M.D. numero 22, 20 giugno 2007

Contrappunto
Come superare i rischi della medicina difensiva
di Roberto Carlo Rossi e Stefano Nobili - Medici di medicina generale, Milano, Snami

Il concetto di medicina difensiva trova sempre più spazio nel mondo sanitario soprattutto con l’aumento del contenzioso medico legale. Sul modello statunitense di conflittualità medico-paziente per presunta malpractice, le cause legali si rivolgono in grande maggioranza contro specialisti ospedalieri, ma anche la medicina del territorio non ne è purtroppo scevra e con essa i medici di famiglia

Secondo un’indagine condotta da Jama nel 2005, il 93% dei medici operanti in sei diverse strutture sanitarie degli USA ha dichiarato di praticare la medicina difensiva. Quasi la metà degli stessi medici inoltre riferisce di prescrivere procedure diagnostiche clinicamente non necessarie. E nel campo della medicina di famiglia italiana il comportamento si sta modificando per “difendersi dall’aggressività del paziente”, ma anche per un motivo diametralmente opposto ovvero l’aggressivo controllo delle autorità sanitarie nella sorveglianza dei tetti di spesa farmaceutica.
In questo caso il medico di famiglia prescrive terapie farmacologiche, ma a basso costo per evitare che venga a lui imputato uno spreco di risorse. Chi paga tutto questo? È naturalmente il paziente che in un meccanismo perverso di iperprescrizione-ipoprescrizione è l’unico senza difesa.

Numeri e sentenze


I dati del rapporto di Ageing Society del 2006 evidenziano che l’80% dei medici è coinvolto almeno una volta in un contenzioso per malpractice in 20 anni di attività.
Emblematici al riguardo alcuni stralci della sentenza della Cassazione Civile del 13.04.2007 n. 8826: “(...) il medico e l’ente sanitario sono contrattualmente impegnati al risultato dovuto, quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità, da apprezzarsi in relazione alle condizioni del paziente, all’abilità tecnica del primo e alla capacità tecnico-organizzativa del secondo (...)”. E ancora: “(...) resta a carico del medico-struttura sanitaria l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta”. Da ultimo: “(... ) il risultato positivo è una conseguenza statisticamente fisiologica della prestazione professionale diligente (...)”. Bastano queste frasi della Corte di Cassazione per spiegare la difficoltà estrema dell’essere medico oggi e il perché della medicina difensiva.

ACN e nuovo Codice deontologico


Identikit della medicina difensiva
La medicina difensiva, nata negli Stati Uniti e adesso diffusa anche in Europa, è quella medicina che si connota per scelte medico-chirurgiche ispirate non già alla prestazione migliore in base alla necessità del paziente, bensì per quelle che possono ridurre il contenzioso giudiziario: in altre parole è quella medicina che attiva scelte non solo dettate dall’interesse primario del paziente, ma anche dall’obiettivo del medico di prevenire denunce giudiziarie (Office of Tecnology Assesment 1998-USA). Si riconosce una medicina difensiva attiva che individua pratiche diagnostiche e terapeutiche non finalizzate alla cura del paziente ma all’autotutela del medico; e una medicina difensiva passiva ove il medico si astiene dall’eseguire pratiche diagnostiche o terapeutiche per evitare conseguenze medico-legali o amministrative. La definizione del Webster New World Medical Dictionary aggiunge: “la medicina difensiva è uno dei peggiori effetti dell’aumento del contenzioso medico-paziente, aumenta il costi delle cure ed espone i pazienti a rischi non necessari”.

Non sono la legge sembra agire contro il medico, ma anche l’ACN che all’art. 7 così recita: “La mancata adesione agli obiettivi e percorsi concordati diventa motivo per la verifica del rapporto di convenzione fino alla revoca (...)”. La responsabilità amministrativa del Mmg o dei medici generano un tipo particolare di medicina difensiva: l’adesione acritica ai protocolli, la prescrizione di un determinato principio attivo a basso costo o l’astensione a prescrivere, dettate dalla paura di incorrere in sanzioni.
Attraverso l’adesione al Codice deontologico, il medico giura di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento, di programmare l’alleanza terapeutica col paziente, di prestare la sua opera in scienza e coscienza, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con le norme della professione. L’articolo 4 del codice afferma: “l’esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull’indipendenza della professione che costituiscono diritto inalienabile del medico”. Tale alta espressione dell’etica medica si scontra con la realtà della quotidianità.

Che fare?


Una delle soluzioni potrebbe risiedere nel risk management che aumenta la qualità delle prestazioni erogate, diminuisce il ricorso alla medicina difensiva, diminuisce i costi assicurativi e sociali ed è, in ultima analisi, uno strumento di risparmio intelligente. Una soluzione molto più economica, ma molto più efficace risiede nell’educazione sanitaria capillare al cittadino attuata, si badi bene, dai medici e non demandata ad altre figure sanitarie in genere o ai media.