impiego di un forte carico di sedativi, che determinano o prolungano la stazione a letto, causano incontinenza e lesioni da decubito, sindrome da disuso.
Nelle strutture attrezzate, in regime residenziale oppure semi-residenziale, la persona è mantenuta attiva con musicoterapia, giardinaggio, preparazione di piccoli pasti, socializzazione e umanizzazione ambientale, anche con l’ausilio di animali, per esempio con un cane festoso. In questi contesti l’aggressività e le urla diminuiscono drasticamente. Interventi di questo tipo provengono dal rispetto della persona.
Va ricordato che i principi di Bioetica stabiliscono l’abolizione della parola “demente”, che va sostituita dalla locuzione “persona con demenza”, analogamente a “persona con psicosi” in luogo di “schizofrenico” o “persona con epilessia” in luogo di “epilettico”, a indicare che al primo posto c’è sempre la persona umana, anche nel caso di una grave malattia.