M.D. numero 22, 20 giugno 2007

Management
Sindrome dell’intestino irritabile: una diagnosi di esclusione?
di Cesare Tosetti - Medico di medicina generale e gastroenterologo, Porretta Terme (BO), Simg

Per identificare la sindrome dell’intestino irritabile la comunità scientifica fa riferimento ai cosiddetti Criteri di Roma, giunti alla terza revisione. Ma nella pratica quotidiana spesso il modello proposto non viene seguito, anche per la paura di trascurare diagnosi di patologie neoplastiche o infiammatorie croniche e di celiachia

Tabella 1 - Diagnosi di SII: Criteri di Roma III
  • Dolore o fastidio addominale ricorrente per almeno tre giorni al mese negli ultimi tre mesi, associato ad almeno due fra:
    - Miglioramento con l’evacuazione
    - Inizio associato a cambiamenti nella frequenza dell’alvo
    - Inizio associato a cambiamenti nella forma/consistenza delle feci

Il dibattito sulla diagnosi delle sindromi funzionali gastrointestinali non sembra destinato ad esaurirsi. L’inglese Robin Spiller, che fa parte del panel di esperti della Consensus Conference di Roma, ha pubblicato su Gut (epub maggio 2007) un aggiornamento delle linee guida per la sindrome dell’intestino irritabile (SII) per il mondo britannico (con la partecipazione della medicina generale) nonché una review sullo stesso argomento su Lancet (2007; 369: 1586-8).
La recente pubblicazione della 3a revisione dei Criteri di Roma per la definizione delle patologie funzionali ha riaffermato con una certa forza che la diagnosi positiva di SII è da ritenersi sostanzialmente sicura, in termini di efficacia e di prudenza, se effettuata entro le indicazioni cliniche oramai consolidate dell’attenta osservazione sintomatologica. La SII è un disturbo funzionale intestinale cronico nel quale la presenza di dolore o fastidio addominale è associato ad alterazioni della defecazione. Accanto ai criteri diagnostici specifici (tabella 1), va ricordato che la SII è solo uno dei disturbi funzionali intestinali, accanto alle forme idiopatiche di diarrea, stipsi o gonfiore addominale.

Tabella 2 - Sottotipi di sindrome dell’intestino irritabile
  • Sindrome dell’intestino irritabile con stipsi
    (feci dure in almeno 1/4 delle evacuazioni con feci molli in meno di 1/4)
  • Sindrome dell’intestino irritabile con diarrea
    (feci molli in almeno 1/4 delle evacuazioni con feci dure in meno di 1/4)
  • Sindrome dell’intestino irritabile mista
    (feci dure in almeno 1/4 delle evacuazioni e feci molli in almeno 1/4)
  • Sindrome dell’intestino irritabile non sottotipo
    (insufficienti alterazioni fecali per ricadere in uno dei tre tipi precedenti)

La SII può essere suddivisa in 4 sottotipi (tabella 2) nella nosologia dei quali la denominazione sindrome dell’intestino irritabile con diarrea/stipsi ha soppiantato la precedente definizione di SII tipo predominate diarrea/stipsi.
Gli esperti del gruppo di consenso riaffermano che nei soggetti i cui sintomi corrispondono alle caratteristiche sovra esposte, in assenza di sintomi che facciano supporre patologie organiche, quali emorragie o evidente calo ponderale, pochi sono i test che possono modificare sostanzialmente la diagnosi.
Endoscopia, test fecali e sierologici possono essere impiegati in funzione dell’età del paziente, delle caratteristiche di familiarità, della presentazione clinica e della prevalenza locale di patologie. Tuttavia, in assenza di segni di allarme e soprattutto nei soggetti giovani, il valore predittivo positivo dei Criteri di Roma per la SII è del 98%, sufficientemente elevato per la pratica.

Mancata aderenza dei Mmg ai Criteri di Roma


Sebbene da almeno 10-15 anni ci sia accordo su questo atteggiamento, gli studi disponibili evidenziano che la pratica quotidiana, soprattutto da parte dei Mmg, sembra diversificarsi dal modello proposto, con un largo accesso ad accertamenti, anche invasivi. Le motivazioni possono essere molteplici.
Un primo motivo potrebbe essere semplicemente la scarsa diffusione dei Criteri di Roma nelle cure primarie, rispetto agli specialisti. Molti medici di medicina generale sanno che questi o altri criteri esistono, ma spesso la conoscenza non è sufficientemente specifica per applicarli nella pratica, a causa di una certa confusione sulle denominazioni dei termini (colite, colon irritabile, intolleranza) e dei sintomi (diarrea, stipsi, disturbi dell’alvo, spasmo, gonfiore, fastidio).
In pratica si tende a riconsiderare nella SII un po’ tutte le problematiche funzionali addominali, perdendo molto nella forza discriminante e quindi nell’indirizzo gestionale.
In secondo luogo le incertezze fisiopatologiche tendono a confondere e rendere incerto un approccio sicuro. Un terzo motivo è da ricercare nel rapporto con il paziente, per il quale il ricorso a test diagnostici assume significati di riduzione di contenzioso e di tutela medico-legale. È da ricordare però che l’esecuzione di test diagnostici in pazienti particolarmente ansiosi determina una rassicurazione solo temporanea.
Lascerei per ultimo il motivo forse principale, cioè proprio quel valore predittivo positivo del 98% che lascia un 2% di indeterminatezza e di presenza di patologia organica. Se escludiamo malattie più rare, sono due le condizioni che più creano dubbi diagnostici. Innanzitutto la paura di trascurare una patologia neoplastica, ma va ricordato che la storia clinica di una neoplasia colica è differente da quella osservata nei pazienti che rientrano nella diagnosi di SII, una condizione sintomatologica ricorrente piuttosto che progressiva. La presenza di patologia neoplastica può rappresentare una sfortunata condizione associata piuttosto che causativa dei sintomi.
I criteri di età (e di associazione con segni di allarme) possono guidarci con sicurezza, tenendo anche conto che l’introduzione dei programmi di screening per il cancro del colon retto nei soggetti di età superiore ai 50 anni dovrebbe aiutare nella gestione clinica di questi pazienti. La sindrome dell’intestino irritabile è una condizione che trova la massima prevalenza nei soggetti giovani di sesso femminile, per cui sintomi insorgenti in età più avanzata devono essere valutati attentamente.
Per quanto riguarda invece la possibilità di una patologia infiammatoria cronica o di celiachia, sappiamo che queste malattie possono avere espressioni cliniche simili a quelli di una patologia funzionale. Per questo emocromo e test per la malattia celiaca sono gli unici test utilizzati con frequenza dagli specialisti. Lasciamo la ricerca del sangue occulto fecale ai suoi ruoli di screening o di percorso diagnostico dell’anemia sideropenica e valutiamo con accuratezza i sintomi e le caratteristiche del paziente.
Qualora volessimo essere certi di avere escluso tutte le possibili cause dei sintomi di presentazione tramite gli esami strumentali disponibili, l’impresa sarebbe davvero gravosa dovendo tenere in considerazione un ventaglio spaventoso di diagnosi differenziali, dal morbo di Whipple alle porfirie, dalle connettiviti all’endometriosi.
La stabilità dei sintomi nella loro ricorrenza, l’interferenza sulla qualità della vita, ma non una compromissione delle condizioni organiche, e l’assenza di sintomi di allarme rappresentano il quadro generale entro il quale applicare i Criteri di Roma e rivalutare nel tempo i pazienti.