M.D. numero 22, 20 giugno 2007

Terapia
Terapie biologiche per la psoriasi
di Elisabetta Torretta

Segnano un decisivo passo avanti nella gestione terapeutica della malattia e vengono viste con molta fiducia dai pazienti perché consentono di godere di una maggiore flessibilità e comodità, senza i vincoli creati da un regime di trattamento continuativo e senza penalizzazioni di efficacia

La psoriasi può essere una malattia severa in grado di ridurre la qualità della vita del paziente. Di questa malattia cutanea debilitante e con aspetti complessi, si è recentemente discusso a Vienna in occasione del 16° congresso dell’EADV (European Academy of Dermatology and Venereology).
In assenza di una completa comprensione delle sue cause, si ritiene che la malattia sia causata da una anomalia ereditaria del sistema immunitario, ma diversi fattori ambientali sono in grado di determinare la sua comparsa o lo scatenarsi di crisi acute: stress emotivo, lesioni cutanee (compresi gli interventi chirurgici), reazioni a farmaci specifici (betaboccanti e litio), infezioni ad eziologia virale o batterica.
Non solo la psoriasi è di per sé una grave patologia cutanea, che viene riacutizzata da comorbilità significative, ma può rappresentare un fattore di rischio indipendente per infarto miocardico (in particolare nelle persone giovani affette da malattia severa) ed è associata a un maggiore rischio di obesità, di diabete di tipo 2, di epatopatie e di depressione clinica.
Dai primi approcci terapeutici, di difficile gestione, l’evoluzione del trattamento della psoriasi ha subito una svolta decisiva con l’introduzione dei farmaci biologici. Si è trattato di una conquista importante in quanto i trattamenti tradizionali imponevano un forte impegno ai pazienti, che dovevano passare fino a tre ore al giorno ad applicare creme e necessitavano di frequenti visite mediche. Con i regimi tradizionali, circa il 40% dei pazienti tende a non rispettare i protocolli terapeutici perché questi richiedono tempo, possono causare irritazioni e macchie cutanee, necessitano di un monitoraggio complesso dovuto alla tossicità, hanno tassi di recidiva talvolta significativi. I rischi associati al trattamento tradizionale sono di ordine generale (interazioni farmacologiche, tossicità cumulativa e tossicità per gli organi) oppure specifici per singolo trattamento.

Importanza della relazione con il paziente psoriasico
A causa delle lesioni visibili e delle frequenti ricadute anche a distanza di anni, la psoriasi può provocare disturbi psichici e psicologici, condizionando negativamente la vita affettiva e lavorativa e incidendo nella sfera economica del paziente. In Italia si stima che siano affette dalla malattia circa 1 milione e 600 mila persone.
La fascia di età più colpita è quella tra i 20 e i 39 anni e la malattia si manifesta più precocemente e con maggiore frequenza nelle donne rispetto agli uomini.
L’interazione con un paziente psoriasico deve essere condotta su sue livelli, quello clinico e quello psicologico, in modo da migliorare la relazione con i pazienti che lamentano spesso il poco coinvolgimento dei medici che li seguono nella terapia. È nato così il progetto MinDer, un progetto formativo in psicodermatologia rivolto ai dermatologi di tutta Italia con l’obiettivo di fornire gli strumenti necessari a un corretto e completo approccio - anche psicologico - al paziente psoriasico. Il progetto, che si svilupperà nel corso del 2007-2008 in 21 centri Psocare, è realizzato con il patrocinio di SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e di Malattie Sessualmente Trasmesse), ADOI (Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani), SIDEP (Società Italiana di Dermatologia Psicosomatica), in collaborazione con ADIPSO (Associazione per la difesa degli psoriasici) e con il contributo educazionale di Wyeth.

L’azione delle nuove terapie biologiche si basa sul fatto che, nell’ambito della risposta immunitaria, l’organismo produce la proteina TNF-alfa per mobilitare i leucociti deputati a combattere infezioni e corpi estranei (infiammazione). A differenza di quanto avviene in un organismo normale (che si libera del TNF-alfa in eccesso), nei soggetti affetti da psoriasi i livelli di TNF-alfa si mantengono costantemente elevati, sia nel siero (con livelli correlati allo stato di attività della malattia) sia nella cute lesionata.
Gli inibitori del TNF-alfa bloccano l’azione di questo mediatore nell’organismo e, in tal modo, riducono l’infiammazione. I diversi composti sviluppati si inseriscono in tre categorie: gli anticorpi monoclonali, le proteine di fusione e i TNF-R1 solubili. Tra questi, etanercept (una proteina di fusione) dispone di studi di maggior durata („96 settimane) ed è in grado di assicurare un miglioramento rispetto al basale del PASI score del 71% a 24 settimane (NEJM, 2003; 349: 2014-2022).
Queste terapie riscuotono anche il favore dei pazienti che parlano di fiducia riconquistata grazie al trattamento biologico e di come una terapia ripetibile consenta di godere di una maggiore flessibilità e comodità nella vita quotidiana senza i vincoli creati da un regime di trattamento continuativo e senza la riduzione di efficacia e di benefici.