M.D. numero 22, 20 giugno 2007

Rassegna
Il supporto di medicina generale durante la chemioterapia
di Alberto Ricciuti - Medico di medicina generale, Milano - Responsabile del “Servizio di supporto di medicina generale durante la chemioterapia” e vicepresidente di Attivecomeprima (www.attive.org)

La strategia della terapia sistemica di supporto ha l’obiettivo di dare una risposta razionale al bisogno dei pazienti di ridurre la sofferenza fisica durante e a seguito delle terapie oncologiche. Vengono proposti alcuni strumenti terapeutici utili a correggere le alterazioni indotte dalla chemioterapia nel metabolismo energetico dell’organismo, ma che potrebbero anche essere in grado di aumentare l’efficacia degli stessi antitumorali

T
rent’anni fa di cancro pochi guarivano e molti morivano, in condizioni peggiori e più rapidamente di oggi. Nel corso del tempo - grazie al progredire delle conoscenze e delle tecniche di diagnosi e terapia - si guarisce di più, ma soprattutto sta aumentando esponenzialmente il numero di persone che convivono con la malattia per molti anni. Attualmente si stima che in Italia oltre un milione e trecentomila persone vivano con una diagnosi di cancro alle spalle.
Convivere con la malattia significa anche dovere convivere con le sue terapie.
Sappiamo quanto questo percorso sia gravoso e lo diventi sempre nel corso del tempo, non solo per la sofferenza psicologica, ma anche per l’accumulo degli effetti dei farmaci sull’organismo.
I chemioterapici hanno due ordini di effetti:

  • uno immediato, dovuto all’impatto acuto dei farmaci con l’organismo,
  • un altro di lungo periodo, dovuto agli effetti profondamente turbativi che hanno sui processi autoregolativi dell’intero organismo.
I nuovi chemioterapici e le attuali modalità di somministrazione hanno consentito di ridurre e controllare sempre meglio la gravità dei primi effetti, cosicché i secondi si stanno presentando ora con maggiore evidenza all’attenzione dei medici.

La fatigue: una sindrome multidimensionale


Sempre più chiaramente sta emergendo che i fondamentali equilibri fisiologici e la biochimica del metabolismo energetico cellulare vengono più o meno pesantemente disorganizzati, configurando il complesso e articolato quadro di grave malessere che va sotto il nome di fatigue.
Tale sindrome, delle cui complesse cause ancora si discute e che viene spesso sottovalutata dagli stessi medici - è caratterizzata da un malessere e da una perdita di energia tali da essere ritenuti il principale ostacolo alle normali attività quotidiane e ad un’accettabile qualità della vita.
Ben documentata nella letteratura scientifica, con una prevalenza stimata dal 60% al 96%, sembra essere caratteristica comune a tutti i malati di cancro, ma in particolare a coloro che sono sottoposti a chemioterapia e/o radioterapia e ai pazienti trattati con vari modificatori della risposta biologica (interferoni e interleuchine).
I sintomi di fatigue (descritti dai pazienti come stanchezza, debolezza, perdita di energia, spossatezza, letargia, malessere, dispnea, depressione, insonnia), tendono ad aumentare progressivamente durante le terapie oncologiche, raggiungono un massimo dopo alcune settimane e perdurano a volte mesi o anni dopo il termine delle terapie, aumentando il ricorso a consulti medici, esami diagnostici, farmaci, periodi di astensione dal lavoro, ecc. Tutto ciò aumenta enormemente il costo sociale di questa patologia, oggi già molto elevato anche a causa del sempre più frequente ricorso a farmaci e a tecnologie molto sofisticati e costosi.
Definita nel 1998 come malattia nella decima revisione della International Classification of Disease (ICD-10), il suo inquadramento nosografico presenta però evidenti difficoltà.
Il non essere finora riusciti a cogliere il significato patogenetico generale, da un lato non ha consentito di definirla se non attraverso l’elenco dei suoi stessi sintomi, dall’altro non ha consentito l’elaborazione di una strategia terapeutica razionalmente e scientificamente fondata che sia in grado di andare oltre al semplice trattamento dei sintomi.

Sindrome sottovalutata


Per tentare di fare luce su questa complessa condizione clinica e per valutare la situazione in Italia alla luce dei dati pubblicati nella letteratura internazionale, nel 2002 il CERGAS (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale) dell’Università Bocconi di Milano, in collaborazione con l’associazione Attivecomeprima-Onlus, ha condotto uno studio epidemiologico che ha coinvolto 180 centri oncologici sul territorio nazionale e 1.014 pazienti (presentato a Chicago nel 2003 al Meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology). Il sintomo più frequentemente lamentato da oltre il 90% dei pazienti è stata la fatigue; ma solo un terzo di loro ha ricevuto una qualche risposta dall’oncologo.
Il fatto è che tale profondo malessere è ritenuto a torto un corollario della situazione clinica generale, una quasi inevitabile conseguenza della malattia e delle sue stesse terapie. Per tale ragione i medici tendono a sottovalutarlo e i pazienti a non comunicarlo adeguatamente ai propri medici.
Altre indagini comparse in letteratura negli ultimi anni documentano peraltro che oltre il 60% dei pazienti oncologici, quando non trovano soddisfacente risposta a questi bisogni, si rivolgono autonomamente ad altri terapeuti e ad altre terapie, quasi sempre senza comunicarlo al proprio oncologo.
In una ricerca pubblicata nel 2005 su pazienti oncologici di 14 Paesi europei, quelli italiani hanno vantato il ricorso più alto a terapie di supporto “non convenzionali”: 73.1%. Il loro intento, in ogni caso, non è di cercare terapieno alternative del cancrono, ma di trovare una risposta al malessere, affiancando alle cure oncologiche un supporto che gli consenta di ridurre la sofferenza fisica e incentivare la speranza. Tutto ciò, però, oltre a esporre il paziente a potenziali rischi di interazione tra farmaci, introduce una conflittualità nel rapporto medico-paziente che non ha ragione di essere e che deve essere risanata.

Approccio sistemico alla fatigue


Il complesso intreccio di sintomi che caratterizza la fatigue è visto tuttora in modo frammentato e la sua patogenesi è scarsamente compresa.
Mentre gli attuali approcci terapeutici sono sostanzialmente orientati ad affrontare i sintomi nel momento in cui si presentano, una lettura di questa sindrome in chiave “sistemica” può consentire di ricomporre i processi metabolici che vi sono implicati in un quadro più organico e coerente.
L’aspetto innovativo emerge da una rilettura secondo un ordine logico di tipo sistemico, di conoscenze già acquisite e condivise in medicina.
La fatigue inizia così ad assumere un significato biologico unitario, grazie al quale è possibile individuare una strategia terapeutica in grado di prevenire e contenere gli effetti tossici delle terapie oncologiche e la disorganizzazione del metabolismo energetico che ne consegue, in modo più adeguato ed efficace. Inoltre c’è fondato motivo di ritenere che una tale strategia terapeutica possa perfino migliorare l’efficacia delle stesse terapie oncologiche.
Gran parte degli effetti delle terapie oncologiche (fatigue inclusa), o perlomeno il loro grado d’intensità, è dovuto ad azioni turbative di carattere sistemico che si svolgono a livello di alcuni dei più importanti processi di regolazione omeostatica, biochimico-cellulare e tissutale che specificano l’intero organismo quale “sistema autopoietico”, cioè che si auto-produce.
Un sistema nel quale il prodotto della sua attività interna consiste nel mantenimento dell’invarianza del suo schema organizzativo, attraverso la produzione continua dei suoi stessi componenti.
Fare riferimento a questi concetti teorici non ha un valore meramente accademico, ma è importante per potere comprendere meglio da un lato le ragioni delle difficoltà tuttora esistenti nell’interpretazione e, di conseguenza, nella gestione pratica degli effetti collaterali delle terapie oncologiche e della fatigue in particolare; dall’altro la logica interpretativa e terapeutica di tali problemi che andiamo a proporre.
Sulla base di conoscenze ormai acquisite e condivise, è possibile individuare alcune importanti relazioni fra processi che coinvolgono l’intero organismo nel mantenimento della sua organizzazione strutturale e che vengono perturbati dai chemioterapici (figura 1).

Terapia sistemica di supporto


La strategia della terapia sistemica di supporto (SST - Systemic Support Therapy) ha un’impostazione tipicamente sistemica; l’efficacia della terapia nel suo complesso, infatti, emerge dalla sinergia di effetti dei presidi terapeutici utilizzati e mira quindi a modulare l’organizzazione della rete autopoietica attraverso la somministrazione di farmaci e substrati che stimolano e sostengono l’autonomia dei processi riparativi dei componenti strutturali che la determinano.
Brevemente questo è il razionale, che suggerisce l’utilizzo prevalentemente - anche se non esclusivamente - di farmaci naturali, ovvero di biomolecole portatrici di adeguate informazioni biologiche coerenti con la natura del sistema (tabella 1).



Nello specifico (e in estrema sintesi) si tratta:
  • di farmaci contenenti probiotici complessi, in grado di correggere la disbiosi (cioè l’alterazione della flora batterica e la disfunzione del sistema immunolinfatico intestinale) e sostenere la vigilanza immunitaria dell’intero organismo;
  • di biocatalizzatori e metaboliti intermedi del ciclo di Krebs e della catena respiratoria, in grado di contrastare la “disfunzione mitocondriale” costantemente indotta dai chemioterapici, cioè quella profonda alterazione del metabolismo energetico cellulare che riduce la produzione di energia nei vari organi e apparati e quindi nell’intero l’organismo;
  • di un corretto regime alimentare e di adeguati substrati nutrizionali, che consentono la correzione dell’eccessiva acidificazione del mesenchima e quindi il drenaggio antitossico dell’intero organismo.
Il sostegno di questi processi, infatti, è un presupposto irrinunciabile per la corretta espressione delle funzioni autodifensive e autoriparative che garantiscono all’intero organismo autonomia, unità e individualità, conseguenze implicite dell’autopoiesi.
Inoltre, per le fondate ragioni descritte negli studi riportati in un’ampia letteratura, la correzione e il supporto di questi processi autopoietici, sembra essere in grado di aumentare l’efficacia di molti chemioterapici nell’indurre l’apoptosi delle cellule tumorali, ridurre la loro invasività nei tessuti circostanti e ridurre la loro resistenza agli stessi chemioterapici.
Per queste ragioni la SST, oltre a ridurre la sofferenza fisica del malato oncologico, potrebbe perfino migliorare l’efficacia della cura.

Benefici riscontrati nei pazienti


I benefici riscontrati nei pazienti e le valenze innovative dell’approccio alla fatigue mediante la SST possono quindi essere così riassunti:
  • riduce la sofferenza fisica, migliora la qualità della vita e l’autonomia personale;
  • riduce il ricorso a farmaci sintomatici in virtù della sua valenza preventiva;
  • aumenta la fiducia del paziente nelle terapie oncologiche e la partecipazione attiva al percorso di cura;
  • introduce nella prassi medica un modello cognitivo centrato sulla persona e non sulla malattia;
  • rafforza la relazione di alleanza tra malato e medico curante;
  • consente al paziente un ricorso più appropriato alle strutture pubbliche e quindi un uso più corretto delle risorse sociosanitarie.

Relazioni e alleanza tra medico e paziente

Tutto quanto detto fin qui – è importante ricordarlo - accade sicuramente grazie al supporto tecnico che il medico è in grado di offrire al proprio paziente attraverso le sue prescrizioni. È però di fondamentale importanza riconoscere che tutto ciò si svolge sempre nello spazio umano fra il malato e il suo medico, cioè fra un “io” e un “tu” che si incontrano per percorrere insieme, pur con diversi ruoli, un tratto della loro storia.
Il pieno successo dell’intervento professionale del medico ha quindi anche a che fare - ne sia consapevole o no - con il suo modo di porsi nella relazione con il malato e con la sua capacità di creare quel clima di alleanza col proprio paziente che può rendere le sue prescrizioni terapeutiche non solo più correttamente seguite ma forse persino più efficaci.